Tornano i Libri a Colacione, la rubrica dei libri di Tutto Esaurito su Radio 105! Ecco i BookBlister consigli della settimana: Di cosa stiamo parlando AA.VV. introduzione di Filippo la Porta e Darke di Rick Gekoski.
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DI COSA STIAMO PARLANDO
Autori Vari, introduzione di Filippo la Porta, Enrico Damiani Editore, p. 103
Prendete dieci scrittori, giornalisti, poeti, linguisti… e a ciascuno affibbiate un tic verbale, una di quelle frasi che ormai sono entrate nell’uso comune della lingua, nell’italiano che insomma adoperiamo tutti i giorni. Come “anche no. Allora ditelo. Accaventiquattro. Alla grandissima…”
Frasi fatte, espressioni di moda, cliché espressivi, interiezioni ricorrenti sono inevitabili e in un certo senso universali: la lingua è un organismo mobile, impuro, ibrido proprio in quanto vitale.
Non si tratta ovviamente di diventare giudici e vagliare cosa sia o no linguisticamente deprecabile, né di bacchettare gli stereotipi della lingua (che è cosa da polverosi snob, peraltro). Ma cercare di capire. Perché le parole, oltre a essere importanti come diceva Nanni Moretti, sono indizi preziosi del cambiamento dei tempi. Sono spie che mostrano il passare del tempo, la trasformazione del costume e della mentalità.
I tic linguistici formano dunque un codice trasversale e diffuso, “parole stampella” che perlopiù ci servono per riprendere fiato.
È una specie di viaggio antropologico questo libro. Solo che stavolta non guardiamo al nostro modo di abbigliarci o di truccarci, oppure a come condividiamo il divertimento a quali strumenti facciamo ricorso… ma badiamo al nostro modo di comunicare. Teresa Ciabatti, per esempio, ci racconta che quello che sembra un piccolo passaggio dall’uso di “alla grande” a “alla grandissima”, in realtà ci restituisce la storia d’Italia degli ultimi quarant’anni. Nadia Terranova invece – che ha una insofferenza verso chi se la prende con i tic verbali e la considera una “latitanza di fantasia” – e ci sfida a trovare “nelle espressioni orrende” un senso nuovo, come fa il poeta con le parole.
Io però quando leggo “ciaone” non penso “che schifo, che oscenità”, penso a Gianni Rodari, penso a indire una gara rodariana dentro una terza elementare, penso a scatenare bambini a scrivere e poi eleggere il miglior limerick apocrifo.
L’obiettivo? È riflettere e ricordarci che quando utilizzano queste espressioni in realtà stiamo comunicando poco, stiamo rinunciando a fare uno sforzo. Usare le espressioni trite è un po’ come parlare con le parole degli altri e quindi esprimere i pensieri degli altri.
A volte però l’intera comunicazione sembra ridursi a questi cliché linguistici, che somigliano ad una fittissima nebbia verbale, quasi lo schermo di una preoccupante afasia sociale.
Quindi cercare e trovare le proprie parole significa identità espressiva e libertà espressiva. Insomma, l’obiettivo è esprimersi in modo personale e naturale. L’obiettivo è farsi capire per davvero!
DARKE
di Rick Gekoski, traduzione di Chiara Codecà, Bompiani, p. 325
Si chiama James Darke il protagonista di questo libro. Ruvido, schietto. A tratti sociopatico. Anche se, in realtà, la vera protagonista di questa storia è Suzy, la moglie di James. Una donna concreta, terrena, dotata di un fulminante senso dell’umorismo.
I miei sensi sono fuori controllo, prepotenti, insidiosi. Riesco ad annusare i resti in decomposizione delle mosche sul davanzale, la luce del mattino mi brucia la retina, il residuo del dentifricio mattutino mi copre le gengive, i polpastrelli mi pizzicano quando vengono a contatto con superfici dure. È come avere un’emicrania senza il mal di testa.
E Darke, quando lo incontriamo, è ormai un uomo anziano, è un ex insegnante di letteratura ed è solo. Perché Suzy è morta: è una protagonista che spicca insomma per la sua assenza. E questa a conti fatti è la storia di una separazione e di una assenza in tre atti. È il dramma di un uomo che perde la donna che ama.
Quando invecchiamo le nostre storie si riducono finché non rimangono che i sapori essenziali, potenziati e concentrati. A volte, come nel caso della storia della piccola Lucy, una concentrazione eccessiva non procura piacere ma qualcosa di più simile al dolore, così come un concentrato dell’essenza del piacere sensuale rischia di produrre qualcosa di insopportabile. È per questo che il ricordo della mia bambina mi provoca un sorriso e una smorfia.
Un uomo che quando resta vedovo si chiude in casa, diventa ossessivo, si nega a tutti anche a sua figlia Lucy, spia i vicini, diventa crudele… Quest’uomo non è affatto amabile. Non ha alcun freno quando parla e riflette e passa dalla letteratura all’odio verso chi suona alla sua porta, chi gli manda lettere, chi osa telefonargli, chi possiede cani, chi li ama i cani… detesta insomma gli esseri umani in generale. Se fosse un mestiere, James sarebbe un odiatore professionista.
Non sopporto più di trovarmi in presenza di un altro essere umano, neppure per allontanarlo. Non uscirò, anche se ci sono mattine in cui piego la salvietta e mi appoggio alla porta per sbirciare i miei simili nella loro vita quotidiana. La loro vista mi riempie di odio, disgusto e disprezzo, sentimenti che mi assalgono con il martellante terrore di uno tsunami. Ne resto travolto, a stento in grado di respirare, in pericolo d’estinzione. L’idea di avventurarmi per le strade, sbatacchiato e strattonato da queste acide creature, mi nausea. Ho perso l’abilità di distogliere lo sguardo…
Anche se il suo vero lavoro, o meglio, la sua unica attività è il diario che sta scrivendo. Il diario che voi leggerete, se vorrete fare i conti con un cinico politicamente scorretto come lui. Che è in realtà solo un uomo condannato a vivere all’Inferno, cioè in un mondo in cui non c’è più la persona che dava senso alla sua vita.
Sono sopraffatto dal dolore per la perdita, lo spreco, la fatuità. Non siamo anime immortali neppure in questa vita, figuriamoci nella prossima. Non incolpo Dio. Non siamo creati a Sua immagine, né a immagine di nessuno se non di una doppia elica di DNA che prosegue per la sua strada. Non siamo né creati né costruiti, solo eventi spermatici, uova penetrate, larve, prole. Nessuno riesce a capirci niente, mancano le basi necessarie per riuscirci.
Amo i romanzi tardivi perché mi danno l’idea di essere il frutto di un lungo e meditato silenzio e, se c’è la penna, sono delle vere sorprese. E questo romanzo lo è.