Perché (non) partecipare a un concorso letterario?

Perché (non) partecipare a un concorso letterario?

Racconti, poesie ma anche romanzi: è pressoché incalcolabile il numero di concorsi indetti sul suolo italico, vale la pena iscriversi e a cosa è bene fare attenzione?

Soldi, premi, pubblicazioni, soprattutto una occasione per farsi leggere. E, ancor di più, la possibilità di confrontarsi con giurati che di mestiere fanno gli scrittori o lavorano nella filiera editoriale. Voglia di mettersi in gioco. Curiosità.

Sono tanti i buoni motivi per partecipare a un concorso letterario e mettersi volontariamente nei pasticci. Vale a dire farsi venire una idea – alla svelta, ma di solito questa arriva il giorno prima della scadenza – realizzarla e rispettare le regole a cominciare dal tema e dal genere richiesti… Senza contare che, se amate scrivere racconti, i concorsi sono una delle occasioni in cui vengono più richiesti.

Per prima cosa dovete leggere con attenzione il bando del concorso letterario

Non vale sempre la pena partecipare, però. Per decidere occorre innanzitutto leggere con attenzione il bando. Moltissimi autori, invece, si buttano nell’impresa senza sapere chi organizza il concorso, perché, se vengono richiesti soldi, chi è l’editore coinvolto per la pubblicazione dei vincitori (nel caso ce ne sia una). Vale sempre la regola: se vuoi fare sul serio, cerca persone serie e iniziative serie!

Depenniamo subito i concorsi senza giuria e, manco a dirlo, quelli che sono organizzati da editori a pagamento. A meno che non vogliate buttare tempo, soldi e dignità, sia chiaro.

Tassa di iscrizione sì? Tassa di iscrizione no?

C’è la tassa di iscrizione? Per me è un buon motivo per fare “ciao ciao” con la manina. A molti parrà incredibile ma indire un concorso non è obbligatorio soprattutto se non si hanno i fondi per farlo.

Perché, diciamolo, per organizzare un premio i soldi servono eccome. Si tratta di stipendiare un team e far fronte a diverse spese: segreteria, comunicazione, selezione, giuria, premi. Quindi o si hanno i quattrini o ci vuole qualcuno che sostenga l’evento. Questo fanno i premi seri, cercano sponsor con cui pagare le spese organizzative.

Sapete come funziona nello sport? Talvolta si paga per partecipare alle gare ma i soldi vanno nel montepremi. Il paragone non regge però perché gli sportivi hanno sponsor che li sostengono o hanno alle spalle una società che paga tali spese. Gli autori, al massimo, hanno il porcellino da rompere.

Molto spesso i premi sono indetti da associazioni che chiedono agli autori di iscriversi. Succede per esempio con “La stanza di Linda racconta” organizzato da Linda Pulvirenti che ha dato vita a una bella iniziativa – la stanza di Linda – e ospita gli scrittori in quel di Vigevano. Si partecipa con un racconto e si vince la pubblicazione del testo in ebook, l’editore è Emma Book. E fin qui sarebbe tutto bellissimo. Peccato che si partecipi pagando 10 euro per tesserarsi.

Accade con il premio “Racconti nella Rete” che di euro ne chiede 30, sempre per associarsi. Idem per Inedito – premio super patrocinato (ma si sa che i patrocini son sempre “senza portafoglio”) con tanto di gloriosa premiazione in quel del Salone di Torino – che chiede 30 euro per associarsi: qui si vincono soldi, soldi che però non intasca l’autore ma sono un “contributo alla pubblicazione” e quindi vanno all’editore che pubblica il testo (se volete farvi del male o ridere a crepapelle andate nella sezione “pubblicazioni” del sito).

E perché, di grazia, per essere pubblicato dovrei pagare 10, 15 o 30 euro? Sempre che io vinca, perché se perdo, pago e basta. E poi i soldi che fine fanno? Come vengono impiegati? Per sostenere le iniziative dell’associazione?

Curioso, perché una associazione dovrebbe offrire qualcosa ai suoi membri, cioè al proprio pubblico, per esempio un programma di incontri interessante. I soci si iscrivono per questo, per assistere agli eventi, no? E i fondi prodotti dovrebbero servire per organizzare altri appuntamenti e attrarre nuovi soci e così via. E se ho uno spazio per eventi lo affitto e mi faccio pagare, se no come diavolo penso di sopravvivere? E se decido di fare beneficienza, la faccio ma le spese non possono sempre gravare sul nutrito esercito degli autori esordienti.

Un autore per pubblicare o partecipare a un concorso deve pagare?

10 o 30 euro sono pochi? Non cascate in questa semplificazione! Il guaio qui è che ci stiamo assuefacendo all’idea che per pubblicare tocchi sborsare qualcosa. Che è una evoluzione in negativo della convinzione che scrivere sia un hobby e vada fatto gratis (e se ti pubblicano, evviva!, ti prostri davanti all’editore che ti ha fatto la grazia), una convinzione che c’entra assai con l’immagine triste di un autore che gira l’Italia a sue spese per promuovere il libro per cui magari non ha manco preso un anticipo.

Gli autori vengono retribuiti per il proprio lavoro, perché scrivere è un lavoro. Chi vi dice il contrario è un autore che non viene pagato o qualcuno che non vuole pagare.

Il dramma? Non sono solo gli esordienti a pensare che pagare per farsi leggere e magari “vincere” una pubblicazione sia normale ma scrittori, editori, giornalisti che non sollevano alcuna perplessità in merito.

Altrettante persone invece sono certe che questo sia uno dei tanti meccanismi malati della nostra cara editoria che campa sui volontari, chiede agli autori “sponsor” per pubblicarli, si dimentica di promuovere i titoli che pubblica, parla di un libro solo se le conviene, fa un lavoro nella filiera (spesso poco amato) esclusivamente per arrivare – un giorno – a pubblicare il proprio testo.

Cari autori, con i 10 euro compratevi un libro, andate al cinema o beveteci su! È meglio. A breve parleremo di concorsi che per me valgono il vostro tempo. E se ne conoscete di validi, condividete!

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26 Comments

  • Ho un po’ di arretrato di letture, ma ce la faccio eh! 2017 iniziato in corsa, anzi, in challenge!
    Devo dire che queste considerazioni le avevo fatte anch’io, sentendo le varie esperienze tra gli amici. Attendo adesso di sapere se ci sono concorsi “buoni”. Sul GialloCarta che ho seguito, aggiungerei che spesso i concorsi mancano di comunicazione adeguata: non è ammissibile avere più pagine, più social, alcuni vivi, alcuni morti, alcuni non si sa…

    • Eh ma tu sei molto molto avanti a guardare alla comunicazione! 😉
      Alcuni fanno il concorso e non hanno manco un sito o un luogo in cui informarsi o una segreteria o un ufficio…
      Insomma, ci siamo capite.

      😉

  • Brava bravissima! 😀

  • … E visto che mi hai convinto, sai che ti dico? Desisto!, e i 20 € li trasformiamo in due pizze, una birra ed una coca ghiacciata —> https://noirisrock.files.wordpress.com/2017/01/bando-concorso-letterario.pdf

    Però l’editore merita, dai… 😉 😀

    • Hai fatto bene. Mi spiace solo per gli scrittori/giornalisti in giuria che dimostrano ancora una volta di non leggere i bandi per i quali “mettono la faccia” o, peggio, di averli letti e aver trovato tutto normale.
      Partecipa al Neri Pozza con un bel romanzo. Rischi di vincere 25000 euro! O partecipa al Premio Chiara. O partecipa a Giallo Carta…
      E buona pizza! 😉

      • Amen. in meno di un anno ho pubblicato racconto su tredici riviste letterarie e, considerata la mole di testi che viene loro lo ritengo un buon successo, certamente più soddisfacente che buttare soldi nei concorsi a pagamento

        • Direi proprio che è un successo!
          Bravo, Luca 😉

  • Ciclicamente faccio una cernita dei concorsi di narrativa e versificazione sui siti aggregatori. Se va bene, dopo un centinaio di concorsi controllati, ne metto insieme 5 (cinque, di numero) che non chiedono di pagare il pedaggio. Che mestizia.

    • Lo so, Alessandro.
      Sono pochissimi! Meglio però faticare per cinque occasioni buone che perdere tempo, no?

  • Ho letto con interesse l’articolo. Ho partecipato e partecipo tuttora a parecchi concorsi letterari; ci sono concorsi validi e quelli farlocchi da scartare subito. Credo che il concorso letterario possa essere una sorta di palestra per esercitarsi nella scrittura e mettersi alla prova seguendo i vari temi proposti. L’opera viene giudicata in forma anonima e se viene scelta tra centinaia è un buon segnale d’incoraggiamento. Pagare 5€ oppure 10€ a un’associazione culturale non lo trovo disdicevole: la cultura va sostenuta in ogni modo purché serio. Il Governo taglia da tempo i fondi destinati alla cultura, che gliene può interessare della formazione delle menti italiane? Taglia i fondi pure alla scuola! Ben vengano quindi le associazioni come ” La stanza di Linda” che operano con entusiasmo ed energia tutto l’anno organizzando incontri con gli autori ed eventi di promozione culturale ( la luce, il riscaldamento e l’affitto di un piccolo locale si devono pur pagare in qualche modo e nessuno regala niente al giorno d’oggi, e se ci resta un caffè per chi spende ore del suo tempo non retribuito va benissimo! ).
    Io stessa organizzo concorsi letterari su una pagina Fb, ma sono gratuiti. E’ uno spazio in cui trovarsi per scrivere, confrontarsi e mettersi in gioco divertendosi. Inizialmente ho voluto garantire dei premi per i vincitori e l’ho fatto di tasca mia, piccole cose, ma anche le piccole cose costano; sono stata aiutata da un paio di persone che mi hanno onorato di un contributo volontario di sostegno alla pagina. Concludo dicendo che tra tanti fanfaroni c’è chi fa la differenza e merita. Grazie
    Stefania

    • Cara Stefania,
      io penso che la cultura debba fare sul serio. E per fare sul serio bisogna fare gli imprenditori. Se organizzi qualcosa, investi, usi le tue competenze e guadagni.
      Se non guadagni allora fai volontariato. E mi sta bene. Però i soldi sono i tuoi. Non mi sta bene che tu faccia cassa con i soldi di qualcuno che paga per farsi leggere un racconto (da chi?) e vincere un ebook (ma davvero?). Anche se la cassa va per degli incontri culturali. Mi dà l’idea della catena alimentare. Il problema è essere l’ultimo anello…
      Se hai uno spazio guadagni con quello. Affittarlo? Non è una cattiva idea. Se hai uno spazio, lo dai in gestione. Organizzi eventi e fai pagare un biglietto. Vuoi pagare gli scrittori? Che bello. Ma se non hai i fondi, non puoi farlo. E se non puoi pagare la luce, allora hai tu un problema: il tuo progetto non sta in piedi.
      In Italia ci sono troppo progetti, troppi festival, troppe idee che vivono sui volontari e su quelli che pagano “solo” dieci euro. E i risultati si vedono.
      E comunque se pure tu senti il bisogno di dire che organizzi concorsi gratuiti, non credo ci sia altro da dire. Sono felice tu lo faccia. Tra tanti fanfaroni c’è chi fa e non pesa su nesso. E a suo modo fa la differenza.
      Grazie a te.

      Chiara

  • Sono d’accordo.
    E’ drammatico come si riesca a illudere tanta brava gente anche con pochi soldi, e i peggiori sono quelli che chiedono briciole, ché è facile aderirvi, dieci o cinque dollari non pesano.
    Si fa cultura con la tasca degli altri e oggi è diventato un mestiere, gli Eap* poi sono subdoli, ti chiedono per la pubblicazione non direttamente soldi (ce ne una grandissima che ha il nome di un pesante uccello) ma di comprarti un centinaio di copie che ti rivendi tu, facendo due calcoli, questi tipografi che hanno in portafoglio una trentina di “Codice ISBN” (che si comprano e si tengono congelati), tra i cento che compri e un altro centinaio che sfanghi a qualche presentazione in un dopolavoro rionale riescono a recuperare i soldi per la stampa con un buon guadagno.
    Scrivere e studiare, e leggere, e partecipare a concorsi seri, facendo ricerche specifiche, molti che chiedono la quota sono seri ma bisogna indagare e capire come hanno premiato negli anni precedenti, e con quali modalità.
    Altrimenti non ce lo ha ordinato il medico di scrivere, possiamo guardarci Billy sul Tg1 la domenica a pranzo.

    • Tutto giusto ma nel 2017 basta fare una ricerca online per sapere se stai buttando i soldi. O se stai pagando per pubblicare. O per partecipare a un concorso.
      In passato è vero toccava fare i conti con la voragine, la mancanza di informazioni. Oggi non è così. E se una cosa ti importa, informati!
      Comunque ci sono ottimi concorsi gratuiti. Ne parliamo nei prossimi giorni.
      Ciao, Max!

  • Interessante. Mi sono permesso di ribloggare.

  • Sono vecchio, ormai, e nessuno riuscirà a farmi credere che ci siano così tanti bravi scrittori come parrebbe dai premiati e menzionati che vedo in internet, o anche dalla memoria del “fu” cui è dedicato un concorso letterario. Un “fu” che valeva forse ben poco, ma tanto non fa nulla, ogni campanile ha il suo campanone. Ho sempre scritto e non mi sono mai dato da fare per pubblicare, e forse ho sbagliato, lo ammetto. Comunque, tutti dipingono, tutti scrivono e tutti cantano o fanno i cuochi. A fronte di ciò, pochi studiano i classici antichi, pochi soffrono per affinare un proprio linguaggio, pochi analizzano le immagini che hanno nella propria mente. E quasi nessuno segue un iter interiore. Ho l’impressione che la stragrande maggioranza butti giù le parole e scambi i lambiccamenti o lo strolegare ipercerebrale per bravura letteraria. Stringi un elaborato fra i tanti e non ne esce nulla davvero, osservi poi una delle tante pagine pubblicate e vedi il sentimentalismo, non il sentimento. Pare tutto sabbia arida. Peccato. Resta comunque un dato che è un plinto per ogni società umana: lo scrivere fa parte dell’Arte e quest’ultima deve ingentilire gli individui e renderli forti al tempo stesso, e svelare la differenza fra il sentimento nobile e quello ignobile, e fra il sentimento e il sentimentalismo. Ciao.

    • Mamma mia, Aldo, che brutta gente frequenti e che brutti libri leggi! Scherzo dai 😉
      Per fortuna ci sono belle persone, ottime idee, storie che valgono la pena di essere lette e tanto tanto altro. Direi che la prima cosa da fare (e riguarda anche i classici) è selezionare. Scegliere bene. Non solo i concorsi!

    • Sono d’accordo con te. Ho 24 anni e tre giorni fa ho terminato il mio primo racconto. Scrivo da 15 anni, studio da 5 anni. Cosa studio? Tutto. Cosa ho imparato? Che la tecnica non blocca il flusso artistico, ma permette a quest’ultimo di arrivare nel giusto modo. Forse, alla maggior parte, questo concetto non è noto. Forse, in quest’epoca, non siamo abituati più a riflettere. Che cosa ci aspettiamo, dunque, che nascano davvero le opere letterarie del nuovo millennio? Dubito. Siamo più bravi a photoshoppate le foto.

  • Può darsi che io sia vecchiotto, ma non me li sento di certo. Leggo le vostre osservazioni e resto comunque della mia idea che oso definire primaria: ci sono troppi illusi e illuse che credono di scrivere bene, MA ci sono altrettanti presuntosi che credono di saper giudicare un testo e sono invece mediocri giornalisti o scrittori da strapazzo e questo rientra nel triste caso dell’Italia dei raccomandati e delle corruzione intellettiva e culturale ormai diffusa a macchia d’olio: si va dagli studenti lazzaroni e impreparati che affollano le scuole strutturate da ministri ignoranti che hanno fatto leggi sballate e distruttive, tali da affossare la cultura e capacità letteraria. E poi c’è la decadenza della VIRTUS nell’arte, cioè la ricerca di una risposta al dramma della vita, di una creazione che sollevi l’uomo dal suo abbattimento ingenerato da tante cose avvenute nel corso di troppi decenni. Io non so, ma se fossi un giurato non premierei mai e poi mai testi che siano null’altro che il solito melenso ritornello nichilista di dolori e lacrime senza riscatti di sorta, che parlino solo di miserie e povertà e buoni sentimenti che sanno di rassegnazione e preghiere o di sogni zuccherati che non cambiano di un millimetro la realtà amara senza sbocchi descritta e riproposta, null’altro che sentita da individui qualsiasi con un sentire qualsiasi. Eppure molte scelte stanno ancora ferme alla fase del compitino ben svolto, dei soliti modi di sentire e delle solite tematiche trite e ritrite : il povero immigrato, la morte di questo o di quello descritta e lacrimata e basta, il ricordo del tempo che fu, la natura bucolica e del fiorellino o della pianta antica con la lacrima antica, i ricordi d’infanzia dei quali non ce ne frega proprio un bel nulla, la storia del solito tormentato in un mondo cattivo, e poi tanta, tanta, tanta psicologia d’accatto o scontatissima, un parlare che si parla addosso, un ripetere stantio e monotono del mondo alla Camus e chi altro, ripetizioni e versi fatti ad altri scrittori che son passati per la maggiore ma che magari nemmeno lo meritavano, in fondo. E poi c’è di mezzo il gusto, il gusto generale del lettore, e se i lettori sono abituati ad un certo cibo, allora sono guai, per chi vuole esprimere, che so, il paganesimo antico invece che il cristianesimo bigotto, il distacco dai vizi invece che il compiacimento d’una vita scioperata, la rivolta contro il nichilismo dilagante invece che la solita polenta in salsa psicanalitica o da new age o da lode del nulla.

  • Brava Stefania. Io penso che non sia giusto fomentare coloro che sono appassionati alla scrittura dicendogli che non si deve partecipare ai concorsi, dove si deve pagare una quota di partecipazione, così come dire a chi vuole pubblicare che non deve pagare. E ciò perché si inculca nella gente la certezza che ciò che scrive ha sempre sicuramente un grande valore. No, non è così. Siamo forse centinaia di migliaia a dedicarsi allo scrivere, ma pochi sono quelli che hanno un vero valore. E di questo bisogna rendersene conto. Che poi ciò che si scrive abbia per noi una certa importanza , è indiscutibile, ma bisogna capire che chi organizza una casa editrice piccola o media ha dei costi. E un titolare non può ovviamente spendere il proprio denaro per soddisfare le aspettative, o le velleità di ogni provetto scrittore. Io una volta , ero giovanissimo, mi sono presentato alla Mondadori di Milano portando due lavori: uno di ricerca su poesia della mamma, (che a quel tempo non esisteva alcun testo, uscito invece qualche anno dopo da autori laureati e affermati nel campo letterario, e uno di mie poesie. Ebbene il portiere che si trovava al piano terra quando gli ho spiegato che volevo sapere a quale ufficio mi dovevo rivolgere per il mio lavoro mi ha detto, con un un tenero sorriso sulle labbra: “Guardi, solo perché lei viene da Sanremo, e quindi ha fatto tanta strada, ed è un giovane simpatico, la lascio passare. Io intanto telefono alla signora che si occupa di queste cose. Prenda l’ascensore e vada all’ultimo piano. La riceverà la segretaria dell’ufficio competente. ” Lo ringraziai e pieno di entusiasmo salii in ascensore. Giunto al piano ho fatto appena in tempo a compiere tre passi che m’imbatto in una signora che mi stava venendo incontro. Con un altrettanto tenero sorriso mi dice subito, porgendomi in modo cordiale la mano: “Senta, non la lascio neanche parlare perché noi, e non si offenda, non trattiamo con personaggi sconosciuti. Lei potrebbe avere il miglior capolavoro della letteratura italiana, ma per noi è uno sconosciuto. Vede, noi per ragioni editoriali dobbiamo prendere in considerazioni solo lavori di personaggi famosi. In questi giorni è appena uscito il libro di Marina Ripa di Meana, non è un capolavoro, ma per la linea editoriale è importante perché è un soggetto interessante e conosciuto. Lei quindi si deve rivolgere minvece alla piccola editoria, e cercare la casa editrice che lo può aiutare. Però non si faccia illusioni che gli pubblichino gratis i suoi lavori. Deve capire che la pubblicazione e la conseguente distribuzione (che in genere le piccole case editrici non se ne occupano, perché deve essere l’autore a preoccuparsene) ha dei costi e se la Casa non è certa che i suoi investimenti possano rendere dei guadagni, difficilmente si impegnerà a pubblicare la sua opera senza un certo compenso che verrà poi trasformato in un certo numero di volumi che a sua volta dovrà occuparsi di diffondere personalmente.” Questo per dire che la massa che scrive non deve illudersi continuamente di poter essere pubblicato gratis se non non è un sicuro o potenziale soggetto interessante sotto l’aspetto culturale. Anch’io e mia moglie abbiamo da anni in cantiere ogni anno un Concorso Letterario “Il Fantasmino d’Oro”, concorso itinerante fra i Castelli del Piemonte, ma se non chiedessimo una quota di partecipazione, non potremmo dare premi, non potremmo assicurare un’antologia per partecipante, né ottenere le sale dei vari castelli o almeno sale consiliari dei comuni con castello, né offrire il pranzo ai primi classificati nelle varie sezioni. Anche noi (io e mia moglie) scriviamo e cerchiamo di pubblicare, ma ci siamo resi conto che è un ambiente particolarissimo, complicato e difficile, però non sono le case editrici le più colpevoli delle disavventure degli appassionati di scrittura, ma molto va ricercato forse su ciò che si scrive. E comunque come in tutte le attività umane: mille si adoperano, “ma uno su mille ce la fa”. come dice la canzone.

    • Io ho riso moltissimo.
      Grazie!

  • E’ la prima volta che mi soffermo a leggere talune considerazioni inerenti gli scrittori; devo dire che alcune mi hanno lasciata muta… Penso, anche se scrivo da qualche anno ormai, che non sia la strada del successo, quella intrapresa; è di certo molto difficile, anche se ho vinto diversi premi e gli stessi mi abbiano invogliata a continuare. E’ qualcosa di innato che ho dentro me, non devo concentrarmi molto, mi viene davvero spontaneo ciò che scrivo, sia in poesia che in prosa e quando
    vengo informata del risultato, vivo un’emozione immensa! Rifletterò se continuare o meno, o meglio, se spedire o meno, poiché fermarmi dallo scrivere mai, è qualcosa che mi aiuta a vivere, sì per me è vita!

  • …alla fine me ne sono inventato uno io! 🙂

  • Molto interessante, pensi che avevo il dubbio che fosse così, ma non essendo del mestiere pensavo fosse la mia solita diffidenza… I miei sospetti sono iniziati come sensazioni e si sono definitivamente concretizzati quando mi sono accorta che tra i finalisti di un concorso a cui partecipavo da un paio d’anni ci fosse nientemeno che un testo di…NERUDA, ovviamente presentato come proprio da un “autore” che non ritengo però colpevole quanto l’ “editore” che non se n’è “accorto”….Dispiace vedere che spesso sia proprio così, cercherò altro seguendo le sue indicazioni.

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