Prezzi di copertina troppo alti, libri sempre più cari… sicuri che sia davvero così? E dove finiscono i soldi e perché?
Insomma: come si stabilisce il prezzo di un libro (cartaceo)?
Il mestiere dell’editore è per impavidi. Quello dello scrittore è ideale per gente dallo scarso appetito… perché a scrivere non si guadagna granché (qui trovate un po’ di dati sulle vendite e i guadagni) ma arricchirsi vendendo libri è una impresa da supereroi.
A sentire i lettori (e soprattutto i non lettori) i libri costano troppo. I numeri, in realtà, ci dicono il contrario: secondo l’Istat dal 2011 il prezzo di copertina continua a scendere. Nel 2015, rispetto al 2014, il calo era 6,1% per gli ebook e del 6,4% per i cartacei.
Il conto economico: il prezzo di copertina in base alle uscite, i costi fissi e le spese variabili
Per sapere dove finiscono i soldi del prezzo di un libro, tocca fare il conto economico, cioè studiare voce per voce le uscite, tenendo conto dei costi fissi – affitto locali, utenze, fiscalità, stipendi, collaborazioni, materiali di consumo, fiere – e delle spese variabili come la promozione (alle volte si spende tantissimo alle volte poco), la traduzione, le royalty, i costi di stampa (che dipendono dalla tiratura, dalla lunghezza del testo…).
→ L’autore La prima voce riguarda il compenso che va a chi ha scritto il libro. Si tratta degli anticipi e delle royalty stabilite nel contratto. L’anticipo consiste in una somma di denaro calcolata in base alla notorietà dell’autore e delle previsioni di vendita (molto dipende anche dall’editore, un big ha possibilità diverse da una piccola casa editrice); l’autore quindi non prenderà alcun soldo fino a che le copie vendute non avranno coperto l’anticipo. Di quanto parliamo? Mille, ottomila, centomila… dipende se siete un esordiente o Camilleri. E se gli anticipi superano le vendite effettive? L’autore si tiene i soldi, l’editore incassa il colpo. Tenete presente che alcuni grandi editori hanno milioni di euro di anticipi non rientrati…
Per quanto riguarda le royalty, la percentuale varia tra il 6-7% del prezzo di un libro, il prezzo di copertina, fino al 15. Oltre alle differenze tra autore esordiente e scrittore famoso, le percentuali variano anche in base al numero di copie vendute (si va a scaglioni per cui, per esempio, superate le 15-20mila copie, le royalty salgono al 14%).
All’editore un libro costa appena decide di farlo quindi molto prima di stamparlo
L’autore può essere deceduto da oltre 70 anni e quindi i diritti di commercializzazione sono liberi (cioè l’editore non deve corrispondergli alcuna royalty), può essere vivo e pagato a cottimo (500-1000 euro per il testo e tanti saluti, prassi non inusuale soprattutto tra chi tiene i prezzi di copertina bassissimi). Ci sono contratti con royalty fisse al 4-5 per cento (una miseria). Le variabili sono tante. Di certo c’è che all’editore un libro costa appena decide di farlo e prima ancora di stamparlo. Questo è un dato di fatto e significa: esporsi economicamente.
→ Costi di produzione In passato realizzare un libro costava caro, molto. La carta, la stampa erano voci che incidevano parecchio. E toccava stampare molte copie per ammortizzare i costi. Oggi, in proporzione, realizzare un libro costa pochissimo. Produrre 7mila copie di un testo in brossura (copertina rigida) di circa 250 pagine costa intorno a 1,5 euro. In realtà una prima tiratura di 7mila copie è difficile a vedersi. Stampare 1500 copie è già tanto, tenuto conto che nel caso in cui il libro venda bene, si può ristampare (abbastanza) alla svelta.
→ Costi redazionali. Un testo straniero va tradotto, la traduzione revisionata, tutti i testi vanno editati (chi più chi meno), le bozze devono essere corrette, serve una cover, l’immagine va acquistata… ecco solo alcuni dei passaggi necessari per realizzare un libro. Ci sono case editrici molto strutturate (direzione editoriale, redazione, ufficio marketing, ufficio diritti, ufficio commerciale, ufficio stampa… cioè hanno proprietario, amministratore, direttore editoriale, chief editor delle collane, editor, redattori, grafici, correttori) e realtà molto più piccole che si affidano ad agenzie esterne per realizzare i propri titoli ma le spese ci sono, sempre.
→ Costi aziendali Gestione, amministrazione… La luce si paga, l’affitto dei locali pure, ci sono pulizie da fare, materiali di consumo da acquistare. Tutte voci che si devono ripagare e che rientrano inevitabilmente nel prezzo di copertina.
→ Magazzino. I libri occupano spazio e costano. Le giacenze costano. Gli invenduti costano. Un libro anche se fermo, costa. Lo spazio costa.
→ Promozione La pubblicità in tv, sulla carta stampata e in rete. Le presentazioni, i tour promozionali a zonzo per lo stivale. La partecipazione ai premi letterari. Ciascuna di queste voci ha un costo. E sì, la promozione ben fatta può portare un titolo al vertice della classifica ma i soldi tocca sborsarli.
→ Distribuzione. È il costo più alto. Si tratta di movimentare i testi e portarli in libreria e in tutti gli altri punti vendita, ma anche di riprenderli, se non vendono. La distribuzione è diretta quando la casa editrice ha risorse e personale per realizzarla (Mondadori per esempio) o indiretta se si affida a un distributore che movimenta i titoli, li presenta ai librai, si occupa della promozione… In Italia abbiamo per esempio Messaggerie (che, nel 2014, ha assorbito Pde di Feltrinelli) e tantissimi altri piccoli e medi distributori. Quanto costa? Si parla anche del 50-60% del prezzo di un libro.
Distributore, grossista, libraio… il prezzo di copertina è tutta una questione di sconti!
Come funziona? Il distributore acquista i titoli all’editore con uno sconto che va dal 45 al 50% e lo rivende al libraio con uno sconto di circa il 30%. Quindi, se il prezzo di un libro è di 15 euro, il distributore lo paga 8,25 euro e lo rivende al libraio a 10,5 euro. Occuparsi della distribuzione, paga; movimentare le copie ottimizzando i costi, paga (Amazon docet). Produrre e vendere libri, meno.
C’è da fare una ulteriore distinzione. I colossi editoriali (Feltrinelli, Mondadori…) ma anche i grossisti (Fastbook) utilizzano il conto assoluto. Cioè la proprietà dei libri passa dall’editore al libraio (per i colossi, facendo tutto al proprio interno cioè stampando, distribuendo e vendendo, ha un senso). Quindi a fine anno nella libreria tocca fare i conti di quante copie non sono state vendute. Il conto vendita prevede invece che la proprietà della merce (libri ma anche cancelleria e altri articoli) sia sempre dell’editore e che il libraio la esponga e, in caso di vendita, incassi una percentuale. Questo significa non prendersi totale carico dei rischi se un titolo non vende o vende poco, perché il libraio non li compra i libri.
Sempre in tema di librerie, molto cambia se è un soggetto indipendente o si tratta di una catena. Feltrinelli a differenza di un singolo esercizio, acquista grandi quantità di titoli e li distribuisce nei punti vendita (li impone ai punti vendita) riuscendo così a ottenere grandi sconti dai distributori (anche del 45%). E su chi si rivale il distributore? Sull’editore, ovvio, chiedendogli anche il 60 per cento sul prezzo di un libro.
Anche le rese sono un’arma a doppio taglio per l’editore. Tanto per cominciare regalano una minacciosa incertezza: i libri distribuiti non sono venduti e potrebbero tornare indietro (come fai a fare programmi così?). E anche se il libraio e il distributore rispendendo i titoli al mittente recuperano soldi, l’editore può solo decidere di smaltire le proprie giacenze mettendole nel circuito dei remainder (con prezzo di copertina ribassato anche del 90 per cento) oppure mandare i libri al macero (non si guadagna, si paga il trasporto dei volumi ma si abbattono i costi del magazzino e si fa posto ad altro).
Occhio: per una libreria in crisi di liquidità non è irrilevante potere rendere le copie, ma non è che si possa rendere tutto né farlo sempre. Il distributore guadagna quando porta i libri dall’editore al libraio, quando li recupera dal libraio, quando li tiene in magazzino (e se l’editore stampa troppo e vende poco, ci sono pure le penali).
Quindi a conti fatti quanti soldi incassa un editore? Se togliete i costi di ogni singola voce, di norma, il margine è del 4-5% sul prezzo di un libro, margine che sale al 7-8 per cento solo se le cose vanno davvero molto bene in termini di vendite. Quindi tornando alle nostre 15 euro, si parla di 0,75 euro o 1,2 euro di introiti a copia venduta. Vacche magre, signori.
18 comments
Quando c’è di mezzo una grande distribuzione, son sempre cavoli per chi si trova prezzi e compensi imposti… 🙁
Eh sì, purtroppo va così. Ma le cose stanno un po’ cambiando… gli indie stanno facendo gioco di squadra.
Ma per indie intendi scrittori indie o i fantomatici editori che non appartenendo a gruppi si definiscono indie?
Be’ dai Marco, NN, Indiana, 66ThanSecond, Clichy… eccetera sono indipendenti. Il che non vuol dire alieni o avulsi dal pianeta 😉 Ma non sono sottomessi in modo diretto e lampante alle logiche e ai diktat dei gruppi editoriali.
Sì certo, anche Iperborea e Tenué che a me piacciono particolarmente. (E su Tenué avrei da tirargli le orecchie). 🙁
No, la mia domanda era per capire meglio il discorso. Indie è ormai l’accezione di moda che si attacca a tutto: lo scrittore indie, il cinema indie, la musica indie e quindi l’editore indie.
Solo che secondo me, se indie è associato a un autore/cantante/regista ha più senso, in quanto indipendente, cioè non legato alla normale filiera che sforna il prodotto, si autoproduce. Mentre questi editori indie essendo imprese economiche, alla stessa stregua dei grandi gruppi editoriali, sono già a prescindere a tutti gli effetti entità indipendenti.
Quindi mi suona strano sentire editore indie, cioè indipendente da chi, da se stesso o dai concorrenti?
Però è chiaro che la lingua si modella sull’uso. E siccome sto sentendo sempre più spesso parlare di editoria indipendente, era così, per capire. 😉
La polemica c’è (in rete se ne parla parecchio). Per molti indie è sinonimo di “fuori dal sistema” quindi di chi non si inchina al dio denaro. Io intendo l’indipendenza di idee e scelte. La possibilità di essere svincolati dalle imposizioni del gruppo e dal marketing più terra a terra. Ma i soldi, se sei un imprenditore, non sono un optional. Anche perché detesto ormai tutta questa visione romantica del lavoro culturale come passione pura, mobilitazione dei giusti e compagnia cantante (mangiatela la passione, spalmala sul pane la passione!). Liberi del tutto mai. Chi di noi è libero? Quelli liberi stavano nei manicomi 😉
(Raccontami di Tunué, che ha fatto?!)
@ chiedo scusa per il refuso, intendevo: Tunué
Anche a me succede. Quella “u” non ne vuol sapere di stare al posto suo. Lassista d’una lettera!
Lo scorso anno, a Maggio qui http://bookblister.com/2015/05/11/libri-a-colacione-del-9-05-15/ mi lamentavo che non potevo comprare l’ebook di Mario Capello, l’Appartamento, perché Tunué non prevedeva l’ebook.
L’altro giorno sentendo parlare bene di Luciano Funetta, che a detta di molti con “Dalle Rovine” è il mio esordio italiano dello scorso anno, beh a che punto è Tunué con l’ebook? Niente. Dopo un anno, ancora tecnologia non pervenuta.
In pratica si autonegano l’acquisto d’impulso. Senti parlare di un libro, hai la curiosità di leggerlo subito, ma puff… Io sono ostinato, e online l’ho ordinato in cartaceo.
Però spesso mi domando: i piccoli editori, gli indie, si lamentano dei cattivoni della distribuzione in mano ai grandi gruppi. Del poco spazio concesso sulla carta stampata etc etc… Tutta roba vera, ma come dice il proverbio: aiutati che il ciel ti aiuta.
Lo so. Ogni volta che non trovo l’ebook soffro. Soffro e mi irrito. Soffro, mi irrito e non me lo spiego (cioè sì, ma le motivazioni non sono sufficienti per accettare che qualcuno si collochi fuori dal tempo).
Anch’io quando non trovo il cartaceo 😛
Scherzi a parte, non capisco questa avversione delle case editrici a produrre gli ebook.
Cioè, il difficile sta da file informatico a carta. Ma da file informatico a ebook è alquanto in discesa. Di che han paura?! Oppure semplicemente mancano le competenze informatiche adeguate? (come nella maggior parte della aziende italiane)
E’ vero, la confusione sul termine “indie” la percepisco soprattutto a livello musicale, dove alcuni avevano categorizzato un tipo di ballad melodico.
Invece “indie” è contrazione di “indipendent”
Siamo al tempo degli indie e dei pirati (informatici) 😛
Il fatto che in troppi “mangino” sul libro ha un grosso peso. Anche politiche sbagliate: e book a 10 euro e quasi esordienti con editori microscopici e pressoché sconosciuti a 20 euro cartaceo con carta scadente (sì, sto parlando di me). Alla fine è lettore medio che non conosce il giro si appella alla scusa dei libri cari. Non so quanto gli Indie stiano cambiando il mercato, di sicuro stanno tentando di cambiare le regole: qualche gradino in meno nella lunga scala non verso il successo, ma verso un minimo di visibilità e di vendite. Quel minimo sindacale che dia all’autore la possibilità di andare avanti e non deprimersi troppo. Perché in mezzo e di mezzo ci vanno sempre le storie, quelle belle che magari sono costose e non arrivano al lettore o altre cose poco simpatiche. I libri sì costano, ma davvero i lettori medi non si rendono conto di quanto poco rimanga in tasca a chi quella storia l’ha creata.
Si, i libri sono cari, “mediamente”.
Perchè è vero che si sono nuove uscite a 18 euro e te ne rendi conto che il prezzo è pompato. Ma è anche vero che dopo un mese o due quel titolo lo trovi nel mercato dell’usato a metà. Quindi in realtà basterebbe imparare ad acquistarli, i libri.
Solo che tutta questa fatica vale solo per acquistare un melafonino.
Un libro no. La lettura non è uno status symbol da sfoggiare…
Lo dicevo ieri nel delirante video. Se si bada alle offerte (un esempio: Neri Pozza ha ebook in offerta tutti i giorni a 1.99) si comprano tantissimi libri a prezzi stracciati. Certo bisogna badarci 😉
Ricordo di avere già letto un’analisi similare, forse proprio su questo blog e ogni volta mi rendo conto della difficoltà di arrivare a dama con una qualunque opera di ingegno, che sia racconto, romanzo, saggio, poesia. Se poi l’obiettivo è camparci, la cosa si fa decisamente ardua! Se poi scrivi in italiano, c’è da lasciare perdere. 🙂
Se poi rifletto su quanti sono i libri già scritti e da leggere nel limitato spazio di una vita umana, ho i brividi. Anche leggendo 100 libri l’anno (uno ogni 3 o 4 giorni quindi) e facendolo dai (mettiamo) 9 anni di età fino ai 99, avremo letto 9.000 – dico novemila – libri. Niente nei confronti dei milioni! Certo, di questi solo l’1% val la pena di essere letto, ma mette paura.
Eh sì, ogni tanto torno sull’argomento perché i dati un po’ cambiano. E i lettori me lo chiedono spesso il perché e il per come dei prezzi dei libri.
Scrivere sì, è un mestiere che non paga… ma leggere è un lavorone, visti i numeri!
E’ assolutamente vero.
Comments are closed.