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Villetta con piscina

Cosa distingue un bravo medico di famiglia da uno approssimativo? Il tempo che dedica ai pazienti. E Marc Schlosser si sente molto professionale nel regalare ai propri malati ben venti minuti. Peccato che ne utilizzi uno per effettuare la diagnosi e spenda gli altri diciannove nel pensare ad altro. Perché il suo lavoro lo disgusta, lo disgustano i suoi pazienti, i loro corpi.
È un uomo impegnato il nostro dottore, tra concerti, opera e teatro. Li detesta ma non può fare a meno di partecipare. Fa ciò che ci si aspetta da lui, anche se tutto lo annoia a morte. E qualche volta riesce persino a trascinare con lui sua moglie. Soprattutto se c’è una prima con, Ralph Meier, attore di successo e incallito donnaiolo che, tra l’altro, figura tra i suoi pazienti.
Grazie a un lungo flashback riviviamo l’incontro tra i Meier e i Schlosser, trascorriamo con loro un paio di giorni di vacanza in una villetta con piscina affittata dall’attore tra sole, cibo e risate. Conosciamo meglio Marc e sua moglie Caroline e le loro figlie, Lisa undici anni e Julia tredici; Ralph e sua moglie Judith, Alex e Thomas, i loro figli; Stanley ed Emanuelle coppia alquanto sui generis…
Cosa è accaduto in questa vacanza? C’è da chiederselo quando si scopre che Marc non ha diagnosticato in tempo a Ralph un cancro devastante. Si tratta di un errore medico o di una intenzionale omissione di soccorso?
Kock, come nell’altrettanto superlativo romanzo La cena,non delude. Il suo sguardo sul mondo non concede nulla al buonismo e al politicamente corretto. La realtà che ne viene fuori è un mondo cinico, brutale e avvilente. Basta cercare e lo squallore e il marciume vengono fuori senza troppa difficoltà. Si fatica a digerire la storia che si sta leggendo, ma non si può smettere di farlo. Ecco il romanzo perfetto per tutti quelli che non hanno affatto bisogno di essere rassicurati. Un consiglio: la quarta di copertina svela troppo, perciò non leggetela!

L’incipit
Sono un medico di famiglia. Ricevo la mattina, dalle otto e mezza all’una. Faccio le cose con calma: venti minuti a paziente. Sono il mio biglietto da visita, quei venti minuti. Quanti dottori ti tengono venti minuti?, dice la gente. E la voce gira. Preferisce non avere troppi pazienti. Dedica a ognuno il tempo che ci vuole. Ho una lista d’attesa: quando un paziente muore o si trasferisce, basta una telefonata e ne trovo altri cinque.
I pazienti confondono il tempo con l’attenzione, credono che io dia loro più attenzione degli altri medici, quando in realtà io do solo più tempo. Quello che c’è da capire lo capisco in un minuto; gli altri diciannove li occupo concedendo attenzione, o meglio una parvenza di attenzione. Faccio le solite domande: Come sta suo/a figlio/a? E lei, ha ripreso a dormire bene? Mangi un po’ di più/meno, eh! Appoggio lo stetoscopio sul petto, poi sulla schiena. Un bel respiro, dico. Espiri lentamente. Ma mica ausculto davvero. O per lo meno ci provo, a non auscultare. All’interno del corpo umano i rumori sono sempre gli stessi: primo tra tutti, ovviamente, il battito del cuore. Non sa nulla, il cuore; lui pompa è la sala macchine. Serve solo a tenere la nave in movimento, non sulla giusta rotta. Poi ci sono i rumori dei visceri, degli organi. Un fegato sovraccarico emette un suono diverso da un fegato sano. Geme. E supplica di avere un giorno libero, uno solo, un giorno in cui poter eliminare il grosso delle scorie, perché è sommerso di arretrati.

Villetta con piscina, Herman Koch, traduzione di Giorgio Testa, Neri Pozza, p. 363 (17 euro)

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