Livia ha quarant’anni quando si innamora di Arno e decide di costruire con lui un pezzo di futuro. Ma insieme a quest’uomo arriva anche Emma, la figlia avuta da una relazione precedente. Ed è proprio questo triangolo relazionale – così comune, così spinoso – a essere il cuore pulsante del romanzo.
Livia ed Emma non si piacciono. Anzi, si respingono quasi fin da subito. Eppure devono convivere, imparare a gestirsi, a nominarsi (sì anche chiamarsi con il nome giusto è un problema…). A riconoscersi nei propri punti di luce e di buio.
Quel che accade in queste pagine è un conflitto sottile e durissimo, non esplosivo, ma carsico. Non c’è empatia, non c’è adesione: solo una coabitazione emotiva ostile.
E la cosa più interessante è che a risultare disturbante non è solo l’ostilità della bambina – insopportabile, viziata, rumorosa, sempre in contropelo! – ma soprattutto l’atteggiamento dell’adulta. Livia osserva, giudica, analizza… ma raramente si espone davvero, perché non dice a voce alta ciò che prova.
La sua voce è lucida e affilata ma anche inautentica, perché rifiuta di ammettere la propria difficoltà e ad accogliere quella dell’altro. Come se la rabbia e lo spaesamento non fossero ammissibili. E ciò che non si può dire, prima o poi, ti distrugge.
Dare voce ai conflitti
Chiara Marchelli ci porta dentro la rappresentazione di una adultità fragile, compromessa, in cui i ruoli familiari vengono incarnati senza convinzione, senza lo sforzo di mettersi in relazione per davvero.
Arno, il padre, è un personaggio sempre concentrato sul non alterare un equilibrio che non c’è. E così è inadeguato sia per la figlia, sia per la compagna. Non contiene e non affronta mai il problema: il dolore di Emma, il suo bisogno di essere vista e guidata per davvero.
La madre biologica di Emma usa il denaro come surrogato d’affetto, come sostituto di cura. Mentre si lascia travolgere dalle sue dipendenze e fragilità.
Livia che non ha mai voluto figli vive questa “maternità imposta” come un contrappasso. Come una specie di conferma per le sue scelte, senza rendersi conto che il tema non è fare la madre, ma essere un’adulta. Osserva e critica ma non entra mai davvero in relazione con questa ragazzina, non accoglie il conflitto (né quello di Emma, né il suo). E negandolo, ne amplifica la portata.
Uno specchio crudele
In questo contesto, Emma – che pure è fastidiosa, petulante e oltremodo invadente – diventa una specie di specchio crudele, che riflette l’inadeguatezza e l’egoriferimento degli adulti. Lei tira calci (che gli adulti fingono di non vedere ma sentire li sentono), dà corpo alle parole (e ribadisce a modo suo che gli adulti, Livia soprattutto, hanno “le fette di salame sugli occhi”), manda all’aria i piani, fa rumore, non porta rispetto per le cose.
Occupa spazio e lo fa notare Emma, forse perché sente di non averne né di meritarne? Forse perché pensa di essere un peso? Sta di fatto che una brava bambina si farebbe invisibile fino a sparire, mentre lei sceglie di essere ingombrante. E cavoli se ci riesce!
Quello che manca? Qualcuno che si ponga la domanda fondamentale: “Come stai? Perché reagisci così?”
Perché leggerlo
Perché ti mette a disagio e ti fa entrare in un terreno dove le emozioni non sono risolte, ma sopportate o subite. Dove la rabbia e l’insofferenza e l’inadeguatezza sono manifeste eppure mai nominate e quindi rifiutate.
Perché la scrittura – senza orpelli, nuda, precisa – ti costringe a restare accanto a un conflitto che i personaggi adulti non colgono mai davvero, troppo impegnati a notare le mancanze dell’altro e ad affibbiare colpe. Un conflitto che resiste e cambia forma lungo i vent’anni raccontati e costringe a forza a fare i conti con i propri limiti. Costringe a fare la cosa più complessa che ci sia: dialogare in modo autentico.
Chiara Marchelli ti scomoda, ricordandoti che i bambini non devono per forza essere simpatici (neppure ai propri genitori), né che la genetica garantisca la possibilità di amarsi. Che avere anni sulle spalle non rende adeguati a educare. Che i più piccoli inchiodano gli adulti alle loro responsabilità e li rendono nudi di fronte alle loro mancanze. E, soprattutto, che l’amore possa “riparare” da solo le fratture affettive è una illusione.
Un libro per chi…
- Ama i romanzi intimi e spietati.
- Vuole esplorare le complessità che vivono le famiglie allargate e il ruolo di “nuova compagna” o “matrigna”.
- Cerca una narrazione priva di retorica su infanzia e relazioni familiari.
- Ama i cliché terremotati (la brava madre, la brava figlia, la brava compagna, il padre saggio).
La figlia di lui
Autrice: Chiara Marchelli
Editore: Feltrinelli, collana I Narratori
Pagine: 224
Data di pubblicazione: 4 marzo 2025
L’autrice
Chiara Marchelli è nata ad Aosta nel 1972. Laureata in Lingue Orientali presso Ca’ Foscari di Venezia, ha vissuto in Belgio ed Egitto e dal 1999 si divide tra l’Italia e gli Stati Uniti, insegnando alla New York University come docente di Italiano e Scrittura Creativa.
Esordisce nel 2003 con Angeli e cani, vincendo il Premio Rapallo Carige Opera Prima; segue una produzione variegata: racconti (Sotto i tuoi occhi, 2007), romanzi (L’amore involontario 2014, Le notti blu 2017 – finalista al Premio Strega, La memoria della cenere 2019) e romanzi noir (Redenzione, serie Maurizio Nardi). La figlia di lui è il suo ultimo libro, edito da Feltrinelli nel 2025.

