I grandi problemi dell’editoria

I grandi problemi dell’editoria

Questa notte ho fatto un incubo. Ho sognato che all’editoria succedeva qualcosa di terribile! Diventava un posto in cui gli egocentrici potevano vaneggiare in libertà. Per lavorarci non servivano le competenze ma spirito di dedizione (altrui), frotte di volontari (spesso inconsapevoli) e sventurati benefattori (idem).

Qui, cioè lì, può succedere che tenti di fare lo scrittore. Non ci riesci – che quasi non ti leggi manco tu – e allora provi a fare il libraio. Vendere libri al confronto di vendere i tuoi libri è una passeggiata, diamine! Ma i lettori sono pochi e allora ti ritrovi con tanti tanti tanti libri ma pochi pochi pochi soldi. E allora cosa fai? Chiudi la libreria e apri una agenzia. Ché se non li sai scrivere, non li sai vendere, puoi insegnare agli altri a farlo. E procedi sereno, pronto alla prossima metempsicosi.

Gli autori pagano gli editori. Come fare l’impiegato e, a fine mese, consegnare lo stipendioPaura al proprio capo. Oppure portano liste di acquirenti (no lettori, serve che comprino mica che leggano) o devono essere muniti di sponsor (gente che sgancia). Perché pubblicare libri senza garanzie è roba per imprenditori e qui parliamo di gente appassionata.

Se tutto va male e la casa editrice chiude, poi tanto riapre. Cambia il nome, l’insegna, il logo ma non la faccia o la sede, ché traslocare costa. Alle volte quelli che dicevano male dell’editore – perché non erano stati pagati o conoscevano chi non era stato pagato – poi smettono. Basta pubblicarla certa gente e la memoria si resetta.

Ci sono agenti che sopravvivono facendo schede all’economico prezzo di ottocento euro. Pessime schede per pessimi libri. Alcuni si dicono entusiasti di un testo, poi però ci ripensano. Serve un editing. Facciamo due. Signora, che faccio, lascio?

Il tempo da queste parti scorre lento. Lentissimo. Ci vogliono mesi per dare un occhio a una sinossi, anni per leggere un intero libro. Ere geologiche per farsi una opinione. Attendiamo l’estinzione per ricevere un responso.

I cattivi dell'editoriaE se non vi sembra un incubo abbastanza spaventoso sappiate che vi parlo di un posto in cui l’editore indipendente si fa bello con iniziative per libri e lettori ma appena può non paga un copeco. I racconti? Gratis. La poesia? Gratis. Le raccolte? Gratis. Si dà da fare un mucchio per comparire in ogni campagna/premio/trovata ché lavarsi la coscienza è un lavoro a tempo pieno.

C’era pure l’editore che diceva di combattere i cattivi – quelli brutti e sporchi che non pagano – ma poi, candidamente, ammetteva di non dare le royalty agli autori che pubblicava. Perché, poraccio, altrimenti avrebbe dovuto chiudere! Così quando vendeva i libri scritti dagli autori – un hobby, è chiaro – si intascava tutto il prezzo di copertina. Per passione eh, mica per altro.

Poi, grazie al cielo, mi sono svegliata. Sono corsa a controllare e i grandi problemi dell’editoria erano sempre gli stessi! I non lettori – bestie, capre, ignorati – che proprio non vogliono saperne di spendere 20 euro per quella saga erotica – ma è letteratura, diamine – e quei brutti e sporchi tipi di Mondadori che vogliono conquistare la Terra.

Così, insieme con tutti i personaggi sugli scaffali, ho tirato un gran sospiro di sollievo e mi sono riaddormentata.

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10 Comments

  • Mi sa che questo incubo l’abbiamo fatto in tanti…

  • L’editoria è un incubo talvolta, sì. E’ un carrozzone malfunzionante, e il malfunzionamento non è un non funzionamento totale, è come la mia lavatrice quando si è messa a fare le bizze, io non le ho dato retta, l’ho stipata di bianchi e alla fine è successo il patatrac. A volte però va, basta raddrizzare il tiro, cambiare la scheda, e l’incubo finisce, per il sogno paradisiaco la strada è ancora lunga: i lettori scarseggiano, gli editori che non pagano continuano a fare vittime, i libri brutti sugli scaffali e quelli belli nei cassetti anche, ma il sogno piccolo, quello che fa star bene esiste sul serio, forse occorre solo prendere la tisana giusta la sera prima.

    • La tisana aiuta 😉 Ma per risolvere i guai tocca ammetterli. Il problema dell’editoria? Non rivela le cifre, non svela le rogne, depista… e non si accorge che si gambizza un poco alla volta.

  • “Se tutto va male e la casa editrice chiude, poi tanto riapre. Cambia il nome, l’insegna, il logo ma non la faccia…” … Come per la politica, dove a farla sono sempre gli stessi che si riverginano a ogni giro cambiando la sigla al partito… 😉

  • “E allora cosa fai? Chiudi la libreria e apri una agenzia. Ché se non li sai scrivere, non li sai vendere, puoi insegnare agli altri a farlo. E procedi sereno, pronto alla prossima metempsicosi.”

    QUESTA VA DRITTA DRITTA NELLA MIA PERSONALISSIMA DECINA DI FRASI DA INCORNICIARE 😀 😀 😀

    • Sembra una barzelletta… la realtà ha in effetti un certo senso dell’umorismo. 😉

  • Incubo ricorrente con alla base un numero di lettori inferiore al resto del mondo civilizzato e devaticanizzato. Qui da noi si pensa, si prega, si chatta, di riflette, si dibatte, si argomenta, si denuncia, si querela ma leggere giammai! E che so’ malato! 😀
    Io se in questi anni non avessi riempito con la lettura il vuoto assoluto lasciato dagli affetti (morti) e dal lavoro (svanito) avrei sul serio fissato un frontale con il Freccibianca delle 18:18. Esistono davvero i romanzi capaci (senza promettertelo) di dare ossigeno all’esistenza. Ecco, forse chi è distratto dalla vita (dalla sua miserevole vita, miserevole quanto la mia, quanto quella dei più) forse non ci arriva e si auto anestetizza con altro. Forse gli servirà ad arrivare lontano (con l’età), ma temo che poi certi passaggi se li sarà persi per sempre…

  • La volontarietà del “lavoro” (aggratis) è una caratteristica dei nostri tempi. Non riguarda l’editoria, ma riguarda tutto. L’editoria ha a che fare più con l’arte e con l’intrattenimento e, paradossalmente, dovrebbe essere per questo meno vulnerabile ai processi di automazione che sono quelli che portano via lavoro e soldi ai bipedi. Il problema (se è un problema), è che dove c’è creatività c’è più voglia di infilarsici. E allora ecco che tutti vogliono fare musica, tutti voglio fare cinema e tutti vogliono scrivere un libro (a volte anche io!). Forse (e sottolineo forse), è questo lento processo di democratizzazione dell’arte (se stiamo parlando di arte) a rendere il gesto artistico (quindi anche la scrittura) meno valorizzabito e quindi di conseguenza meno vocato a essere remunerato. Gli scrittori famosi continuano a fare grano come sempre: è la sterminata platea di gente che scrive e pubblica (e che prima semplicemente non esisteva) che fa la fame…

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