L’importante è (non) partecipare

L’importante è (non) partecipare

Un concorso letterario non dovrebbe essere gratuito? Il rischio è “far cassa” sulla pelle dei partecipanti, non scovare talenti e/o premiarli.
Per un martedì polemico che si rispetti (sarà che il lunedì è finito da poco e il venerdì è ancora troppo lontano, ma il martedì su BookBlister è spesso polemico), bisogna avere qualcuno con cui prendersela. Stavolta no, non sono gli Eap. Oggi parliamo di Cap. Ovvero: concorsi a pagamento. Quelli che insomma chiedono una quota di partecipazione per leggervi e, nel caso, premiarvi.

La “tassa” di 15 euro pare essere la più gettonata, ma in certi casi si va parecchio oltre (60 euro e più). Comunque sia, il problema ci sarebbe anche se venisse chiesto un solo euro. Domanda: perché mai si dovrebbe pagare per partecipare a un premio?

Perché non partecipare a un premio o a un concorso letterario a pagamento

Francamente trovo ridicolo che si usino i partecipanti per fare cassa e sostenere le spese o racimolare soldi per premiare i vincitori. Nel primo caso vi chiedono un contributo per organizzare la serata di premiazione, pagare la giuria… comperare i salatini! Mi dispiace ma per questo ci sono gli sponsor, oppure si deve faticare e sputare sangue per farsi sostenere da qualche ente, dalla regione, dalla provincia, dagli zii d’America. È una faticaccia, certo, ma nessuno obbliga nessuno a indire premi letterari e non dovrebbe essere automatico mettere le mani nelle tasche dei contendenti.

Vi dicono che vi chiedono soldi perché il premio è in denaro? Be’, tanto per cominciare se non si hanno soldi, promettere soldi è un tantino stupido. E siccome non sta scritto in alcuno statuto che il premio debba essere in denaro si può bypassare il problema decidendo di regalare libri, una pergamena, un abbraccio…Per esperienza personale, chi decide di mettersi in gioco lo fa per essere letto, per testare le proprie qualità. E magari per vedere un po’ da vicino chi bazzica “il magico mondo della prosa o della poesia”. Conosco diversi autori che partecipano per il solo piacere di leggere i propri lavori davanti a un pubblico o per sentirli raccontati da qualcun altro.

Ci sono anche i soldi rastrellati per pagare gli editori a pagamento che dovrebbero stampare i vincitori. Sì, perché alle volte viene offerta la pubblicazione, senza avere le facoltà per garantirla. Allora l’unica chance consiste nel ricorrere agli Eap. Sapete cosa penso in proposito. Quindi potete avere idea delle condizioni del mio apparato gastroenterico quando focalizza l’immagine di un Cap che ricorre a un Eap (tripudio, anzi profluvio di acronimi!).

Non meno annosa la questione associazioni, onlus, enti e compagnia cantante. Quelli che insomma prendono i vostri soldi – dicono – per  una buona causa. Se credete nella beneficenza avete di certo dimestichezza con i concetti di “bene” e “male”, perciò è vostro dovere fare di tutto perché i soldi finiscano a organizzazioni serie e non a gente che istituisce il premio “sosteniamo il bimbo disagiato” (cioè l’inventore del premio stesso).

Per chiudere in orrore ecco gli editori che indicono premi. (Se chiedono soldi, lasciate stare. Perché un editore che chiede l’obolo per un concorso, per quanto mi riguarda, rientra nel calderone Eap.) E non parlo degli specchietti per allodole: si attira l’esordiente con un concorso (inesistente) gratuito e poi gli si rifila la proposta di pubblicazione a pagamento. Parlo di editori che si inventano dei concorsi e chiedono una quota. Conosco per esempio dei geni che ogni anno, verso Natale, indicono un premio. Pretendono una ventina di euro e promettono una pubblicazione ai più meritevoli. Si prendono però la briga di specificare che, qualora non si trovasse alcun testo valido, non ci sarebbe neppure un vincitore né la pubblicazione. E guarda caso di talenti neppure l’ombra, così l’editore incassa e basta, racimolando le tredicesime per i dipendenti o il bonus per la sua vacanza in montagna.

Non meno acute le case editrici che indicono premi e promettono la pubblicazione in una bella (e corposa) antologia. Che carini, direte voi! Però, se considerate che ciascun autore presente nella raccolta comprerà qualche copia, per sé, per i parenti… realizzerete che è solo un modo per fare cassa. Basta fare i conti: si fa presto a guadagnarci svariati euro.

Ci sono persino premi piuttosto noti e prestigiosi che chiedono una quota per le spese di segreteria o per la lettura critica. Il Calvino, per esempio, chiede tra i 100/120 euro, a seconda della lunghezza del testo (50 per gli autori sotto i 26 anni) e fornisce una scheda di lettura. L’eccezione che conferma la regola? Quando mai! Non usate questo detto perché è sbagliato (colpa di una mal traduzione del un verbo latino probare) e non esiste alcuna eccezione che abbia mai confermato uno straccio di regola. Al massimo l’eccezione la regola la verifica, la mette alla prova. E se c’è l’eccezione, addio regola! E, in effetti i premi, soprattutto se seri e rinomati, soldi non li dovrebbero chiedere.

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15 Comments

  • Brava Chiara hai perfettamente ragione, un premio per essere tale deve essere gratuito, se no che premio è? Purtroppo l’egocentrismo degli aspiranti scrittori è enorme.

  • Sì, un ego “normodotato” si incontra di rado oggi giorno…
    Però, va detto che la pratica della quota di partecipazione, purtroppo, non solo è molto comune ma viene anche legittimata da premi prestigiosi che la considerano del tutto normale.
    Io dico che anche in questo caso le cose andrebbero cambiate e rese più limpide.

  • Condordo pienamente. Non partecipo mai a concorsi a pagamento, per il semplice fatto che, se esistono tanti – e credo siano la maggior parte – gratis, allora non ha senso che qualcuno ne indica a pagamento.

  • Sono uscito ancora con quel vecchio account, se tu potessi cambiarlo in Daniele sarebbe bello 🙂

  • Fatto, Daniele!
    In effetti basterebbe non partecipare…
    Comunque la cattiva informazione anche in questo campo miete non poche vittime.

  • Hai ragione, d’accordo al 100%

  • non sono una scrittrice e da poco mi sto affacciando al mondo della scrittura, più che altro per hobby. Istintivamente ho respinto ogni proposta di EAP (ridicoli!) e per principio mi sono ripromessa di non partecipare mai a concorsi a pagamento (neanche 1 cent!). Subway-letteratura è un bellissimo concorso che premia racconti e poesie davvero meritevoli ma, attenzione, c’è il limite di età! Allora, cosa rimane? Per trovare stimoli, per crescere, per misurarsi con gli altri?

    • Ho premuto invio involontariamente. Mi chiamo ELIANA, non anonimo. Scusate…

      • Ciao, Eliana, lo so Subway ha il limite di età. Ma i suoi pregi rimangono!
        C’è poi IoScrittore, il torneo letterario di Mauri Spagnol che non ha alcun limite e mi pare interessante.
        Io credo che i concorsi servano per cimentarsi, servano come stimolo per scrivere… ma alla lunga?
        Alla fine, prima o poi, se si ha una storia nel cassetto si cerca di pubblicarla, perché i concorsi non bastano più.
        Comunque, quando posso, qualche piccolo “torneo” lo indico anche io. Si vincono libri e si viene letti… niente di più. Insomma, è solo un modo per giocare con le storie!
        Perciò, se ti va, dai un occhio ogni tanto.
        A presto,

        Chiara

  • Gentile C.B.M.: condivisioni/manipolazioni/doppie facce/ambiguità e fuorvianti incompletezze, e in questo post replico tacendo.

    • Puntualizzatore, non so se sono troppo stanca o se tu sei troppo criptico, ma non è che abbia proprio capito 😉

  • Ciao Chiara, grazie dei consigli. E’ vero: …alla lunga? Gli obbiettivi cambiano, si evolvono. Io sono solo una principiante, ho sempre amato scrivere ma questo non fa di me una scrittrice. Mi piace mettermi alla prova ma non vorrei disperdermi in tante iniziative di qualità dubbia. Contaci, in punta di piedi continuerò a seguirti! Ciao e buon lavoro.

    • Ciao, Eliana, e ogni volta che verrò a sapere di qualche concorso valido, vi farò sapere!
      A presto e grazie a te.

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