Quando una malattia si mangia i nostri ricordi e le nostre emozioni è come se smettessimo di esistere. Perché la memoria ci rende quello che siamo. Questo è ciò che accade Esperia Viola, detta Esperina. E così sua figlia, per tenerla salda alla vita, decide di raccontarle la sua storia e quella della sua famiglia.
Il libro si snoda attraverso i gesti semplici di tutti i giorni per mezzo dei quali è possibile far affiorare brandelli di memoria. Memorie raccontate con una voce asciutta e sapiente che ci mostra un rapporto tra madre e figlia: in questo amore c’è infatti spazio per il rancore, il dolore, per i dettagli su un decadimento fisico a causa del quale la madre ha bisogno di essere accudita proprio come un tempo aveva avuto bisogno sua figlia. E nel comporre il puzzle della vita di Esperina si disegna la storia di una famiglia e di una terra.
L’Abruzzo: attraverso cui si racconta la grande metamorfosi dell’Italia rurale tra la Seconda guerra e gli anni Settanta. Per chi ama gli esordi emotivi e, soprattutto, per chi ama ascoltare le favole.
L’incipit
Certi giorni la malattia si mangia anche i sentimenti. È un corpo apatico, emana l’assenza che lo svuota. Ha perso la capacità di provare. Allora non soffre, non vive.
Le visite di controllo servono a me. Mi rassicurano, non l’ho ammalata io e l’evoluzione è lenta. Alcune abilità sono in parte conservate. L’accompagno, mi occupo di lei, sono una figlia sufficientemente buona.
Il lungomare è deserto a quest’ora, arriva il rumore buio delle onde e l’acqua della risacca che macina sabbia e conchiglie. Ho parcheggiato lontano per passeggiare un po’ insieme.
Mia madre cammina separata, ma ha rallentato il ritmo. La prendo sottobraccio, la manica della giacca sa di Adriatico. Sulla sponda opposta Fioravante prigioniero soffriva la fame di una patata lessa al giorno.
Si rilassa, accordiamo l’andatura. Chiedo se le piace l’odore del mare. Dice che sì, insomma, ma lei è nata in montagna, preferisce il profumo delle erbe, dei fiori, non si è mai distesa su una spiaggia. Le avrebbe fatto bene alle ossa, osservo. Ride, adesso è tardi, non se lo metterebbe un costume da bagno.
Dall’altro lato della strada ammiccano le luci dei ristoranti. Propongo un finale a sorpresa: fermiamoci a mangiare il pesce. No, meglio di no, ci aspettano per cena. Un’altra volta, promesso.
Mia madre è un fiume, Donatella Di Pietrantonio, Elliot, p. 179 (16 euro)