La seconda mezzanotte

La seconda mezzanotte

Come distopia comanda, sul mondo si è abbattuta la catastrofe – i ghiacci scongelati, la grande onda, il clima impazzito – e la distruzione, oltre alle terre, ha spazzato via il potere istituito, aprendo le porte a una nuova ondata di barbari.
Date le premesse, non stupisce che nel 2092 comandino i soldi, e quindi la Cina e le sue multinazionali, che governano anche su Nova Venezia trasformata, dopo la grande Onda del 2072, in un villaggio turistico del sesso, del gioco e degli orrori (dimenticate il carnevale, qui ci sono gladiatori che giocano ad ammazzarsi e lo stupro è un passatempo piuttosto diffuso).
Il romanzo La seconda mezzanotte di Antonio Scurati si apre maestoso. Una scrittura larga, incontenibile che si avvale quasi ossessivamente dell’addizione (altro che “il meno è meglio” qui “il troppo è il minimo”!). Un fiorire di immagini evocative, riflessioni argute. Stoccate filosofiche.
Tutto è ipertrofico. Però, a mano a mano che si procede, si ha la sensazione che manchi qualcosa.
La trama.
L’ambientazione c’è – pure troppa – trabocca da ogni pagina in ogni abbondante descrizione. Però non pare accadere molto nel romanzo. Tolte le scene di lotta, di balli sfrenati, di gente che vomita agli angoli delle strade e di stupri, rimane poco. Ovvero due ribellioni: quella del Maestro, il capo dei gladiatori veneziani, che disattende la regola di non generare figli (tema abusato che letteratura e cinema ci hanno inoculato in tutte le possibili composizioni); e quella di Spartaco (avanguardia pura!) il gladiatore che tenta la fuga.
La forza del testo è quella di mettere sulla carta questioni – la catastrofe ambientale, la libertà degli individui, la tutela della nostra stessa esistenza, il collasso della tecnologia – che incombono non su un prossimo futuro da incubo ma sul nostro stesso presente. E questo impedisce al lettore di assistere in modo asettico alla catastrofe.
L’urgenza narrativa? Raccontare una storia per esprimere una profonda indignazione. Solo che questa scrittura che erutta e si nutre di sdegno e orrore sembra più una posa “acchiappalettori” (ah, la desiderabilità sociale che vizio!) che l’effetto di una reale esigenza.
E così il colto, saggio, preparato, lirico Scurati finisce con l’apparire come un Cormac McCarthy un po’ imbolsito. Un ex duro che il tempo ha reso (suo malgrado) mansueto, uno che per assomigliare a se stesso ci dà dentro con la violenza ma senza trovare la potenza dei bei vecchi tempi.
L’autore, va detto, non scade mai nel volgare e la misura è sempre un pregio non da poco, però non basta. La sensazione è quella di una sceneggiatura per Hollywood con poco plot e tanti effetti non sempre speciali.

La seconda mezzanotte, Antonio Scurati, Bompiani, p. 352 (19 euro)

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2 Comments

  • Tra l’argomento che non mi esalta e la tua (ottima) recensione non credo proprio che lo leggerò 🙂

    • Io adoro le distopie, meno i gladiatori… però, ovvio, è un parere. Tanto Scurati vivrà benissimo lo stesso 😉

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