Mangart

Mangart

Ci sono libri che nascono e crescono, ma non hanno un percorso facile. Quantomeno non ne hanno uno tradizionale. È successo per esempio a Mangart di Andrea Gennari Daneri.

Mangart è il nome di una montagna che si trova sulle Alpi Giulie, tra il Friuli e laMangart Slovenia, e in questo titolo non c’è solo l’essenza del libro ma anche la vita di chi l’ha scritto: Daneri è uno scalatore di successo (a me vengono le vertigini solo a guardare le foto, figuratevi un po’) ed è anche editore di Pareti una delle riviste più amate dagli appassionati di pareti, appunto.

La prima volta che ho avuto per le mani il dattiloscritto ho pensato che un film così, al cinema, mi avrebbe inchiodata alla sedia per qualche ora. Una storia tra i picchi, con un protagonista che tra chiodi e moschettoni ci vive, e che non vuole altro che scalare in solitaria. Ovvio che il narratore, da saggia carogna, lo ficca in un guaio e bello grosso. Lo fa assistere all’incidente di un elicottero che lo trascinerà nel vortice di un intreccio di storie. Un giallo nella neve, condito con una buona manciata di pallottole e una spolverata di ironia (la vita dei paesi è una fonte di aneddoti inesauribile).

Come dico spesso, l’editoria non è però una scienza esatta: ci sono ottime storie nei cassetti e brutti libri in libreria. E Mangart non ha convinto diversi editori, mentre quelli che avevano mostrato interesse non hanno convinto l’autore che ha così deciso di fare da sé.

Il libro è piaciuto e continua a farlo. Sarà presente al Courmayeur Noir in festival (il 10 dicembre) e ha vinto anche il primo premio al Leggimontagna 2012 che, insieme con l’Itas di Trento, è uno dei più importanti sul tema montano (concorreva con gente tosta: Messner, Vattimo, Camanni, Kirkpatrick…)
Ho chiesto ad Andrea come si è sentito quel giorno. Mi ha risposto così.

Ho passato la vita a trazionare, cari miei. Il mio corpo su e giù dalle rocce di mezzo mondo perché scalare mi piace almeno quanto leggere.
Montagne difficili, pareti strapiombanti, una guerra antigravitazionale che dura da trent’anni. Eppure qualche capogiro lo provo ancora: mi ritrovo sul palco del Leggimontagna per farmi consegnare un premio che, per la prima volta, non ho guadagnato con i muscoli. Per la prima volta non arrivo su un podio ancora sudato e con i pori delle mani chiusi dal magnesio e sono il primo a chiedermi se è tutto vero.
Ho già battuto Messner, Vattimo, Camanni, il gotha di chi scrive di montagna. Sono nella terna.
Dovrei essere felice e invece sono in piena sindrome Jo Squillo. Quella che con la Salerno cantava che oltre le gambe c’è di più.
Sono uno scalatore, le mie spalle sono dieci volte il mio cervello, d’accordo ma nel mio dna c’è un povero nerd, uno scherzato dal mondo. Ho gli abiti eleganti e la postura controllata, ma nel frattempo elaboro strategie per non sbriciolare il cerimoniale che, se c’è, non l’ho capito. Insomma scelgo la modalità scolaro, intervenire solo se interpellato.
Chiamano il terzo classificato e non posso essere io, perché dicono subito che è inglese. Kirkpatrick è andato.
Chiamano il secondo, ma premieranno la moglie perché l’autore è morto.
Della terna resto solo io, quindi tra poco avrò vinto, avendo rispettato le regole d’oro: evitare di morire; divorziare appena possibile.
Eccolo qui, allora: lo sfigato coltivatore di brufoli diventato mastino da parete, che solo gli occhiali, ormai, mostrano dedito all’arte della prosa.
Balzo sul palco, i gradini due alla volta. I trecento nel tendone applaudono e applaudo anch’io al nerd che è in me. Adesso, figliolo, mi dico, cerca di dire quattro cose che stiano in piedi e fila via, che la tua penna funziona ma la bocca è sempre poco diplomatica.
Alla fine me la cavo, perché lo tiro fuori dal cuore: Mangart è un romanzo sformattato, come adesso non succede più. Dal produttore al consumatore senza passare dal laboratorio degli esperti dosatori: quattro etti di sesso, una punta di romanticismo, il numero di pagine alla moda, la copertina vedo non vedo.
Quando dico sformattato parte un applauso più forte degli altri.
Il mio primo premio letterario scivola via così, con un battimani che mi appaga più degli altri, una gerla di metallo scolpito e un bell’assegno cui è difficile rimanere insensibili.
Il nerd è tornato, ma adesso gli voglio bene.

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14 Comments

  • Direi che il percorso di questo libro è come quello degli scalatori, no?
    Io sono terrorizzata dalla montagna, basta un piede fuori dal sentiero e do di matto.
    Complimentoni quindi per entrambe le prove. E W i nerd!

    • Viva i nerd!
      Già. Se non fosse per la mia timidezza mostruosa, non avrei imparato tante cose del mondo (per difendermi). E adesso, quando tutto va per il verso giusto, le uso per godermelo, il mondo.
      Un bacio!

  • Refuso: […] lo ficca in un gUaio e bello grosso. […]

    • Santo subito! Grazie! I refusi li odio e loro mi amano, come si spiega?

      • I refusi amano chiunque ami scrivere. Credo si tratti di una qualche perversa proprietà transitiva dell’amore applicata alla letteratura.

        • Ecco poi è sconsigliato scrivere in macchina con SataNana che urla e grida “cantiammmo” (il che significa abbozzare l’inizio di cento canzoncine per capire quale è quella che vuole) 😉

          • Mi auguro che nel procedimento venga per lo meno esclusa la guida.

          • Con una mano guido, con l’altra un po’ lo spinello un po’ la boccia di rum 😉

          • Con la bocca canti, i piedi servono per i pedali dal che desumo che tu abbia imparato a scrivere con i gomiti.
            Sappi che da qui in avanti sei ufficialmente il mio mito in fatto di adattabilità editoriale.

          • Anche i servizi sociali mi adorano 😉

          • Immagino. Non è mica facile trovare una madre che tra le sue perversioni di droga, alcool e guida pericolosa trovi anche il tempo per cantare con la figlia.

  • Ma che belle queste realta’ tirano su la piturina (puro mantovano) ovvero il morale. Complimentissimi!

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