Krys Lee: fiction e poesia per raccontare la violenza in Corea del Nord

Krys Lee: fiction e poesia per raccontare la violenza in Corea del Nord

Krys Lee è l’autrice di “Come siamo diventati nordcoreani” e in questa intervista ci spiega perché ha scelto un romanzo per raccontare la dittatura.

Che cosa accade in Corea del Nord? Ce lo racconta Krys Lee in Come siamo diventati nordcoreani, pubblicato da Codice edizioni (qui trovi la recensione). Perché anche se abbiamo i giornali, la rete, la tv, la radio, i social per far circolare le notizie, smascherare i cattivi e far luce su complotti e atrocità, anche se crediamo di poter sapere tutto, ci sono angoli del mondo che restano al buio. Luoghi in cui tutto accade e nulla trapela. Per scarsa attenzione, certo, e per colpa di chi non ha alcun interesse a far circolare la verità.

Preferisci ascoltare l’intervista? Ecco il podcast!

Krys Lee, il tuo libro inizia con una dichiarazione di affetto e amicizia speciale. Quanto hanno contato le persone che ti sono vicine, che ti vogliono bene, nella stesura di questo libro? Che ruolo hanno avuto?
Gli amici nordcoreani, gli attivisti che mi supportano mi hanno detto: “Scrivere è il tuo impegno” e sono gli stessi che mi hanno portato i loro diari chiedendomi di raccontare le loro storie. Ma gli ho risposto che il giorno in cui sarebbe stato pubblicato il libro non avrebbero potuto tornare indietro. Perciò li ho infinitamente ringraziati ma ho rifiutato. Ho cercato però di onorare e proteggere il loro vissuto e di mostrare la complessità della situazione e ancora di mostrare la speranza che è parte integrante di questo viaggio senza alcuna accondiscendenza e, soprattutto, senza semplificare.

Tu sei passata dai racconti al romanzo, questo è il tuo primo romanzo. Ma quando hai avuto per le mani tutte queste storie avresti potuto scegliere la forma breve, dei racconti per raccontarle tutte. Perché questi tre personaggi, perché un romanzo?
Sono prima di tutto una poetessa e una scrittrice di fiction e per me l’immaginazione è importante tanto quanto la verità. Ciò che guida la mia scrittura è proprio quello che non so; io amo leggere non-fiction ma se avessi scelto un saggio per raccontare non avrei avuto il mio spazio per immaginare, cosa che invece la narrativa mi permette di fare. Posso scrivere di ciò che non so utilizzando quello che invece conosco. C’è quindi il mondo in quello che scrivo ma anche molta immaginazione. È così che uno scrittore può sorprendere il lettore: con la propria esperienza ma anche custodendo e raccontando tutte le esistenze da cui ho tratto informazioni.

Quando una cosa accade lontano da noi, quando i media se ne occupano poco, non ci riguarda o, peggio, crediamo che neppure accada. Se Krys Lee dovesse spiegare cosa succede in Corea del Nord a un italiano quali parole userebbe?
Una buona domanda… forse gli direi che ogni cultura– o quasi – ci insegna che i governi sono corrotti. L’Italia sa bene cosa sia la corruzione, per dire. Ma a essere corrotto non è il popolo. I governi non riflettono le persone e questo vale per la Siria, l’Italia, L’America e i nordcoreani. Il problema della Corea del Nord sono i confini, confini che determinano il suo isolamento dal resto del mondo. È un Paese diviso dal resto del mondo e questo vuol dire fare i conti con la scarsa conoscenza, le cattive informazioni, gli stereotipi.

Ed ecco che entra in gioco la narrativa con il suo ruolo: intrattenere, far sì che il lettore immagini e capisca altre realtà. Noi leggiamo per imparare, provare sulla nostra pelle e per riflettere. Il mio obiettivo come scrittrice – soprattutto avendo iniziato come poetessa – è però di creare qualcosa che considero bello, qualcosa che mi smuova con la sua storia, il suo linguaggio, i personaggi… voglia una storia che faccia riflettere il lettore, so che posso aver fallito ma ci provo.

Il difficile, raccontando storie emotive, storie che parlano di violenza, è trovare la giusta misura. La sfida era riuscire a informare, a mantenere empatia e a non dare mai l’impressione di “sfruttare” queste storie. Come sei riuscita a mantenere il controllo emotivo, raccontando fatti che ti toccavano tanto?
Be’, grazie. Per prima cosa sono felice che tu abbia parlato della violenza perché la “violenza” è u linguaggio che conosco ahimé molto bene per svariate ragioni personali. Ed è un tema che torna e ritorna e mi è molto caro… qualcosa da cui non riesco proprio a liberarmi. Parlo di violenza dei governi sul popolo ma anche della violenza tra le persone.

E nell’ultimo secolo la Corea ha subito incredibili violenze ed è come se le persone ne fossero state infettate. È una nazione violenta. Violenza in famiglia, violenza nella società, violenza anche verso se stessi. È una sorta di perturbazione, qualcosa che si avverte sempre nell’aria. Un’instabilità… una violenza potenziale. Così ho cercato di mostrare questa situazione partendo dalla realtà ma tentando anche di stupirmi attraverso quello che capitava sulla pagina, cioè non descrivendo semplicemente gli orrori. Perché la violenza presuppone una fine, una speranza. Un cambiamento. Della vita mi interessa sia la luce sia il buio.

Si può giudicare la libertà di un Paese dal trattamento riservato ai bambini, alle donne, ai malati, ai carcerati… e, ovviamente, anche alle notizie. Leggere in un libro che ci sono bambini che oggi nascono in campi di detenzione ignorando che fuori esista un mondo diverso, lascia allibiti. Cosa si deve fare per far circolare la verità?
Tantissimi corrispondenti esteri dalla Corea e dalla Cina sono miei amici e loro mi ripetono spesso che le notizie vivono un giorno o poco più. Le news devono essere brevi, veloci… loro fanno il loro meglio ma questa è la realtà. I libri sono diversi perché permettono alle storie di vivere è questa l’attrattiva delle storie ed è una delle ragioni per cui abbiamo i libri. Ecco perché i giornalisti continuano a scrivere non-fiction perché se vuoi dare spazio a una storia devi darle spazio letteralmente! E mostrare le ombre, cioè mostrare quello che non è affatto ovvio al primo sguardo.

Io leggo molta narrativa e altrettanta saggistica e mi pare di non farlo mai abbastanza… a guidare il lettore è la fame di conoscenza e di esperienze. Per questo mi sembra di leggere sempre con gli occhi di un bambino: un libro mi ricorda che faccio parte di una minuscola parte di mondo, che sono piccola e insignificante e che devo per forza guardare al di là. La maggior parte dei problemi nasce perché non capiamo il punto di vista delle persone. E quando leggiamo della vita degli altri o del mondo degli altri, che si tratti di fiction, di saggi o di allegorie, noi ci esponiamo a diversi modi di pensare. È un po’ quello che capita quando impari una nuova lingua: io cerco di imparare – anche se sono pessima – per leggere i libri in lingua originale e guardare il mondo più da vicino. È quello che fanno anche gli scrittori che vogliono vedere il mondo attraverso gli occhi degli scrittori e non soltanto attraverso i propri.

Ne esisteranno molte ma quali organizzazioni umanitarie potremmo supportare?
Ovviamente sì ne esistono molte, alcune delle quali sono corrotte… ma mi sento di consigliarvene soprattutto due: la Citizens’ Alliance che si è occupata della Corea del Nord ed è riuscita a far approvare l’atto per i diritti umani e la Justice for la North Corea, il capo di questa organizzazione ha impiegato i propri fondi per aiutare le persone a fuggire dal Paese e lo ha fatto senza ottenere nulla in cambio.

Che sei una appassionata lettrice direi che è evidente… se ti chiedessi di consigliarci un libro del cuore?
Ce ne sono talmente tanti che ci vorrebbe un anno! Però nell’ultimo periodo mi sono letteralmente innamorata dei libri di Yuri Herrera uno scrittore messicano. È davvero un autore affascinante sia per le sue idee sia per il linguaggio che usa. Per la sua capacità di costruire una storia avvincente e di toccarti nel corpo e nella mente. Al momento è davvero uno dei miei scrittori preferiti e una delle mie ultime scoperte.

Krys Lee, grazie per il tuo tempo e per il tuo lavoro.

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