Se la conosci, lei sopravvive: rebbio #salvaunaparola

Se la conosci, lei sopravvive: rebbio #salvaunaparola

Li usate tutti i giorni. Per gustarvi un buon piatto, per esempio, ma li maneggiate pure quando accordate uno strumento. Di che parlo?

rebbio [réb-bio] s.m. (pl. -bi)
1. Ciascuna delle punte di un attrezzo forcuto, come la forca, la forchetta (ecc. SIN dente).
2. Ciascuno dei due bracci del diapason.
3. Frazione a sud della città di Como.

Parola mai sentita, finché non mi è piovuta, o meglio, finché le son caduta addosso io. Molte cose le imparo così, mentre sto cercando un libro/mettendo in ordine/inciampando ecco che faccio caracollare (se pesante, prevalentemente sui mignoli) un qualche cosa al suolo contenente informazioni preziose che il cosmo ha deciso di svelarmi proprio in quel preciso istante.
Stamattina l’inciampo è stato virtuale: causa deprivazione da sonno, sono cascata di faccia sulla tastiera e sul monitor è apparsa la parola “rebbio”. Non so come, ma era lì (vista la mia condizione psicofisica, posso anche aver sognato tutto, forse sto sognando pure di scrivere questo post).

Di scoperta in scoperta ho appurato che è incerta (alcuni indicano come origine il XIV secolo): potrebbe essere legata a tedesco riffel, cioè il pettine con i denti di ferro, la forca. E deriverebbe dal franco ripil/rippel a sua volta connesso all’olandese repen/reppen (in inglese to ripple): gramolare il lino, cioè staccare i semi con la gramola.

Da oggi, occhio a come arrotolate gli spaghetti sui rebbi. A proposito: il galateo comanda che, finito di mangiare, il commensale disponga le posate nel piatto, appaiate, e con i rebbi della forchetta a “riposo” (cioè verso l’alto). A voler essere pignoli, le posate dovrebbero stare “nella posizione simile a quella delle lancette dell’orologio tra le 3.15 e le 5.25. Non da escludersi le 6.30.”
La procedura, minuto più minuto meno, è per il cameriere un segnale inequivocabile: gli viene infatti comunicato di poter sparecchiare il piatto. Il bon ton, insomma, sta pure in punta di forchetta…

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5 Comments

  • Molto interessante, della serie: non si finisce mai di imparare. Grazie Chiara. Ti regalo la mia parola, magari la conosci già, ma per me è stata una scoperta che mi ha molto divertita e appena ne ho avuto l’occasione l’ho infilata in una frase: ‘caditoia’ che è usata per indicare un elemento del sistema di drenaggio urbano che serve a intercettare le acque meteoriche e facilitarne lo scolo. La parola ha origini più antiche e meno urbane infatti le caditoie nei castelli medievali erano le apertura da cui si gettavano sui nemici liquidi bollenti, sassi ecc.. il temine viene anche usato per indicare una botola. Non ne conosco l’origine ma mi viene da pensare che derivi da caduta ossia una fessura da dove si facevano cadere cose. Trovo che sia un gioco bellissimo trovare parole poco usate o addirittura in disuso, la nostra lingua è meravigliosa.

    • Monica, grazie!
      Meravigliosa, è vero. E poi, come detto, ogni parola racconta delle storie.
      Dalla mia caditoia ideale piovono libri 😉
      Un bacio!

  • Rebbi… forchetta, rispondo con una ricetta.

    Frittata alla pasta vecchia

    Per fare questa frittata, essere sposati non è indispensabile, ma aiuta.
    INGREDIENTI:
    – 3 uova
    – Parmigiano finto
    – Olio di oliva
    – Un contenitore di plastica con tappo, appannato, con dentro un bel po’ di pasta condita con il pesto. Nel mio caso lo ha trovato mia moglie in frigo (vedi la premessa) e ha chiesto: “Ma da quand’è che è qui questa pasta”? Dopo di che l’ha presa per buttarla, ma poi si è distratta e la pasta è tornata in frigo fino al giorno dopo.
    – Patate e fagiolini lessi (anche da pochi giorni o poche ore)
    TEMPO DI PREPARAZIONE
    2 giorni
    Primo giorno: ritrovare l’avanzo di pasta
    Secondo giorno:
    Mettere in una padella l’olio. Quando è caldo buttare la pasta al pesto, dopo aver eventualmente eliminato la leggera (e del tutto naturale) fioritura bianca. Tanto il calore dell’olio brucia tutto.
    Aggiungere le patate lesse (poche) tagliate a pezzetti e i fagiolini (pochissimi). La frittata è ancora più buona senza patate e fagiolini, ma non sarebbe una vera frittata alla pasta al pesto. Io li ho messi.
    Rosolate bene il tutto, in modo che il fuoco purifichi quel che c’è da purificare. Intanto, in una ciotola che poi puzzerà di uovo per sempre versate il contenuto delle uova e sbattete con una forchetta aggiungendo il parmigiano finto e un pizzico di sale. Se la parte liquida è poca rispetto alla massa rosolante, allungate le uova con albume. Quindi versate l’uovo sbattuto sopra la pasta e patate e con un cucchiaio livellate bene. Regolate la fiamma piccola.
    Coperchiate e dopo 5 minuti aprite per vedere se ha fatto un po’ di crosta sopra. Non l’ha fatta. Ricoprite e aspettate altri 5 minuti, quindi sollevate il coperchio e vedrete che ancora la crosta non c’è. Potete aumentare il gas, ma lo fate a vostro rischio.
    Prima o poi il soffitto della frittata diventa un minimo consistente. E’ il momento per voltare la frittata. Ci sono due modi.
    A) Con la mano sinistra appoggiata sull’anca sinistra e la padella impugnata saldamente nella destra, si esegue un movimento di polso alla Rocco Siffredi tentando di far volare la frittata in un volo carpiato. Ma.
    a1) in genere la frittata non si stacca dalla padella. a2) se decolla, solitamente ricade dallo stesso lato, schizzando l’olio in giro. a3) il più delle volte si scompone in volo come un fuoco d’artificio.
    Per questo io seguo il metodo B
    B) Con una paletta e con un sacco di bestemmie si stacca la frittata dal fondo della antiaderente. Si impugna il coperchio con la sinistra tenendo la parte interna rivolta verso l’alto. Con la destra si tenta di far slittare la frittata sul coperchio. A me riesce una volta su tre. Quando non riesce è perché la frittata si spacca come un campo a Fukushima dopo il terremoto e rimane ghigliottinata dai bordi della padella; oppure, b2, la frittata porta ocn sé sul coperchio un sacco di olio bollente, il quale cola fuori dal coperchio e si raccoglie sulla pelle dell’avanbraccio, appena sotto il polso.
    La frittata è finita. Io non l’ho assaggiata, ma i figli hanno detto che era buonissima e persino la moglie. (quella che pensa di aver buttato via la pasta).

    • Premessa: va be’. Siete mitici! Questi commenti sono la cura, dopo una giornata da panico 😉
      Venendo a te, Aldo. Io stavo per cucinare pasta al pesto (e pomodorini e mozzarella…). Quindi domani, frittata!
      Gli ingredienti (familiari e non) sono il massimo!

    • Dimenticavo: non credo di poter rimediare alla lacuna del figlio unico, almeno non in una nottata… oddio, detta così, va be’,

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