BookBlister: il blog è nudo

BookBlister: il blog è nudo

BookBlister vi racconta come funziona la “baracca”, perché lo fa, cosa recensisce, come… 

Ho iniziato dopo un anno di rubrica su Radio 105. I Libri a Colacione erano in standby e io mi sentivo orfana. ArrivavanoUn altro bloG mail di richieste su cosa leggere e comprare, su Facebook parlavo di libri ma non era la stessa cosa. Così è nato BookBlister.

No, non lo ho mai considerato un lit-blog. “Vacci piano, ragazzina!” (sì, la mia coscienza mi parla così). Ma uno spazio per i libri. Per le parole. Per raccontare il mondo dell’editoria ai lettori e agli autori stessi dal margine in cui lo vivo io. Per la letteratura chiedete ad altri.

Non ci guadagno. L’affiliazione ad Amazon mi permette di pagare le spese e poco più. Non ci sono banner, ché mi fanno rivoltare lo stomaco. Tipo quelli degli editori a pagamento su alcuni giornali (vedi Affari Italiani). Per questo motivo non ho collaboratori, i collaboratori mi sentirei in dovere di pagarli, anche non guadagnando nulla.

Un blogger professionistaNon acquisto molti dei libri che recensisco, me li forniscono gli editori. Nella maggior parte dei casi sono io a chiederli agli uffici stampa, sono testi che cerco di selezionare al meglio, così da evitare gli invii a vuoto e inutili perdite di tempo. Chi mi conosce sa cosa cerco: esordi, italiani, libri meno noti. È mia abitudine dire sempre all’ufficio stampa cosa penso di un testo, perché mi è piaciuto, perché no. Sì, mi è capitato eccome di parlare male di un titolo ricevuto e a parte un caso isolato, non ci sono state ritorsioni. Se ci sono ritorsioni, si ha a che fare con degli idioti incompetenti ed è una fortuna saperlo.

BlogGrazie al digitale posso evitare gli invii cartacei, questo rende tutto più semplice. I libri che ricevo? Quelli amati li tengo (contrariamente agli accumulatori, in casa ho solo i libri che penso di poter rileggere) gli altri li regalo alle biblioteche e a chi me li chiede (le storie devono andare a caccia di lettori ideali). Di libri ne compro comunque moltissimi: se ami le librerie, cadi spesso in tentazione.

Le mie recensioni sono più spesso positive, non è un problema di buoni rapporti, non è questione di convenienza ma di attitudine e benessere.

  • Stroncare un testo richiede un mucchio di tempo ed energia (leggere robaccia è una tortura), per lavoro leggo e valuto dattiloscritti (spesso, ahimé, terribili) perciò non mi risparmio la mia quota di brutto quotidiano. E sì, ho bisogno di parole e storie buone per sopravvivere.
  • Parlare bene di un libro non fa notizia. Se scrivo che mia figlia ha starnutito piovono like, se recensisco bene un romanzo i like sono dieci. Le stroncature fanno notizia, sono più divertenti e gustose. Lo stesso vale per le polemiche. Quando dici bene, parli a pochissimi, cioè ai lettori veri e a qualche lettore potenziale ben disposto. A me sta bene così. Non voglio perdere i primi e provo a coltivare i secondi.
  • I lettori mi chiedono più spesso cosa comprare e leggere, meno cosa evitare. E suggerire libri che ho amato rientra nella mia visione del mondo: essere propositiva ed evitare di praticare (solo) la lamentela (che se fosse uno sport sarebbe olimpico).
  • Mi concedo il lusso di abbandonare i libri brutti. Quando sono orrendi, provo pure il brivido liberatorio del lancio a canestro. Cioè li butto nella pattumiera.

Non ho mai ricevuto pressioni per dire bene di un libro. Mi capita di parlare di autori che conosco, di amici, di miei autori, di To blog or not to blogsconosciuti, di gente che mi sta sulle gonadi… In tutti i casi consiglio libri in cui credo, motivo il consiglio e ci metto la faccia. Sono libera, nessuno mi paga, nessuno mi chiede alcunché.

Ogni tot penso che lavorare nel mondo editoriale, così come parlare di libri, sia una raffinata forma di masochismo. Creare e gestire un blog sull’argomento è inspiegabile, una sorta di ossessione compulsiva. E tenere un corso per futuri lit-blogger? Una follia? Una furbata spenna pivelli? Bisognerebbe chiederlo a Jacopo Cirillo di Finzioni che per minimum fax terrà “Come creare un blog letterario di successo”. Io l’ho fatto. Abbiate un poco di pazienza, l’intervista arriverà (eccola qui).

Articoli suggeriti

9 Comments

  • Seguo il tuo blog perché:
    – dici quello che pensi;
    – non mi propini i comunicati stampa ma si percepisce che il libro lo hai letto davvero;
    – recensisci anche libri di case editrici poco note e non per questo meno interessanti;
    – mi hai dato delle buone dritte, per cui mi fido.
    Ecco in sintesi quello che per me deve avere un blog letterario. Quindi spero che tu possa continuare sulla linea che ti sei prefissata.
    p.s e pure io abbandono i libri che non mi piacciono e ora, grazie agli ebook, ho meno rimorsi.

  • Scusa ma ho letto che la piccola ha starnutito!!! Dov’è il pulsante Like????
    Scherzo, brava continua così e mi raccomando non buttare il reader!!! O meglio buttalo dove io possa prenderlo…

  • Se ti dicessi quanto mi piace il tuo blog non farei altro che ripetermi. In ogni caso mi hai fatto conoscere: Osimo, Muzzopappa e Genovesi, solo per questo meriti la mia gratitudine eterna, ammesso che sia importante. Credo che la spontaneità e la libertà espressiva di un blog non si possano insegnare, ma adesso va di moda il tentativo di “far soldi” (c’è proprio scritto così nel programma del corso) col blog. Io non seguo le mode, mai, figuriamoci in questi casi. Comunque attendo l’intervista. Siccome l’editoria sta agonizzando è probabile che si cerchi altro, tipo i blog, appunto. Bacione

  • Mi unisco al coro. Il mio apprezzamento credo di avertelo già dichiarato. Mi piace quello che fai e ti seguo, e seguirò, nonostante/grazie alla franchezza con cui ti esprimi. Leggerti mi calma i sensi di colpa, non solo oggi ma anche prima, con post precedenti. Leggo e ho letto molto ma non ho conservato tutti i libri e quando lo dico, oppure offro libri senza pretenderne la restituzione, c’è sempre chi è pronto a gridare allo scandalo. Ora scopro che non solo l’unica e che l’attaccamento alle ‘cose’ è sano se le ‘cose’ valgono.
    Aspetto l’appuntamento del sabato mattina con la serenità di chi sa che c’è sempre il blog e se non arrivo in tempo il blog mi salva.
    Grazie Chiara, se puoi non cambiare.

  • Lo chiedo anche qui, ma quindi i collaboratori si devono pagare? O è meglio andare al corso per saperlo con sicurezza?

    • Che uno si faccia domande è già una passo avanti!
      Scherzi a parte, la domanda la formulerei così: se apro un blog per passione, mi faccio il mazzo per la gloria e non guadagno un nichelino e qualcuno vuole collaborare alla mia impresa, lo devo pagare? Se non lo pago, sono uno sfruttatore?
      Mettiamo che un aspirante blogger voglia collaborare con te, cosa gli diresti? La domanda non è così ridicola visto che non si tratta di un impresa, di un quotidiano, di una società… Io ho già risposto, ma io amo la libera professione e il libero masochismo e il supplizio in solitaria.
      La faccenda dolorosa è un’altra: in Italia il lavoro culturale è per i più inutile, eliminabile. Non genera profitti, non ha mercato.
      Serve un corso per parlare di queste cose?
      Serve parlare di queste cose, senza dubbio. Non so se c’è qualcuno disposto a sborsare 320 euro per saperle… secondo te? 😉

      • Ecco, esatto, non avrei saputo spiegarlo meglio.
        😉

  • Non ci sono abbastanza pulsanti like per laicare questo post e tutti i suoi commenti. 😉

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *