Parole sante

Parole sante

Clicca play per ascoltare la recensione; sotto, l’incipit del romanzo.

In principio fu la vecchiaia.
Viorica la osservò frignare nel lettino, rigida e fragile come un tronco marcio, nella casa che i figli avevano spogliato di ogni bene, a eccezione dei medicinali, fazzolettini da naso e una madonnina i Lourdes in plastica con dentro metà acqua.
Quando ogni domenica mattina i due figli maschi, le loro consorti e la figliolanza al seguito venivano a trovare la povera malata, Viorica li vedeva sfilare con gli abiti buoni, le facce tristi e la lacrima di comodo. E mai che se ne andassero a mani vuote. Nascosto da qualche parte trovavano sempre un pupazzo un piatto di ceramica, un orologio, una panca o un settimino tarlato che a casa loro ci sarebbe stato benissimo, ché poi, si sa, sono sempre ricordi.
A vederli la vecchia  smetteva di lagnarsi distratta dalle ombre che si ammassavano al suo capezzale, nauseata dai profumi delle nuore; si faceva piccola al rumore dei traslochi e gli uffa dei nipotini pestiferi. Riprendeva a gemere non appena la porta di casa sbatteva, con la realtà che si chiudeva a lei e alla sua badante, rimaste di nuovo sole.
Allora Viorica tirava fuori i soldi e faceva due calcoli. Per sé teneva un foglio da cinquanta e nascondeva gli altri sei in un posticino segreto. Una scatolina portagioie laccata di verde. Poi si stendeva sulla brandina, soddisfatta per quanto può durare il sogno di tornare in patria assieme a tanto denaro. Roba di pochi secondi. Finito di sognare, si rimetteva a guardare a vecchia e ascoltava il suo lamento eterno: “Mamma… mamma? Mamma!”
Da quando i figli si erano portati via il televisore, un Mivar dopotutto in ottimo stato, in casa si udiva solo la vecchia invocare lo spirito della madre. Non la smetteva neanche quando Viorica le cambiava il pannolone o la imboccava con l’omogeneizzato. A volte l’ucraina le rispondeva con le poche parole che aveva imparato a dire in italiano.
“Sì, mama, sì bene. Sì.”
“Mamma, ma… ma? Mamma!”
“Sì, tu piano. Sì.”
“Mamma… mamma. Mamma?”
La deprimente litania durava giorno e notte, e intanto Viorica dell’Italia non aveva visto niente, nessuno dei monumenti che le donne di ritorno in Ucraina le avevano descritto, nessun Colosseo e nessuna torre pendente. Conosceva il supermercato sotto casa, il Tutto a un euro dei cinesi e quella cazzo di vecchia  imperterrita che chiamava la madre.
E così la badante iniziò a deprimersi. Scoppiava a piangere per un nonnulla. Poi tirava su col naso, si faceva un giro turistico dell’appartamento saccheggiato, sbirciava dalle persiane un pezzo di Italia, apriva il portagioie sperando di trovarci più soldi, aspettava che tornasse la domenica, si spazzolava i capelli, guardava l’ora. E all’ora giusta, si alzava per dare una pillola all’inferma.
Mentre la nonna ciucciava l’acqua dal beccuccio, i loro sguardi sembravano incontrarsi. L’ucraina aveva occhi determinati, la vecchi rassegnati e vitrei. E una volta finito di bere era di nuovo mamma e mamma.
E Viorica rispondeva: “Sì, bene, tu piano”.

Parole sante, di Eva Clesis, Perdisa Pop, p. 312 (16 euro)

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4 Comments

  • Bello. Mi piace. Promette assai bene. Ma non si può. Basta! Sarò interdetto se continuo a spendere i soldi in libri!

  • Leggendo l’incipit immagino la scena… La”vecchia” e la sua badante straniera, che vita è? Intendo per ambedue queste donne, costrette a convivere e a non amarsi, a vedersi sfilare sotto gli occhi quelle povere cose che popolano il paesaggio degli anziani. Un bell’incipit, che fa venir voglia di continuare a leggere.

    • Sai che ho pensato lo stesso?
      Penso che questo sottotetto condiviso sia un altro merito dell’autrice…

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