Lettere da Berlino (le parole, alle volte, sono fatti)

Lettere da Berlino (le parole, alle volte, sono fatti)

Esce nelle sale il 13 ottobre Lettere da Berlino di Vincent Pérez con Emma Thompson, Bradian Gleeson e Daniel Bruhl tratto dal bestseller di Hans Fallada Ognuno muore solo (Sellerio).

Berlino, 1940, il regime nazista semina morte e conta le proprie vittorie. Il führer pretende dedizione: la macchina bellica ha bisogno di uomini forti e produttivi.

Per Otto (Bradian Gleeson) e Anna Quangel (Emma Thompson) guerra significa ricevere una lettera che li informa che Hans, il loro unico figlio, è morto combattendo in Francia.

I Quangel, un operaio e una casalinga, sono due persone rette, semplici che ormai vivono l’uno accanto all’altra con apparente distacco, come se il loro affetto si fosse corroso e i gesti più semplici – una carezza, un abbraccio – fossero divenuti innaturali. Ma Anna e Otto sono soprattutto un padre e una madre la cui unica ricchezza, il cui unico legame, era rappresentato dal quel figlio caduto in guerra.

“Al führer ho donato mio figlio, cosa potevo dargli di più?” si chiede Otto. È uno strappo insanabile questo lutto ma rappresenta anche l’occasione per fare i conti con la realtà che lo circonda: le bugie del führer (Lügner, il bugiardo, così lo chiama), l’orrore, la violenza cui si è sottoposti tutto diventa tanto evidente da essere intollerabile. “Ci siamo liberati da questo regime” dice Otto ad Anna.

Inizia così la sua piccola rivolta: scrivere cartoline in cui smaschera il Reich, lo sbugiarda mettendone a nudo l’insensatezza e la disumanità. “Madre! Il führer ha ucciso mio figlio” e ancora “La guerra di Hitler è la morte del lavoratore”. Cartoline che poi dissemina per la città anche grazie all’aiuto di Anna che presto si rende sua complice, terrorizzata dal fatto che possa essere scoperto e quindi di perderlo.

La libertà è un bene pericoloso in una città dominata da un regime totalitario in cui l’aria è composta più da paura che da ossigeno. Ma per Otto questa “stampa libera” vuol dire “infilare sabbia negli ingranaggi della macchina”, per farle perdere colpi ma anche per guardare l’effetto che fa. E non si tratta solo di combatte per una idea ma di andare a caccia dei propri simili. Persone libere, persone capaci di vedere davvero l’orrore che li circonda.

Quando diverse cartoline vengono consegnate alla polizia il caso finisce sulla scrivania di Escherich (Daniel Bruhl, il personaggio senza dubbio più forte e contraddittorio) ispettore della Gestapo che si mette alla disperata ricerca dell’“Uomo ombra”, così lo battezza quasi fosse un gioco. Presto però non si tratterà solo di cucire la bocca a un rivoltoso ed Escherich rischierà ben più del proprio posto.

L’attore e regista svizzero Vincent Pérez costruisce un thriller drammatico, onesto e coinvolgete, basandosi sul capolavoro dello scrittore tedesco Hans Fallada, Ognuno muore solo (Sellerio) pubblicato per la prima volta nel 1947. Il romanzo è ispirato alla vera storia di Otto ed Elise Hampel rinvenuta in alcuni incartamenti della Gestapo che lo scrittore ricevette da un collega al termine della guerra.

Pérez e Achim von Borries riescono nell’impresa di ridurre le quasi 700 pagine del romanzo senza stravolgerlo né eccedere – nessuno scivolone melodrammatico – anche se alcuni elementi narrativi, forse quelli più struggenti e indigesti vengono un poco ammorbiditi. Gli interpreti principali sono impeccabili ma altrettanto riuscito è il lavoro di quelli secondari.

La storia di questa coppia è, infatti, anche la storia di un palazzo e di coloro che lo abitano: il giudice integerrimo, la vecchia ebrea che si è rintanata in soffitta, i ladri che non hanno pietà e gli invasati che osannano Hitler e il Reich… un microcosmo che permette allo spettatore di capire alla perfezione cosa significasse vivere il nazismo da tedesco in patria.

Lettere da Berlino parla di libertà e giustizia. Ed è anche la storia di una coppia che passa dai silenzi all’azione e grazie a una battaglia comune si riappropria delle parole, dei ricordi e dell’amore che li lega. È un film che ci ricorda, ancora una volta, che le parole hanno il potere di salvarci perché ci permettono di scegliere chi vogliamo essere regalandoci persino il coraggio per affrontare la morte.

Voto 7

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