Tramando: il secondo posto va a…

Tramando: il secondo posto va a…

Frizzante, quest’anno, l’accoglienza del terzo classificato. E la cosa mi fa temere che il concorso si stia facendo serio, visto che non c’è premio letterario noto privo di critiche scoppiettanti…

Scherzi a parte, amo il contraddittorio e se vi sentite liberi di dire la vostra significa che BookBlister sta un pochino assomigliando a quello che vorrebbe essere. Perciò bene, continuate così.

Quindi, dopo aver indossato l’elmetto, annuncio al popolo tutto che il secondo posto del podio va al racconto dal titolo La macchia. Mi ha colpita per la sua atmosfera compassata e per il tema – la vecchiaia – trattato senza scivolare nello stereotipo. L’autrice si chiama Elena Cattaneo e la ringrazio per aver partecipato.

Quando Vera prepara il tè, di prima mattina, Benedetta se ne sta a poltrire sotto le coperte ancora un po’. Sente il rumore del bollitore che fischia e le tazze che sbattono. Il flusso d’acqua del lavandino le ricorda che sua sorella sta lavando un paio di mele; se le arriva lo sfregare del coltello sull’asse è la volta dell’arancia. Una volta mangiavano pane e burro salato ma, a settant’anni, stanno attente alla dieta.

La radio si accende e parte la rassegna stampa; Benedetta scosta le coperte. Un piede tocca terra, le duole leggermente. Lo guarda, è rosso, con le grosse vene che sporgono tortuose. Fuori dalla finestra la prima nebbia dell’autunno è una coltre sottile fra i palazzi stinti del quartiere.
Benedetta entra in sala da pranzo, seguendo il profumo di agrumi dalla cucina e vede Vera ferma in mezzo alla stanza. La donna sta guardando il soffitto e, appena la sente, alza il braccio e punta l’indice:
“C’è una macchia”, dice.
“Fammi vedere” Benedetta cerca gli occhiali nella tasca della vestaglia. “È vero, eccola lì. Ed è piuttosto estesa.”

Nei giorni successivi Vera passa sotto la macchia di umidità più volte al giorno e sembra preoccupata. Un pomeriggio, mentre sono in visita da amici, ha un leggero attacco d’ansia. Comincia a fremere sulla poltrona, il cioccolatino che sta masticando le va di traverso. Quando i padroni di casa chiedono se si senta bene, tira per la manica il maglione della sorella: “Dobbiamo rientrare”, sussurra.
“Stai male, Vera?”
“Dobbiamo tornare a casa. Si sta allargando.”
“Scusateci un momento. Di che cosa parli?”
“La macchia sul soffitto, credo si stia allargando.”

Non si è allargata ma ha cambiato forma. Le due donne, con ancora i cappotti addosso, osservano il soffitto, in silenzio.
“Lo vedi?”, sbotta Vera. “Non è la stessa forma di prima.”
Benedetta si leva il soprabito e lo getta sul divano. Inforca gli occhiali, spinge via la sorella e si concentra. “Non vedo niente di diverso.”
“È completamente un’altra forma. Sembra una donna, un mezzo busto che abbraccia un neonato.”
Benedetta cammina nella stanza torcendosi le mani. “Vado su, da Bordone, a dare una controllata. Se ci sono delle perdite in casa sua, siamo nei guai. Saranno spese. Bisogna vedere bene di che si tratta.”

Eugenio Bordone ha portato la moglie alla pazzia, questo pensa Benedetta mentre sale le scale che la conducono di fronte alla sua porta. Una pazzia felice che permetteva alla donna di parlare per metafore e farsi capire mischiando le lingue, usando i numeri per misurare il livello del proprio umore, emettendo suoni ricchi di emozione. Quando aveva mal di testa urlava che il pavimento era inclinato e si aggrappava a qualcuno. Sapeva ancora suonare il pianoforte, quattro pezzi in tutto, e li ripeteva per ore. Lui non perdeva mai la pazienza. Perché finalmente poteva amare sua moglie, sempre troppo cupa prima di questa crudele, allegra, straripante follia.
Poi la donna è morta e lui è rimasto solo, pensa fra sé e sé Benedetta.
Il figlio viene a trovarlo una volta per stagione. Commentano il tempo, hanno pochi ricordi da scambiarsi. Il giovane si tiene lontano da questa casa, a cui è legato da una specie di lunga catena: si sente un cane libero di spingersi nel mondo, lontano ma non troppo.
Benedetta fa un sospiro mentre la porta di Bordone si apre. L’uomo è in vestaglia, con la lente da lettura attaccata come un cappio al contrario. Buongiorno dice lei, mentre ripensa alla sua faccia grinzosa durante l’ultima riunione di condominio. Urlava parole a mucchi. Ora sembra mite, anche se ha il viso corrucciato.
“C’è una macchia sul nostro soffitto, è comparsa due giorni fa. Mi chiedo se non ci sia qualche perdita in casa sua. Vorrei mostrarle il punto preciso”, dice Benedetta quando l’uomo la fa entrare.
Bordone è già seccato e sbuffa. Sul tavolino, accanto al divano, una pila di libri nasconde un paio di tazze di tè vecchio di giorni, un’altra tazza fumante è sul tavolo al centro della stanza. La casa è calda e profuma di essenza di pino, dopo un po’ l’odore diventa pungente e Benedetta si strofina il naso.

“Come vede, qui non c’è niente”, fa Bordone e dà un’occhiata alla porta.
“Il vostro riscaldamento…”
“Non passano tubi da questo pavimento, signora.”
Benedetta stringe un pugno con l’aria di chi non sa più che fare. “Va bene. Ci arrangeremo”, riesce a dire.
Bordone annuisce. Poi, come se quest’espressione, ci arrangeremo, lo avesse risvegliato, le sorride. “Mi deve scusare. Ho avuto una brutta telefonata con mio figlio. Lo aspettavo domani, ma ha deciso di non venire e io sono molto dispiaciuto. A dire la verità sono contrariato.”

“Quanti anni ha suo figlio?”, chiede Benedetta girando lentamente il cucchiaino nel tè scuro. Bordone ha spostato la pila di libri e le tazze sporche e si sono seduti sul divano. “Venticinque. È nato quando noi ne avevamo quaranta. Fa il programmatore. Ha una stanza in affitto con altri amici. Non so molto altro di lui, penso sia una brava persona. È strano chiamare il proprio figlio persona. Lei non ha figli, vero?”
“No, né io né mia sorella. Vera non si è mai sposata, io sì invece. Avevamo tre cani; quando sono morti ho divorziato. Mio marito era talmente arrabbiato che ha cercato di togliermi tutto. Non ci è riuscito e io non gli più rivolto la parola. Io e Vera abbiamo deciso di vivere insieme. Siamo gemelle.” Benedetta prende un lungo sorso di tè, ha parlato con un tono troppo alto e la gola le si è seccata. Ora respira come dopo una nuotata. “Siamo diverse. Vera è più…”
“Inquieta.”
“Come ha detto?”
Bordone la guarda. Tocca la sua tazza con una mano, accarezzando la superficie liscia. Sorride con un leggero imbarazzo.

Quando rientra in casa, Vera è dove l’aveva lasciata. Al centro della sala da pranzo, sotto la macchia.
“Sei stata lì tutto questo tempo?”
“No. Mi ci sono appena rimessa.”
“Non ti fa male il collo in questa posizione?”
“Voglio vedere.”
“Chiameremo l’idraulico. A casa di Bordone non ci sono perdite. Magari è una reazione chimica della pittura. Forse c’è sempre stata e non ce ne siamo accorte.”
“Non c’è mai stata. E adesso voglio proprio vedere se cambia di nuovo.”

Di notte un gocciolio ritmato, quasi metallico, proveniente dalla sala da pranzo si insinua nel sonno delle gemelle.
Vera sogna di una barca che se ne va tranquilla nell’acqua viscida di un fiume. Poi qualcosa la prende per i capelli e lei apre gli occhi. Non fa in tempo a riconoscere le sagome dei mobili che il rumore dalla sala da pranzo si è già preso tutta la sua attenzione. “È come entrare in un sogno diverso”, pensa Vera e si avvia nell’altra stanza.
Benedetta è nel cortile dietro la stazione negli anni della sua infanzia, col vecchio lavandino che d’inverno si riempiva di ghiaccio fino a esplodere. Si aggrappa alle immagini prima di avere un sussulto e tossire. Avverte una specie di nostalgia e di freddo ai piedi magri. Ascolta questo gocciare per un minuto, prima di rendersi conto che Vera si è alzata.
Il rumore smette.
Benedetta esce dal letto, non fa caso al leggero capogiro che la fretta le provoca; accende le luci del corridoio e della sala da pranzo. E la vede. Sua sorella ha la bocca spalancata come una statua scolpita, il collo sembra più lungo e liscio del normale. Nella bocca cadono delle gocce pesanti che vengono dalla macchia sul soffitto.
Vera trasale, un po’ d’acqua le finisce di traverso, tossisce. Benedetta, che finalmente riesce a guardarla in viso, manda un urlo acuto, come un rapace notturno. Un rumore che pensa di non aver mai udito.
La fronte che di solito sembra una carta grinzosa e pronta a venir via, è liscia, leggermente striata da tre piccoli solchi che la percorrono da una tempia all’altra. Ha una bellissima fronte spaziosa che sovrasta gli occhi, grandi, chiari nei toni del grigio con delle piccole pupille affondate nell’iride. Gli zigomi si alzano a ogni sorriso, lievitano come un dolce nel forno.
Che bocca sottile, vorrebbe dire Benedetta mentre la testa comincia a girarle forte. Ce l’aveva anche da bambina. Ora le labbra sono com’erano quarant’anni fa: di un colore deciso e coi bordi perfetti, nessuna grinza; si vede solo il piccolo buco della varicella di tanti anni prima… Quanti anni, esattamente, ha adesso?
Benedetta guarda la sorella e cerca con una mano la parete, un appoggio. È come se un’onda di ricordi la travolgesse. È l’album di fotografie che si apre da solo, migliaia di immagini rovesciate sul pavimento. È il mondo a testa in giù, la vita che torna indietro, tutto quello che è stato sepolto e respinto. Eccolo lì, dentro di lei: uno scherzo del destino.

L’atmosfera è la stessa che c’è dopo un incidente. Chi è sopravvissuto, e sta bene, ringrazia il cielo; e la vita ricomincia a scorrere veloce, a grandi balzi. I feriti, invece, conoscono una paura nuova. Forse vedono la fine della vita.
Di fronte alla sua gemella ringiovanita di quarant’anni, Benedetta si sente a un passo dalla morte.
Vera ha conservato i ricordi di settant’anni di vita; solo il suo corpo è di nuovo giovane. Ripercorre tutto: gli eventi, le emozioni. È una memoria che galleggia fra impressioni appena nate e qualcosa che somiglia a un baratro, antico.

Le giornate si accorciano, l’autunno procede. Fa sempre più freddo.
Vera passeggia, da sola, di sera. Il buio arriva presto, si sente protetta e può camminare tranquilla. Ha molto tempo.
Le gocce hanno smesso di cadere. La macchia è sempre lì, a volte sembra allargarsi: un gigante, senza volto, tiene in braccio un bimbo in fasce.

Le due sorelle si parlano senza guardarsi negli occhi. Vera ha tolto lo specchio dal bagno. Sbircia il suo viso nel riflesso dei vetri delle finestre. Un esercizio straziante, che compie di nascosto, vergognandosi.
Benedetta fa la vita di sempre. Ai conoscenti ha detto che la sorella ha una brutta influenza. Scopre che non è difficile mentire. È solo una variazione su tema; e, se la vita non corrisponde in nulla a ciò che si vorrebbe, mentire è una salvezza.

Eugenio Bordone, appostato dietro la porta di casa sua, spalanca di colpo l’uscio non appena sente la voce delle due sorelle sul ballatoio del piano di sotto.
“Salve! Allora, come va con quella macchia? Non ho più saputo nulla.” Bordone intravede dietro Benedetta una donna che non ha mai conosciuto. “Scusatemi, pensavo foste voi due, lei e sua sorella.”
Benedetta prende Vera per un gomito. “È nostra nipote, è qui per qualche giorno. La macchia si sta riassorbendo… grazie.” Gli fa un cenno col capo e sparisce nell’appartamento tirandosi dietro la gemella.

Vera non dorme. Conta gocce immaginarie. Sente il respiro di sua sorella, gli spasmi della tosse notturna. Si sente fuori da un campo di prigionia. Leggera, spaesata. Completamente persa.

Benedetta si trova davanti Bordone, al ritorno dalla spesa.“Devo parlarle”, dice l’uomo, le mani gli tremano, tiene le palpebre leggermente abbassate.
Benedetta si fa severa e risponde: “Mi scusi, ho fretta”.
“È un invito”, la ferma Bordone. “A cena.”
“Prego?”
“Domani viene mio figlio. Non ci parliamo da mesi. Le chiedo un favore. Venga anche lei, mi farebbe piacere. E anche mio figlio sentirà meno il peso di noi due, da soli.”
“Non so cosa dire…”
“Dica di sì. E porti la sua amica. Voglio dire, sua nipote. Avrà pressappoco l’età di mio figlio. Vedrà, andrà bene.”

La cena è un luogo sospeso, Benedetta si chiede se stia accadendo davvero. Vera è comoda nei suoi trent’anni, lei e il figlio di Bordone si piacciono. Parlano di cucina, si toccano le mani per caso, aiutando a sparecchiare. Benedetta a un certo punto guarda l’ora e torna a casa. Dà un bacio alla sorella e sente la sua eccitazione, con stupore. Un moto brutale di pena le stringe lo stomaco. Guarda la cucina di Bordone e i due giovani, improvvisamente amici; si chiude la porta alle spalle con nausea e spavento.

Vera, nella macchina del figlio di Bordone, prova un sentimento di sorpresa, a metà fra un’emozione esplosiva e l’effetto di una ferita da arma da fuoco. Questa lingua leggera, dolce, calda, vagamente intrisa di sapore di caffè, sta ballando nella sua bocca un jazz scatenato. E lei non deve nemmeno preoccuparsi della dentiera.
È il momento più felice della sua vita.

Eugenio Bordone scoppia a ridere e mentre lo fa si rende conto che sono passati mesi dall’ultima volta che qualcosa gli ha strappato una risata così decisa.
“Lo ripeta.”
“È mia sorella.”
“Un’altra sorella, vorrà dire.”
“È Vera.”
“Ma come fa a…”
“È ringiovanita.”
Bordone pensa povera donna, povera Benedetta. Ma non dice niente. La fa parlare.

Tutte le consuetudini si invertono. Adesso, ogni mattina, Benedetta prepara la colazione a Vera, che dorme fino a tardi, come faceva da ragazza.
Un giorno Vera si affaccia alla porta della cucina in mutande e dice: “Tutte le cattive abitudini stanno tornando. Dormire troppo, per esempio”. Fa uno sbadiglio scomposto, rumoroso.
Benedetta le afferra una mano e le dice: “Mangiarti le unghie, anche”.
“Mi fai male”, protesta Vera.
“Ma non è il tuo vizio peggiore.” Lascia andare la mano della sorella come se lanciasse una pietra a terra.
Vera ciondola mormorando fra sé: “Che stronza”.
Benedetta si gira di scatto, la squadra attentamente. I peli vicino all’inguine spuntano da quel paio di vecchie mutandine lise, troppo grandi per questa donna di nuovo magra. L’interno delle cosce è chiarissimo e compatto. Non c’è traccia di cedimento, cellulite, niente. Benedetta si avvicina a Vera che fa un passo indietro. Le punta gli occhi addosso, ispeziona il collo, le braccia, i seni. Tutto è chiaro e perfetto.  Vera fa per andare nell’altra stanza quando la sorella le urla:
“Fermati!”
Vera è immobile, sussurra: “Non mi piace se mi guardi così. Sembra che tu voglia farmi del male. E sarebbe stupido. Perché forse anche tu… anche tu potresti provare.”
“L’hai rifatto, vero? Infatti sembri, sei ancora più giovane. Ciondolavi così per casa a diciotto anni. Quando? Non mi sono accorta di nulla.”
“Ieri notte. Non ti sei svegliata. È stato un attimo, ero quasi sonnambula.”
“Te lo proibisco!”
“Ho fatto l’amore con quel ragazzo. Sulle scale, vicino alle cantine. L’abbiamo fatto in piedi e poi per terra. Volevo essere un po’ più giovane di lui. Adesso non so più nemmeno perché, devo aver pensato che lui fosse il mio unico contatto con la realtà; e volevo che mi sposasse.”
“Eccolo il tuo vizio peggiore…”

Vera cantilena: “Benedetta, tagliami i capelli. Vorrei la frangia”.
“Non sono capace, lo sai. E poi oggi sono stanca, sono molto stanca.”
“Forse hai l’influenza. Ti curo io. Va bene? Devi sederti e stare ferma per un po’.” Vera si torce una ciocca di capelli e si tormenta il labbro inferiore. “Pensavo, quando starai meglio… Ho bisogno di vestiti. Di qualcosa per la mia età. O di parlare con qualcuno. Andiamo da un medico. Insomma, io devo uscire. Iscrivimi all’università. Forse potrei fare di nuovo il corso da infermiera e ricominciare a lavorare.”
“Non lo so, forse”, risponde Benedetta e si abbandona sul divano, senza forze, senza nessuna idea.

Vera sbatte la porta della sua camera. Avrà dodici o tredici anni. Forse anche meno. Benedetta non sa come, ma è successo di nuovo. L’ha scoperta in giardino mentre rincorreva il gatto dei vicini. Ha rubato una palla a delle bambine del cortile. I genitori delle piccole le fanno delle domande: “La figlia di mia nipote”, risponde. La chiude a chiave nella stanza da letto, dopo avergliele suonate. È molto forte questa Vera di dodici anni. E Benedetta si sente sopraffatta. Il figlio di Bordone è venuto a cercarla. Benedetta gli ha detto che è partita.
Deciderà il da farsi con calma.

Si mette a dormire sul divano appena fa buio. Vera ha urlato per un’ora interminabile, e bussato e pianto, ma ora sembra essersi calmata.
Quando sente il rumore dell’acqua, Benedetta si alza e mette un catino in corrispondenza della macchia. Raccoglie le gocce. Vera anche deve essersi svegliata. “Che cosa fai?”, chiede dalla sua stanza. Benedetta non risponde. Aspetta. Quando ha raccolto una piccola quantità d’acqua, la dà da bere alle piante, aspettando di vedere un effetto. Non succede nulla.
Allora rimette il catino e, di nuovo, aspetta. Si raggomitola, secca e sfinita, sul divano. Dopo un po’ torna al catino, si avvicina piano, come se fosse un gatto. Con una smorfia di fatica si piega a carponi sull’acqua; apre la bocca, tira fuori la lingua e lecca. E a ogni sorso sente meno dolore e il sangue che circola diventa più caldo.
Si ferma e si guarda allo specchio. Ha il viso di sua madre poco prima che morisse; quarantacinque anni. Andranno bene, pensa. Torna sul divano cercando nella mente una mappa possibile, una cartina geografica vera e propria, un luogo sensato dove andare. Un posto nel mondo, dove depositare questo tempo stravolto e incredibile.

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59 Comments

  • uhm. Ho fatto proprio fatica a leggerlo. Non è proprio il mio genere, queste cose al limite del paranormale, poi no è che quando si tirano in ballo i gemelli (Chiara quanti nel giro di poco tempo!) mi sento sempre sotto osservazione, scusa Elena non volermene, sono problemi miei di gemella, ma noto al di là del piede che duole – Chiara non è un espressione polverosa? : ) – un’idea molto originale, ben sviluppata, a tema. Quindi brava!

    • Gentile Sandra, forse cogli nel segno una cosa: potrebbero essere anche solo sorelle. Probabilmente è una piccola forzatura (proprio perché non necessaria: se fosse un cortometraggio sarebbe già un altro paio di maniche).
      Azzeccato anche il pollice verso sul “duole”: forse l’ho usato proprio perché parlavo di un’anziana… anche qui, dunque, una forzatura.
      Grazie per il tuo commento. E farò tesoro delle istanze dei gemelli (non scherzo). 🙂

    • Ah le gemelle, pericolosissime! Piede che duole in bocca a una settantenne, dài, la passiamo! 🙂

  • Molto grazioso questo racconto.
    Piacevole l’idea e scorrevole nella lettura. Bello.

    C’è un refuso: “Benedetta si fa severa e risponde: “Mi scuIS, ho fretta”.”

    • Grazie Tale’s! Ho sistemato (era colpa mia, nel copia incollare litigo sempre con WordPress).

      • Figurati.
        Quando copincollo con WordPress, nella migliore delle ipotesi, arrivo alle visioni mistiche, quando va male… no dai, non voglio diventare blasfemo. ^_*

  • Complimenti Elena. Io l’ho trovato ben fatto (proprio perchè usa un idea già vista come il tornar giovani) e ben strutturato. Mi è piaciuto il modo in cui è gestito un personaggio secondario come Bordone, a cui non manca un certo spessore, nonostante la sua comparsata sia breve.

  • Di refusi ce ne sono diversi, ma ci si può passare sopra. Direi che rispetto al terzo classificato è già un bel passo avanti. Qui c’è un’idea che là, invece, latita un po’ o molto. Questo è un racconto, quello di lunedì scorso è più un esercizio di stile. La frase “porta un’amica” è un po’ appiccicato, ma nel bando di concorso non era richiesto che fosse funzionale alla storia. Quindi ok. Sono molto curioso di leggere il primo classificato a questo punto.

    • Gentile Aldo, non posso dire nulla circa i refusi, se non fare ammenda.

      Rispetto a ciò che dici sul racconto pubblicato settimana scorsa (che non ho commentato, essendo anche io in concorso), c’è un esempio letterario fin troppo famoso che spalanca la strada a questa possibilità: fare esercizi di stile. Naturalmente, mi riferisco a Queneau (prendo letteralmente la tua definizione). Voglio dire, c’è un orizzonte possibile entro cui discutere questa modalità di scrittura. Ancora prima, c’è un orizzonte in cui sperimentare una scrittura.

      Ma, anche al di là di Queneau (ho forzato la mano, certo, prendendo a pretesto un titolo nato in un contesto letterario del tutto particolare), dire “è più un esercizio di stile” non toglie nulla al possibile valore di uno scritto.
      Mia modesta opinione.

      • Devo far venire le 2 e forse anche le 3 perché due dei miei figli sono andati alla festa di carnevale d’Istituto e mi tocca il ruolo di autista. Quindi, stufa e luci accese, sono nelle condizioni per rileggere il racconto della settimana scorsa. Ho letto anche esercizi di stile e non da tanto. Confermo: non mi entusiasmano né l’uno né l’altro. Il libro di Queneau, tuttavia, contiene in sé un’idea creativa che è il libro stesso: raccontare la stessa storiella in tanti modi diversi. L’idea c’è ed è bella grossa. Nel racconto del terzo classificato manca invece il salto creativo che hai fatto tu. Manca l’idea. C’è una bella ricerca di stile e fabbrica buone emozioni, ma si tratta di emozioni un po’ fini a loro stesse, non maturano in qualcos’altro.
        Per dirla in un altro modo: se domani ordinassi su IBS i vostri rispettivi libri di racconti e dovessi regalarne uno, regalerei il tuo perché mi rappresenterebbe meglio.
        La dico in un altro modo ancora, tanto qui è solo l’una e mezza: il racconto delle due sorelle me lo ricorderò sia per il meccanismo, sia per alcuni passaggi, perché – tieniti forte – ha in sé un’eco di Buzzati, che è il mio autore di riferimento. Quegli altri racconti, quelli che non si basano su meccanismi creativi, non hanno la forza per fissarsi e sono destinati all’oblio, per quanto possano essere ben scritti.
        E poi basta, devo inseguirti per farti i complimenti? 🙂 Ho un libro di Fred Vargas appena iniziato che promette molto bene. Metto un ceppo sulla brace e aspetto.

    • Sono andata a caccia dei refusi. Ma a quest’ora sono peggio di mia figlia quando giocano nascondino…
      Ciao, Aldo!

  • L’ho letto con piacere, curiosità e attenzione. Non mi sono annoiata, qualche descrizione qua e là per me un pelo superflua ma che non stonava più di tanto. L’idea mi è piaciuta, lo stile pure. Il finale meno. Ovvero, chiarisco: che succede dopo? Mi piacerebbe saperlo, ma Chiara ha messo un limite, lo so, non è colpa tua 😉

    • Cara Daniela,
      io non lo so come va avanti, questo lo ammetto, dato che mi chiedi.
      Si può immaginare di scoprire che il tuo racconto si estenderà e avrà una vita “dopo”. Temo non sarà questo il caso – data anche la sua matrice “fantastica”.

      Penso che chi visita questo blog ami leggere. Mi prendo un attimo.
      Ti faccio un esempio di un racconto che ha avuto una vita “molto oltre sé”.
      La scrittrice americana A.M. Homes nel 1990 pubblica una raccolta che si chiama “La sicurezza degli oggetti”. Il primo racconto è “Adulti da soli”. E’ una storia grottesca e minimalista insieme. Due genitori piazzano i figli piccoli dai nonni e si fanno di crack per un paio di giorni. Poi i figli gli ripiombano in casa. Bon. Tutto qui.
      Se non che, nel 2000, Paul ed Elain, i genitori in cerca di svago, tornano nel romanzo (un intero romanzo per loro) “Musica per un incendio”.
      Leggendo il racconto del ’90 questa cosa non era prevedibile.
      Del loro futuro ci rimaneva solo un senso di minaccia.
      Dieci anni dopo ci è stato raccontato.

      • Elena è un piacere leggere anche i tuoi commenti, sei una ottima lettrice e questo è un dettaglio importante. Se ci sarà un seguito lo leggerò volentieri. Grazie per l’esempio che hai spiegato, mi hai incuriosita.

      • Ho ancora quella tuta bianca
        sporca con i segni della panca, quella dei 90
        scopa in piazza,
        in bocca una canna tanta
        scooter verticale su una ruota tutto il viale
        andati a male, Darix Togni con i sogni andati male
        puoi non farlo però resta, per il resto della vita
        piazza a bestia, pelato perché c’ho la piazza in testa,
        sono sempre quel ragazzo, frate sempre Dogofiero
        c’ho un t-max opaco nero che un booster 2.0
        L’unica cosa che mi fa tornare in mente i bei momenti del novanta, ascoltati anche tu i clubdogo li trovo meglio dello pseudolibro
        Con immensa simpatia, un bacio

  • Mi piace il tono etereo del racconto. La storia del vicino di casa, però, è interessante ma poco sfruttata: sono convinto che bastasse raccontare meno, vista che non è decisiva al fine del racconto. Potresti però svilupparla e farne un altro racconto, credo che ne abbia le potenzialità! Complimenti per il secondo posto!

  • Bello e di una tenerezza davvero difficile da esprimere a parole, complimenti. Normalmente racconti di questo genere non mi appassionano particolarmente però in questo caso sono rimasto avvinghiato allo scorrere del racconto. Le personalità delle due sorelle sono tratteggiate molto bene e anche i due personaggi minori si sposano bene nel racconto. Insomma davvero brava.

  • L’idea è davvero originale e ci sono alcuni passaggi decisamente notevoli. Un buon pezzo che se meglio “organizzato” potrebbe diventare ottimo. L’ho letto tre volte, le mie sinapsi vanno un po’ a rilento, e credo che in alcuni punti sia un po’ da rivedere, ma nulla di importante né di rilevante. Una gran penna, dal tratto maturo, dinamico, coinvolgente e consapevole che – a differenza di altre, rimaste tali e quali dal 1978 – mi ha lentamente calato in quell’appartamento di cui ho respirato l’atmosfera.

    Complimenti.

  • Complimenti! Il genere ai limiti della realtà (o anche oltre) mi piace molto e l’ho bazzicato un paio di volte, compreso per questo concorso.
    E’ bellissimo come hai delineato i personaggi e come hai evitato di cadere in facili siparietti.
    Solo una cosa, a me personalmente non piace molto l’uso del presente, in generale mi sembra che faccia suonare tutto un po’ forzato, ma è solo una mia fissa ed è un infimo dettaglio rispetto a tutto il racconto 🙂
    Un podio assolutamente meritato!

  • Complimenti ! Bello, l’ho letto tutto d’un fiato. E me lo sono anche sognato. Una gocciolina di questa macchia, la ruberei volentieri, entrando di soppiatto in casa, mentre le sorelle non ci sono.
    Mi piace anche il fatto che ci sia un finale aperto. Ne ho già in testa un bel po’ 🙂
    Grazie 🙂

  • Scusate, ma solo io ho capito che si tratta di una delicatissima e struggente storia che descrive l’aggressione della cosiddetta “arterio”? Che mischia tutto, compresi i bilanci della vita?
    Solo io credo che più che di “finale” aperto si deve parlare di “trama” aperta, giaccé non si capisce esattamente cosa ci sia nella mente della voce narrante? Né quanti personaggi effettivamente ci siano (uno, almeno, sì). Sono due sorelle o è una?

    No, perché ho anche letto in un commento di una vena paranormale che a me, notoriamente attento a tutto, è sfuggita.

  • * giacché

    • Mario non so se l’ho capito come e quanto te ma alla seconda lettura mi sono posta la questione.

  • Veramente orrendo sto racconto, fa fatica ad andare via, pesante come “la peste” di camus, orripilante come “il giovane Holden” di salinger, chiara l’hai letto e giudicato dopo quante pinte di birra? se questo era il secondo, (il terzo era un pelo meglio), il primo chi l’avra’ mai scritto il maestro Efisema?

  • ma quanto sono complicati sti racconti, alla fine avrei preferito andare ad un funerale piuttosto che rileggerlo, il giudizio di Chiara e’ insindacabile? posso rivolgermi alla Cassazione?

  • Anonimo e Anonimo vi (o meglio ti) ricordo che insieme al messaggio arriva l’indirizzo ip. Se è lo stesso, sai com’è… e mettila una firma, dài! Sennò la pinta non te la offro 😉

  • si si e’ lo stesso,ho scritto due messaggi poiche’ il primo aveva tardato un attimo nella pubblicazione e temevo di averlo cancellato, ora mi firmo tesoro, contenta?

    • Steve, tesoro, ne hai scritti tre di messaggi. Ti piacciono i Club Dogo, vedo 😉

  • sempre puntuale e precisa, si scusa non ho resistito con quella dei novanta, sai io sono affettato col salame, ho fatto l’universita’ del marciapiede e questi intrighi mentali date le mie ristrettezze intellettuali non le capisco, i dogo parlano come mangiano forse per questo capisco quello che dicono ehehhe
    in un racconto non colgo nulla di quello che scrivono gli altri sinapsi, l’uso del presente forzato, trama aperta oppure cito:”Voglio dire, c’è un orizzonte possibile entro cui discutere questa modalità di scrittura. Ancora prima, c’è un orizzonte in cui sperimentare una scrittura” perdonatemi ragazzi davvero riconosco i miei limiti, non e’ un problema vostro lo preciso, e’ un problema mio, ma NON DICO che un baffuto quadrupede dai padiglioni auricolari a triangolo sta mestamente zampettando su una vecchia ghisa di fornello calda, dico CHE CAZZO CI FA IL GATTO SULLA STUFA!!!!
    Un bacio

    • Ciao Steve, non penso che ci siano problemi se non ti piace per niente un racconto, ci mancherebbe (del resto, io pagherei oro per essere davvero pallosa come Camus ;)).
      Però sai che su una cosa non sono mica tanto d’accordi? I Club Dogo non parlano come mangiano.
      Un bacio a te
      p.s. Se il gatto cammina sulla stufa accesa, però tiragli una scarpa e salvalo, dai!

      • un bacio enorme grandissima

  • Sono quella che ha scritto “paranormale”. Considerato, Mario, che non mi pare esistano acque che ringiovaniscono, altrimenti non starei qua a commentare, ma là a bere, penso che il paranormale ci stia. Per me, mica scienza infusa.

  • Caro Steve anonimo, che sia un problema tuo è abbastanza palese dai tuoi post incomprensibili. Non è che il salame lo stavi affettando mentre scrivevi i tuoi post?
    La punteggiatura è nata per consentire alla gente di leggere e comprendere quanto viene scritto. Metti un punto ogni tanto, così anche a caso, se vuoi. Oppure firmati J. Joyce.
    Però su un punto hai ragione, la scelta è solo e unicamente di Chiara e mi viene da aggiungere: meno male!

  • tonino ti riferisci al primo post? scusami non ho precisato era il testo della canzone forse per quello non capivi. Per.Il.Resto.Non.Credo.Di.Aver.Omesso.Virgole.E.Punti. Stop, Ora li ho messi ma cosi diventa un telegramma, un abbraccio

  • Steve…sei proprio simpatico:)

  • Che fatica leggerlo…..così come si fa fatica a vedere “Il curioso caso di Benjamin Button”…. (Non ho citato questo film a caso)…Lo inizi…… Stoppi….poi riprendi pregando finisca in fretta…..
    La noia.

  • Sandra, non pensi che sia tutto un costrutto della mente stanca della protagonista? Lo hai letto il racconto?

  • Bravo Steve, hai seguito il mio consiglio. Melius abundare quam deficere… tranquillo non sono i Club Dogo… 😉

    • Caro Tonino vedo che il Santo Padre sta facendo scuola, dopo che ha letto le sue dimissioni in latino, ha rilanciato evidentemente una nuova moda. Anche se e’ una lingua morta te ne cito una io allora: Quot homines tot sententiae… tranquillo anche questi non erano i Dogo, prima che magari vai a ricercarti il testo da qualche parte.

  • No, non l’ho letto. Il mio hobby preferito è girare per i blog, scrivendo commenti a caso.
    Che vita triste.
    Ma non si possono avere opinioni diverse, semplicemente?

    • No.

      • Mario senza offesa, mi sembri, da come scrivi, un personaggio nato nel settecento, e quindi morto e sepolto da qualche secolo; sarai mica forse tu il vero Highlander della letteratura? il termine giacche’ non lo sentivo nella vita comune da un trentennio, forse sei tu il re del paranormale?
        Da buon medico ti prescrivo doppia razione di Dogo anche per te stasera.

  • w la democrazia ia panta (per sempre, scusate mio marito è per 3/4 greco e io mi esprimo in maniera fantasiosa, mangio giros e souvlaki, non leggo i racconti, ma accetto che si possano avere idee diverse). Che bella la tua risposta Mario, si possono avere opinioni diverse, ho chiesto. Tua risposta NO. Esiste un solo modo per definirti, ma lascio perdere perchè adoro Chiara e non voglio sporcare il suo blog. Scrivimi quello he vuoi, tanto non ti rispondo più.

    • Checché tu possa pensarne, io me ne impipo bellamente sia del pensiero di Steve, sia di tutto il resto. Io ORDINO imperiosamente che la si pensi come me.

      • Viva la sincerità! Anche se menti, un po’ ti interessa.
        Comunque, andando fuori tema: c’è una quota di indomiti della grammatica che scrive “impippo” (forse riferendosi a oscure pratiche onanistiche…).

  • E stasera io guardo il festival, ché devo commentarlo su facebook e sul mio blog.

    • Qui, signori miei, gira roba pesante. O me ne date un po’, o non riuscirò mai a essere all’altezza della conversazione…

      • Appoggio le pratiche onanistiche all’oscuro, che vogliamo farle alla luce del sole? A qualcuno farebbe bene, o comunque meglio di Sanremo

  • Vi dico solo una cosa. Questo racconto è bellissimo. Per il resto non vi sento, LaLaLaLaLaLaLaLaLaaaa

  • Una scrittura delicata che mi fa affezionare ai personaggi. La parte del ringiovanimento mi ha trasmesso la stessa inquietudine che provo ogni volta che rifletto sul tempo. Grazie, Elena.

  • Eccellente Elena!! un viaggio surreale nei meandri del pensiero, delle emozioni e delle speranze di donne di ogni età…per te é ordinaria amministrazione ma…complimenti davvero 😉

  • Gentile Andrea,
    ti ringrazio per i tuoi complimenti. Però, devo dire che per me non è stata affatto ordinaria amministrazione.
    Negli ultimi mesi, mi sono trovata a dover leggere con attenzione molti libri sull’invecchiamento; collaboravo come redattrice a un ciclo di conferenze sul tema.
    Quello sì è stato un viaggio!
    Una piccola parte di quelle emozioni eccezionali è confluita in questo piccolo racconto.
    Un tentativo di domare la paura.

  • Complimenti all’autrice,
    gran bel racconto. A me ha “donato” soprattutto angoscia, e non so se questo fosse l’intento, ma mi è paciuto molto. Quel non voler accettare il tempo che passa, il possedere un’età e delle esperienze molto diversi da quanto appare dall’involucro esterno, ecco mi hanno un po’ turbato, ma avevo anche mangiato pesante. 🙂
    Ciao
    Tomas
    ps un appunto, un po’ troppo pragmatico forse: se il danno è nell’appartamento del vicino, la nostra protagonista non dovrebbe preoccuparsi della parte economica, perchè paga lui. 😉

    • Ciao Tomas,
      grazie infinite per il commento! E molte grazie anche per l’appunto tecnico (una implausibilità può mandare a monte pagine e pagine di narrazione, altroché).

      Ora mi angoscio io che sto al terzo e ultimo piano però… 😉

  • Articolo interessante e colgo l’occasione per complimentarmi per questo sito! veramente ben fatto e con tanti articoli utili!

  • Sono stato molto contento di aver trovato questo sito. Voglio dire grazie per il vostro tempo per questa lettura meravigliosa! Io sicuramente mi sto godendo ogni post e ho già salvato il sito tra i segnalibri per non perdermi nulla!

    • Ciao Paolo,
      benvenuto! Spero che tu possa trovare sempre qualcosa che fa al caso tuo.
      Alla prossima!
      Chiara

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