Memorie di un vecchio giardiniere

Memorie di un vecchio giardiniere

Era una mite mattina d’autunno, di quelle in cui la foschia dell’alba si tramuta in una pioggerella leggera e l’acqua gocciola da ogni dove. Non era ancora una vera avvisaglia dell’inverno, quanto piuttosto una dolce pausa fra due stagioni che danno sempre il meglio di sé: né troppo caldo, come era stato; né troppo freddo, come sarebbe stato.
Era il periodo dell’anno e l’ora del giorno che il vecchio prediligeva. Ormai non poteva più muoversi molto, e pertanto gli avevano approntato il letto vicino alla finestra del cottage, e se ne stava seduto lì, a volte sveglio, a volte appisolato, sognando tante cose.
Dal punto in cui era seduto, con la schiena appoggiata sui guanciali, vedeva il parco della Grande Villa. Non come era un tempo, oh no… Certo, era doveroso riconoscere che scarseggiavano un po’ di mano d’opera, e bisognava anche mettere in conto l’estate poco piovosa; però quei ragazzi che vi lavoravano adesso avrebbero dovuto fare meglio di così… Da giovane, lui aveva dovuto muoversi al doppio della loro velocità e non si dileguava quando l’orologio indicava la fine dell’orario di lavoro. Ore e ore aveva passato a innaffiare dopo che il sole era scomparso all’orizzonte… Ma oggi non era così: sarebbero state ore di straordinario, d0ve trovare i soldi per pagarle? Quindi il vecchio giardino non era più lo stesso da quando non era lui a curarlo.
Tutto era diverso dai suoi tempi. Quei giovanotti guadagnavano di più, il che era certamente giusto; ma sembrava che più guadagnavano, meno si curassero di fare le cose per bene. Per ottenere dei buoni risultati da un giardino, bisogna avere l’orgoglio del proprio lavoro. Il giardinaggio è un impegno a tempo pieno, come quello del bovaro o del pastore; succeda quel che succeda, le mucche devono essere munte; e chi mai penserebbe di rimanersene a letto quando una pecora partorisce? In un giardino, il lavoro si conforma alle stagioni: c’erano periodi più calmi, e allora ci si poteva permettere una pipata dietro il capanno degli attrezzi; ma quando il prato cominciava a crescere e le erbacce rischiavano di sopraffarti, non c’era più tempo per sciocchezze del genere. Ore e ore aveva passato a innaffiare… Ma i giovani di adesso…
Era questo il guaio al giorno d’oggi: sembrava che a nessuno importasse più di niente. Quando lui era ragazzino, si vedevano i braccianti andare a passeggio con la famiglia, vestiti degli abiti della festa, con l’aria di essere loro i padroni della fattoria; si pavoneggiavano, orgogliosi del lavoro fatto durante la settimana, ridevano dei solchi tutti storti del giovane Harry, palpeggiavano qualche spiga di grano appena spuntata per vedere se prometteva bene. Il bovaro si vantava con la moglie delle proprie bestie; il pastore si accertava che non ci fossero pecore ammalate. Poi, quando incontravano il proprietario della fattoria, si facevano una bella chiacchierata amichevole e ciascuno aveva sempre qualcosa da imparare dagli altri. Bei tempi, quelli… Bei tempi.
Era lo stesso per il parco della Villa. Quando era stato lui a occuparsene, non si era mai sentito un salariato che lavorava per guadagnarsi la pagnotta; lui, il giardino, lo sentiva suo, e così era, in un certo senso. Lo aveva imparato dal vecchio John Addis, il suo primo capo giardiniere. Era un tipo di poche parole, il vecchio John, di poche parole e rispettoso… fino a un certo punto; perché quando su una cosa la pensava diversamente dalla giovane Signora, non c’erano dubbi su chi comandasse. «Molto bene, Addis» diceva lei «se credete che sia giusto fare così, non mi oppongo»; e quando si volevano recidere dei fiori per i vasi della Grande Villa, si doveva sempre chiedere prima il permesso al vecchio John. Oggi non era più così. Chiunque raccoglieva quello che voleva perché a nessuno importava più di niente…

Memorie di un vecchio giardiniere, Reginald Arkell, traduzione di Franca Pece, Elliot Edizioni, p. 180 (16 euro)

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5 Comments

  • Breve, semplice ma di molto effetto la descrizione introduttiva.
    L’insieme lascia un retrogusto molto malinconico, trovo veramente piacevole lo stile di scrittura.

    2 a 1

  • Ah, mi è andata bene, mi è andata…
    Malinconia, è proprio vero. E per lo stile, direi “brava” alla traduttrice, si sente che tutto gira per il verso giusto.
    Buona Pasqua!

    • Sicuramente un plauso va anche alla traduttrice.
      Se non altro per dare un segno di apprezzamento ad una categoria che in genere detesto cordialmente. Soprattutto per quel che riguarda i traduttori dall’inglese …

  • L’incipit ispira anche me, e sì: c’è una nota nostalgica evidente, ma ho più la sensazione che possa essere la base per un recupero, un riscatto del “tempo che fu”. Mi sbaglio?

  • Tales Teller: sono curiosa di sapere perché destesti (cordialmente) i traduttori. Tu leggi tutto in lingua?

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