Dopo la fine di una storia, Instagram diventa un taccuino visuale: tra stories, voice-over e caption, si scrive la rinascita come fosse una commedia… a patto di cambiare città!
Mollata, ma con stile: perché, dopo la rottura, si parte e si inizia a raccontare la vita come in una commedia.
L’innesco è la parola “fine”. Un matrimonio fallito, una convivenza chiusa, gli amici che ti voltano le spalle e una città che pare non poterti più dare alcuno stimolo.
Se in passato c’erano le lacrime, le amiche con cui sfogarsi e un nuovo taglio di capelli (spesso azzardato ma lacrima più lacrima meno…), adesso ci sono un diverso profilo, tante storie e reel che paiono puntate di una serie.
La trama? Lei – spesso sulla trentina o quarantina ma non mancano le over – viene lasciata. O lascia (dopo essere stata tradita). Risultato: il cuore a pezzi. E poi? Impacchetta la sua vita e prende un volo per Parigi. O per New York. O Lisbona e comincia la trasformazione: personale e lavorativa.
Non è (più) solo una nuova vita. È una storia da raccontare. E, perché no, da monetizzare.
Il format è servito
Instagram, TikTok… i feed sono pieni di donne che, finite in ginocchio, si rialzano e cominciano a ballare. E la danza è coreografata secondo uno schema narrativo ricorrente che funziona benissimo per il pubblico e per l’algoritmo.
Lo schema?
- Chiusura: “E poi un giorno, dopo dodici anni insieme, mi ha detto: non ti amo più”.
- Vuoto: “Non sapevo chi fossi. Camminavo per casa come un fantasma”.
- Svolta: “Ho comprato un biglietto di sola andata per Parigi. Senza sapere il perché”.
- Nuova eroina: “Ogni mattina prendo il mio caffè al Marais e scrivo. Ho ripreso a respirare”.
Queste narrazioni non nascono per caso. Hanno tutto il passo di una serie HBO: protagonista ferita, città-iconica, estetica curata, voice-over riflessivo, moodboard sentimentale.
Sembrano memoir live, più spesso si tratta di auto-fiction, di sicuro è storytelling di sopravvivenza aspirazionale che permette al pubblico di rispecchiarsi e sperare in un futuro migliore.
Perché funziona così bene?
La rottura è motore narrativo. È l’equivalente contemporaneo del terremoto che apre il primo capitolo. Quando tutto crolla, si può (finalmente) scrivere.
E il dolore, per quanto reale, si presta benissimo a essere montato in tappe, archi, simboli. Esattamente come farebbe una scrittrice con il proprio personaggio.
Insomma per stare bene sui social è importante conoscere il viaggio dell’eroe… e soprattutto quello dell’eroina!
La città come cornice identitaria
Parigi o NY ma può anche essere una houseboat in Canada (che delizia! A parte quando i tubi dell’acqua si congelano…) è più di uno sfondo: è un dispositivo narrativo.
Permette il cambiamento, legittima il nuovo inizio, giustifica l’estetica.
Non sei semplicemente a pezzi: sei a pezzi a Montmartre, tra i bistrot e il profumo di croissant.
Il che significa condividere con i propri utenti tre cose fondamentali:
- un rispecchiamento → a tutti capita di chiudere una storia
- la paura → di non farcela, della solitudine, di non essere abbastanza…
- una guida → per scoprire la città ma anche strategie di sopravvivenza (gestione dei soldi, della solitudine, delle nuove relazioni amicali e non…).
I social come diario

Un tempo c’era il caro e vecchio blog. Oggi ci sono i reel e, soprattutto, ci sono le storie.
Instagram diviene così lo spazio in cui, non si racconta tanto chi si è, ma si scrive il nuovo sé. Un luogo in cui dare forma ai desideri e spazio al proprio sé ideale.
In questi profili non si celebra una vita patinata e lussuosa (per quella ci sono gli influencer che insistono con le cabine armadio e gli home tour) ma si condivide un quotidiano semplice, curato, fatto di lavoro, tempo libero e tanti guai, concreti e non.
Una scrittura fatta di immagini, caption, voice-over in reel da pochi secondi che sintetizzano emozioni, simboli e svolte. Con un hashtag e uno split screen, puoi fare storytelling di una trasformazione che nella vita vera è ancora in corso.
Scrittura, trauma e storytelling
Dal punto di vista narrativo, è interessante notare che questi racconti funzionano proprio perché rispondono a un bisogno archetipico di senso. Come in ogni buona storia:
- c’è una perdita (rottura)
- c’è uno spaesamento (vuoto, sospensione)
- c’è una spinta (la città, il viaggio)
- c’è un senso da ricostruire (nuova me, nuova narrazione)
Lo storytelling post-rottura riprende le dinamiche del romanzo di formazione ma lo fa in chiave estetico-esistenziale, con punte ironiche o malinconiche, in equilibrio tra intimità ed esposizione.
C’è un po’ di Carrie Bradshaw in ogni caption, un po’ di Mangia, prega e ama e una spruzzata generosa di Emily in Paris ma condensati in reel e storie con colori e filtri ad hoc.
Il business della rottura?
Ci si guadagna? Sì, la rottura diventa una business opportunity, con pacchetti, consulenze, prodotti digitali dedicati.
Se il profilo diventa una vetrina per il proprio lavoro di creator o si ha una agenzia di comunicazione, quale miglior modo di trovare clienti mostrando sul campo cosa si sa fare?
C’è chi monetizza creando filtri e grafiche. Chi scrivendo libri e guide di viaggio o regalando esperienze ad hoc nella nuova città. Senza contare tutti i possibili adv.
E c’è chi, superati i 50 (e anche di più), dichiara che grazie alla rottura la vita è cambiata in meglio: viaggi, alberghi meravigliosi, ristoranti stellati… tutto merito del loro nuovo business online (spoiler: vendono consulenze per insegnarti il modello di business… ma guadagnano con le consulenze e non con il loro modello di business).

E se non puoi cambiare vita?
Cambia struttura narrativa! Non tutte possono andare a New York. Ma possono iniziare a scrivere la propria storia da un nuovo punto di vista. Della serie: se fai sempre le stesse cose, ottieni gli stessi risultati.
Di certo ciò che accomuna queste narrazioni è il bisogno di rimettere insieme i pezzi: raccontare significa dare una cornice al caos. E, in fondo, non è così diverso da ciò che fanno le scrittrici e gli scrittori da sempre: partono da una frattura (personale, esistenziale, simbolica) e costruiscono un mondo narrativo.
Solo che ora il mondo narrativo ha i filtri di Instagram, la lingua degli storytellers digitali e il ritmo delle piattaforme. Cambiano i mezzi, cambiano i linguaggi ma il bisogno di narrare – e di narrarsi – resta.
E allora non sprechiamo energie a chiederci se sia tutto vero. Meglio domandarci: perché funziona così bene?
È la fiction, bellezza. Basta saperlo e, nel caso, godersi lo spettacolo.
Case study (profili e bio presi da Instagram)
Anna Kloots
Scrittore
NYT Bestselling Author ♡ American in Paris sharing joyful, real life moments and travels
La sua ormai è una rom-com…
Aly Kima
just peachy
NYC | Paris
Cosa mi piace? Una modella bellissima che sta in posti bellissimi con abiti bellissimi parla di solitudine. Non lo trovo scontato.
Daphna | Money for women starting over
Helping You Start Over Financially on Your Own
No more Anxiety around Money
If your biggest fear is being Broke -Start here
Cosa mi piace: se hai paura a viaggiare da sola, a mangiare da sola, a lavorare da sola… ti passa!
Vittoria Tomassini
Creator digitale
Ho lasciato tutto per ricominciare a New York
Per gli amici Vicky
Amo l’autunno, le serie TV e Taylor Swift
Cosa mi piace? Grafiche molto belle e la voce maschile nella sua serie Vicky in the city che mi ricorda i trailer nella testa di Amanda Woods ne L’amore non va in vacanza.