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Versilia Rock City

Un anno fa leggevo Esche vive e me ne innamoravo. Fabio Genovesi, l’autore, ho avuto il piacere di conoscerlo l’altro ieri, alla presentazione milanese di Versilia Rock City (pubblicato inizialmente da Transeuropa e adesso ripubblicato da Mondadori). Incontro frizzante, ricco di spunti intelligenti, mixati con quello humour toscano acuto e pungente (e affettuoso).
Il libro ci racconta di una Versilia inattesa, non quella calda e alla moda dell’estate, ma quella di chi al Forte ci vive tutto l’anno. Quella provincia un po’ svantaggiata che si trova a sopravvivere in una sorta di desolata Transilvania, come la definisce Genovesi.
I personaggi chiave sono Mario, Renato, Nello e Roberta. Mario era un deejay famoso, prima rinchiudersi in casa – ormai sono tre anni – e passare tutto il tempo davanti al pc a scaricare file e vedere film porno. Renato, il suo migliore amico, era il perfetto bravo ragazzo, viziato e primo della classe che è finito a Milano e lì sopravvive inventando falsi viaggi da sogno per chi non può permetterseli. Nello è lo zio di Mario, patito del rock, che per quella che lui definisce una parentesi – durata 20 anni – è stato un eroinomane e adesso sta cercando in tutti i modi un riscatto. Roberta è un avvocato di successo, terrorizzata all’idea di essere fredda, perciò disposta a tutto per provare qualcosa, per dimostrarsi capace di sentimenti. Cosa succede quando si trovano a impattare ciascuno nella vita dell’altro? Fuochi d’artificio che il botto – nella  silenziosa provincia invernale – lo  fanno parecchio forte.

Questo, in realtà, sarebbe il tuo esordio. Cosa si prova a rimettere mano a un testo, e a trasformarlo – visto che nel mezzo c’è stato il successo di Esche vive – nel tuo terzo lavoro? Soprattutto perché, lavorando con gli autori, so bene che subentra una sorta di rigetto, per cui si ripudiano i personaggi, la storia. Un po’ come si fa con i genitori, per crescere…
È strano. Spesso sogni di poter rimettere mano alle cose che hai scritto prima. Solo che, con il tempo, non puoi avere lo stesso sguardo di un tempo. È un po’ come se ti invitassero a una festa, chiedendoti però di vestirti come ti vestivi quattro o cinque anni prima. Quindi c’è tutto un lavoro di recupero di un dato sentire, di un certo sguardo sulle cose. Un lavoro di sartoria, insomma. E quando l’editore Mondadori mi ha detto che potevo rivederlo, la mia idea era quella di dargli una pulita, ricontrollare qualche virgola. E invece sono venuti fuori tre capitoli in più, i personaggi fanno cose che prima non facevano… insomma è totalmente riscritto. E quindi mi fa un effetto strano perché è il primo libro ma è anche il terzo. È un po’ tutto.

Bravi quelli di Transeuropa che ti hanno scoperto!
Sì, senza di loro, che mi hanno chiamato… e brava Giulia Ichino, editor di Mondadori, che è stata incredibile. Perché io non avevo mandato nulla a Mondadori. E lei mi ha scoperto in libreria, incuriosita, ha comprato il libro e poi mi ha contattato.

Insomma, era destino.
Tu lavori molto sul complementare. Parti da un cliché e lavori creativamente sul suo opposto. Lo fai sia sul contesto (prendi la Versilia da cartolina e racconti invece la provincia in inverno), sia sui personaggi (prendo l’avvocato di successo e mostro le sue mancanze emotive). È un esercizio per riuscire a guardare meglio quindi a raccontare meglio?
È una cosa che mi piace fare anche nella vita. Mi piacciono le persone perché non sono mai come credi. E ogni volta che pensi di aver capito chi hai davanti, succede qualcosa che ti dimostra il contrario. Quando credi di aver classificato qualcuno, ecco che – nel bene e nel male – ti sorprende. Appena una persona la conosci un po’ di più ecco che la tua opinione si ridefinisce… delle volte mi capita di leggere dei romanzi “morti” perché sono, non il testamento di persone ma il testamento di personaggi. Ecco io spero di far parlare delle persone. Ed è una cosa che mi affascina perché così come alle volte ci domandiamo come abbiamo potuto dire o fare una determinata cosa in passato, non possiamo sapere se faremo o no una certa cosa in futuro. Insomma è sempre una sorpresa.

Grande banalità: la provincia è la protagonista dei tuoi libri. Perché? È terreno buono in cui innestare le storie? È un contesto dove poco accade, perciò le cose deflagrano con maggiore violenza?
La provincia è narrativa. Se vuoi uscire a Milano ci sono milioni di cose da fare. In provincia non c’è nulla. Non succede nulla. E se passa per strada un uomo con il cappello, non te lo lasci sfuggire, non puoi rimanere indifferente. E allora ti domandi chi sia, dove vada… e questa è la narrativa: rendere interessanti cose che apparentemente non lo sono, cose che altrimenti non noteresti. In più, quello che a me non piace è il modo in cui spesso viene trattata la provincia, perché si tende spesso ad abbinarla con personaggi grotteschi, caricaturali. Il saggio bonaccione o lo scemo del paese… ecco allora che la letteratura americana per me è grandissima quando riesce a farti innamorare di un paese come di Walla Walla, un posto che esiste nello stato di Washington, minuscolo, ci sono stato. Però l’autore ne scrive con una tale forza e con una epica che sembra un posto meraviglioso e forse lo è. Dalle mie parti c’è Aulla, che suona simile, e non ha senso parlarne come di un posto strano popolato di macchiette ma devi essere capace di far emergere quella forza che si cela al suo interno. Insomma, la provincia non è la sorella scema della città.

E poi c’è il gruppo dei tuoi personaggi, anche se non sa di essere tale. Renato, Mario, Nello e Roberta… Tutti alle prese con un disagio e, tutti singolarmente in crisi, claudicanti, ma insieme capaci di rinascere in qualche modo. Ci si trova, insomma soltanto nell’incontro con l’altro?
Penso sia proprio così che funzioni. Quando le cose zoppicano, quando da sole non stanno in piedi, hanno bisogno di altre cose simili per stare su. E spesso il modo migliore per tenere in equilibrio una pila di libri è un’altra pila di libri. Così come un albero storto da una parte spesso sta su, proprio perché, dall’altra, c’è un albero altrettanto storto. E a me piacciono le persone un po’ sbilenche che nell’incontrarsi trovano qualcuno che è complementare, che le aiuta a stare in piedi. In fondo la necessità umana è trovare altri che sembrano simili a te. Soprattutto quando ti senti un po’ fuori dalla società… io mi sento fuori luogo ovunque, non molto, un po’. E sentire che altre persone provano lo stesso aiuta.

Qualcuno ha detto che i tuoi personaggi sono sfigati. Non sono d’accordo. Hanno tutti delle qualità che però o non riescono a far fruttare o non gli interessano più. Un po’ come un campione di scacchi che scopre che il gioco non lo diverte affatto. Una bella fregatura… Loro cosa cercano in realtà?
Mi piacciono i personaggi che vogliono qualcosa, non sopporto gli apatici. Non mi piace quando non capisci che problemi hanno, cosa sognano. Non mi interessano caratteri così. Invece mi piacciono le persone che vogliono qualcosa, anche se sono consapevoli che non la otterranno mai, ma nel tentativo di raggiungere quell’obbiettivo conquisteranno qualcosa d’altro. E poi, insomma, ci hanno provato. Non sono sfigati o perdenti, non sono loser, i miei al massimo sono underdog, gli sfavoriti. Partono svantaggiati, però c’è di bello che se vincono la loro vittoria vale molto di più. Ed essendo svantaggiati, essendo un po’ indietro, non possono permettersi di andare piano.

Per prendere le cose sul serio, bisogna scherzarci. Perché oltre a osservarle, per riderci, ti tocca fare un passo indietro, ti tocca guardarle con un certo distacco. Credo che lo humour sia una tua cifra stilistica, lo humour che non fa sconti, quello che “per amor d’una battuta” scherza proprio su quelle cose sulle quali non si dovrebbe scherzare. È un filtro questo o è il tuo reale sguardo sul mondo?
Amo ridere, soprattutto quando so che non ci sarebbe nulla da ridere. È un modo questo di vedere la vita. Anche perché prendere le cose male è un modo per aggravarle. Ridere ti fa stare meglo, ovvio, ma soprattutto ti permette di guardare le cose in modo diverso. In Toscana capitava spesso di vedere le persone ridere ai funerali. E a ridere erano sempre le persone che più amavano chi se ne era andato. È insomma un ridere per non piangere. È molto poetico… è una risata che viene da una conoscenza profonda e dal cuore. In Toscana se nessuno ti prende in giro significa che nessuno ti vuole bene. E c’è chi ti prende in giro a morte e lo vedi che lo fa con un affetto. E non c’è alcuna offesa. Per questo i toscani fanno molta fatica a capire il limite, perché non si accorgono quando uno ci rimane male, perché stanno dicendo cose che a loro hanno detto cento volte e spesso erano peggiori. Insomma la battutaccia è un modo per ricordare a chi la subisce che c’è un mondo fuori, un mondo che è interessato a lui, che gli vuole bene.

E siccome questo è uno spazio di lettori: qual è il libro che nella tua libreria proprio non può mancare?
Tanti, devo ammettere… Ma per me davvero non puoi non leggere Full of life di John Fante, che è un grandissimo, ma io non so perché ho questa fissa per Full of life che non è neppure uno dei suoi titoli più considerati. È una storia meravigliosa: il protagonista ha una moglie che aspetta un bimbo e lui vive in attesa di questo bambino per il quale si sente del tutto inadeguato. E alla fine viene, in pratica, estromesso dalla nascita di suo figlio, perché se ne occupano tutti gli altri. Ed è una storia che mischia comicità, imbarazzo…  è una storia di una umanità incredibile.

Ecco quello che si dice chiudere in bellezza.

Versilia Rock City, Fabio Genovesi, Mondadori, p. 211 (17 euro)

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5 comments

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Tales Teller 19/04/2012 at 20:59

Refuso: […] scaricare file e vedere film prono. […]
Immagino fosse porno.

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Chiara Beretta Mazzotta 20/04/2012 at 01:16

Ahahahahhaha sì, che poi fosse pure prono… chi può dirlo?!
Grazie, mille. Ne semino, chissà se spuntano le piante di refuso?

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Tales Teller 20/04/2012 at 10:28

Se non fosse stato un refuso, infatti, avrei subitaneamente richiesto spiegazioni sulla natura del prono. Avrei potuto esserne un fan.
Le piante di refuso? Come no, io ormai mi ci sono rifatto il giardino! Piante di refuso con cespugli di ignoranza … T_T

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MatteoG 20/04/2012 at 12:18

Fabio Genovesi è molto bravo, oltre che persona gentile e disponibile. Gli auguro mille di questi libri. 🙂

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Chiara Beretta Mazzotta 23/04/2012 at 13:14

Concordo su tutta la linea! A presto, Matteo

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