Il silenzio dell’onda

Il silenzio dell’onda


Per la terza volta la incrociò davanti al portone del dottore, sempre di lunedì e sempre alla stessa ora. Era certo di averla già vista, prima di quegli incontri, ma non avrebbe saputo dire dove né quando.

Forse era anche lei una paziente e aveva l’appuntamento alle quattro, si disse salendo le scale verso lo studio.
Il campanello suonò, la porta si aprì poco dopo e il dottore lo fece entrare. Come al solito percorsero in silenzio il corridoio, fra gli scaffali pieni di libri, arrivarono nello studio e presero posto. Roberto davanti alla scrivania, l’altro dietro.
«E allora, oggi come va? L’ultima volta era di cattivo umore.»
«Oggi va meglio. Non so per quale motivo, mentre salivo le scale, mi è venuta in mente una vecchia storia dei miei primi anni nei carabinieri.»
«Me la racconti.»
«Dopo la Scuola allievi sottufficiali fui destinato come vicebrigadiere alla stazione di un paesino in provincia di Milano.»
«Era una destinazione normale per una prima nomina?»
«Sì, del tutto normale. Il paese era un posto tranquillo. Anche troppo tranquillo, non succedeva mai niente. Il comandante della stazione – un maresciallo anziano – era un tipo pacifico e tendeva a risolvere le questioni in modo bonario. Credo che nemmeno gli piacesse arrestare la gente e del resto questo accadeva molto di rado. Qualche ladruncolo, qualche piccolo spacciatore al massimo.»
«A lei piaceva?»
«Scusi?»
«A lei piaceva arrestare la gente?»
Roberto esitò un poco.
«Messa così suona male, in effetti. Però, sì. Il vero sbirro – e non tutti i carabinieri, non tutti i poliziotti lo sono – vive per l’arresto. Da un punto di vista professionale, intendo dire. Se fai bene il tuo lavoro, alla fine vuoi vedere il risultato. E il risultato, inutile prendersi in giro, è quello: qualcuno che finisce dietro le sbarre.»
Roberto rimase a pensare a quello che aveva appena detto. Era una cosa scontata, eppure messa in forma di pensiero compiuto, detta ad alta voce, acquistava un significato inatteso e spiacevole. Scosse il capo e si sforzò di tornare alla sua storia.
«Un giorno ero dal barbiere quando sento gridare per strada e subito dopo vedo una donna che scappa trascinandosi dietro un bambino. Mi alzo e mi tolgo di dosso l’asciugamano e il barbiere mi dice allarmatissimo di non fare cazzate. Penso che siamo al Nord e questo mi dice una cosa del genere. Succedono al Sud, queste cose. Poi gli dico che sono un carabiniere, anche se lui lo sa benissimo, esco e raggiungo la donna che stava scappando.»
«Cosa era successo?»
«Stavano facendo una rapina in banca, a un centinaio di metri da lì.»
«Ah.»
«Mi ricordo tutto molto bene. Estrassi la pistola, misi il colpo in canna, abbassai il percussore per evitare che potesse partire un colpo accidentale e mi mossi. Arrivato all’angolo, subito prima dell’ingresso della banca, notai una Volvo con il motore acceso, ma nessuno dentro.»
«Era davanti alla banca?»
«No, era dietro l’angolo. A poche decine di metri dall’ingresso ma sulla via laterale. La banca era sul corso. Mi infilai nella macchina, spensi il motore e presi la chiave.»
«Ma perché avevano lasciato l’auto incustodita?»
«I due che erano entrati in banca tardavano e l’autista era andato a dirgli di fare presto. Questo ovviamente lo scoprimmo dopo. Avevo appena superato l’angolo quando li vidi uscire. Cercavo di ricordarmi quello che ci avevano detto alla Scuola, su come comportarci in una situazione così.»
«Cosa vi avevano detto?»
«Di non fare cazzate. Se c’era una rapina dovevamo chiamare rinforzi e osservare la situazione evitando interventi solitari.»
«Il barbiere non aveva torto, allora.»
«Vero.»
«E quindi?»
«In quel momento non me le ricordai, le istruzioni.»
«Erano armati, ovviamente?»
«Due pistole. Quando li vidi uscire intimai l’alt carabinieri. Quello me lo ricordavo perché l’avevo ripetuto tante volte da solo, aspettando che arrivasse la mia prima occasione.»
Roberto pensò che non aveva quasi mai raccontato quella storia ed ebbe la sensazione che un cumulo di memorie si ammassasse dietro quel ricordo. Per qualche istante gli parve di essere sopraffatto, e di non riuscire a dire altro. Pensò che non sarebbe stato più capace di raccontare niente, perché non avrebbe saputo scegliere cosa raccontare.
«Quindi lei disse alt carabinieri, e poi cosa accadde?»
La voce del dottore rimise in moto il meccanismo che si stava inceppando.
«Nell’informativa i miei superiori scrissero che i rapinatori aprivano il fuoco e il vicebrigadiere Roberto Marías rispondeva con la sua arma di ordinanza. Però io non lo so chi ha sparato per primo. Certo è che qualche secondo dopo uno di loro era a terra, davanti all’ingresso della banca, e gli altri due scappavano. Quello che successe subito dopo è la parte che mi ricordo meglio. Io mi inginocchiai, presila mira e finii di svuotare il caricatore.»
Roberto raccontò il resto della storia. Un altro rapinatore rimase a terra, colpito alle gambe. Il terzo fu fermato più tardi. Quello colpito davanti alla banca era ferito gravemente ma se la cavò. Qualche giorno dopo la sparatoria Roberto fu convocato dal comandante del nucleo operativo, che gli fece i complimenti, gli disse che certamente sarebbe stato decorato e gli propose di trasferirsi a Milano. Roberto accettò e fu così che a meno di ventitré anni si ritrovò a fare il lavoro per cui era entrato nei carabinieri: l’investigatore.
«Quindi è così che è cominciato tutto?» chiese il dottore.
«È così che è cominciato tutto.»

Il silenzio dell’onda, Gianrico Carofiglio, Rizzoli, p. 300 (19 euro)

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