Di materno? Solo il latte

Di materno? Solo il latte

“La maternità è la cosa più naturale che ci sia”. “La maternità è un istinto”. “La maternità non è una malattia”. Per qualsiasi mamma questo vociare, incombente e pure giudicante, è stato un compagno di viaggio difficile da seminare. Di certo la maternità cambia la vita – che rivelazione! – e la cambia a tal punto che, se sopravvivi al pandemonio, ti viene pure voglia di dire alle altre come è andata. Si oscilla tra racconti ridanciani (perché una mamma, dalla sala parto in poi, è meglio di un comico sul palco di Zelig) a visioni apocalittiche (in cui la poveretta di turno si trasforma in una legge di Murphy vivente). O tutto rosa o tutto nero. Difficile, infatti, rendere l’ambivalenza di questa esperienza: confessarne i disagi – e non solo quelli simpatici – e la ricchezza emotiva. Una l’ha fatto, si chiama Deborah Papisca, ed è un piacere presentarvela.

Il titolo del tuo libro, Deborah, è Di materno avevo solo il latte. In apparenza scanzonato, racchiude una verità per molte inconfessabile. Quando hai capito che l’avresti scritto?
Il titolo trasmette ironia e al tempo stesso racconta una verità che per molte donne è ritenuta inammissibile: la maternità non è una condizione idilliaca. Ho cominciato a mettere nero su bianco la mia storia dopo avere riacciuffato un po’ di senno, per l’esattezza quasi un anno dopo la nascita di mia figlia.

Qualche critica ci sarà stata ma l’aspetto più stimolante credo sia stato il gran numero di donne che ti ha ringraziata e ha condiviso con te la propria esperienza. Perché credi sia scattata questa alchimia?
Hanno criticato in particolare l’ironia, a detta di alcuni “forzata”, che caratterizza la prima parte del romanzo. Ma l’ironia stata la
mia scelta per esprimere le sensazioni iniziali di una donna che aspetta un bambino, i suoi entusiasmi, le aspettative. Le sue ingenuità. E poi mi diverto a prendermi in giro… mentre per quanto riguarda i riscontri positivi sono davvero tanti. Mi scrivono molte mamme, anche quelle di “vecchia generazione” con i figli ormai grandi, che mi ringraziano per il coraggio di avere parlato
apertamente dei miei limiti e di aver confessato che, dopotutto, mamme si diventa e non certo si nasce. Probabilmente quest’alchimia è scattata perché la maggior parte delle donne si aspettava qualcuna che desse il “la”, come si suol dire.

L’immagine della maternità sembra dover essere positiva a tutti i costi e anche le parole paiono edulcorate: baby blues, senti come sembra innocuo? Depressione post partum è un poco meno flautato ma anche poco usato. Siamo finite in questa “gabbia” o ce la siamo costruita?
Credo entrambe le cose. Il nostro Paese, in particolare, è un po’ il simbolo della famiglia: le mamme italiane sono viste come delle devote chiocce, delle super donne inattaccabili. E se si continua a mantenere questa etichetta, non sarà facile cambiare la visione delle cose e accettare che la maternità presenti dei difetti.

La parola “depressione” è abusata. Siamo depressi per un licenziamento, per un lutto… come se il dolore non fosse più un’emozione accettata e accettabile. E ricorrere al concetto di malattia è subdolo, perché contiene anche quello di cura, di pillola capace di annientare la sofferenza (quando invece è proprio la sofferenza che ti permette, una volta superata, di andare avanti). Solo che, mentre un evento negativo giustifica il disagio, è difficile accettare che mettere al mondo un figlio possa trascinare in un pantano emotivo. Eppure…
Prima di tutto la parola “depressione” è così inflazionata che ha ormai perso di significato. Si usa tanto facilmente che “sono depressa” è quasi un modo di dire. E così facendo non si avverte più il reale pericolo che invece si nasconde dietro uno stato depressivo. Figuriamoci l’accostamento della parola “depressione” a quella di “maternità”, il binomio viene ritenuto perfino blasfemo! Ma non dobbiamo fare finta di niente, al contrario abbiamo il dovere di guardare in faccia la realtà delle cose con cognizione di causa. Diventare madri è un’esperienza unica al mondo ma comporta delle trasformazioni nella propria vita che non per tutte sono facili da accettare.

Non esiste una formula magica ma come si rinasce?
Piano piano. Con la propria forza di volontà, senza trascurare l’equilibrio interiore che viene messo a dura prova dopo la nascita di un bambino, ecco perché mi sono avvicinata allo yoga. Credo che dovremmo essere più sensibili verso il nostro animo, lui esiste e se ben trattato riesce a darci dei benefici immensi, ma siamo troppo cerebrali per capirlo fino in fondo.

Uno degli aspetti complessi del tuo romanzo era mantenere il giusto equilibrio: affrontare temi spinosi, senza scadere nel pietismo. Essere ironiche, ma non superficiali. Senza dimenticare che quando si parla di sé è difficile mantenere la giusta distanza. Tu come ci sei riuscita?
A dir la verità l’ironia è un elemento che mi appartiene, mi viene spontaneo canzonarmi e raccontare con leggerezza le mie esperienze senza per questo privarle della loro vera essenza. Ritengo che ridere dei problemi (in modo sensato, senza ridicolizzarli) sia il migliore atteggiamento per risolverli. Scrivere in questo modo è un ottimo strumento per esorcizzare le paure.

Esordire non è cosa semplice. Raccontaci come è andata!
È iniziata con un blog aperto per gioco in cui scrivevo un po’ di tutto. Dopo qualche mese mi contatta un giornalista di Grazia che mi invita come ospite della settimana per il loro blog. Esce nel magazine cartaceo un trafiletto che mi presenta e che dice che ho due romanzi in cantiere (il giornalista mi aveva mandato un form da compilare in cui appunto mi chiedeva se avessi dei romanzi nel cassetto). Dopo un paio di settimane dalla mia collaborazione con il blog di Grazia mi contatta la casa editrice Dalai dicendomi di essere molto interessata al mio materiale. Incredula ho inviato ciò che avevo a disposizione (Di materno avevo solo il latte era davvero “in cantiere” e perciò in fase lavorazione) e nel giro di pochi mesi mi hanno ricontattata dicendomi che avrebbero pubblicato la mia storia.

Progetti per il futuro?
Be’, la pubblicazione del romanzo mi ha finalmente aperto il varco e adesso mi sembra possibile dedicarmi davvero alla mia grande passione: scrivere. Entro la fine di novembre uscirà in rete il mio blog (e di altre due blogger amiche carissime) dedicato ai bisogni della mamma (perché ricordiamoci che il benessere di un bambino dipende totalmente da quello di sua madre) e poi in fase embrionale ci sono altri due romanzi. Così sarà il mio futuro: scrivere, scrivere e ancora scrivere!

Grazie per la chiacchierata. E un bacio alla piccola Camilla.
Grazie a te, un abbraccio, e un baciotto a SataNana*!

Di materno avevo solo il latte, Deborah Papisca, Dalai editore, p. 272 (17 euro)

* SataNana è il soprannome (calzante, ahimè) che ho dato a mia figlia Vittoria.

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2 Comments

  • Un libro bellissimo che credo possa colpire anche chi, come me, non è nè mamma nè in attesa. Io l’ho letto grazie ai tuoi consigli e l’ho trovato superlativo!
    Anzi, mi è dispiaciuto riscontrare critiche negative sull’autrice. La depressione post-parto difficilmente viene capita… puntare il dito è sempre fin troppo semplice!
    Baci

    • Ciao, Agnese, credo che le critiche offrano sempre degli spunti di riflessione. Comunque temo che l’argomento spaventi. E ogni volta che ammettiamo le nostre insicurezze facciamo paura a tutti quelli che fingono di non averne. Un abbraccio!

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