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Charlotte Link
Interviste

Oltre le apparenze

La regina tedesca degli psico thriller alle prese con uno stalker. 

Un uomo solo e disoccupato, che passa tutto il suo tempo a guardare la gente. Solo che Samson le persone che ha “scelto” non solo le osserva, ma si immedesima nella loro vita, fino a illudersi di farne parte. Gillian è una donna di successo. Ha una bella famiglia, un buon matrimonio. Peccato però che questa apparente perfezione nasconda ben altro.

E intanto Londra è scossa da efferati omicidi e le vittime sono tutte donne, sole.
Samson, oltre a essere uno stalker, è anche un assassino?blank

Questo è l’innesco della trama di Oltre le apparenze, l’ultimo romanzo di Charlotte Link, regina tedesca degli psico thriller. E in effetti, il titolo regale se lo merita eccome.
A me è bastato leggere il prologo per rimanere diabolicamente invischiata nella trama. Una scrittura asciutta, puntuale (alle volte si ha solo la sensazione di qualche macchinosità, di qualche lieve intoppo, forse legato alla traduzione) e un intreccio congeniato in modo che le sicurezze e il punto di vista del lettore vengono ribaltati di continuo (senza furberia alcuna). E, come risultato, ti accompagna nella lettura un’angoscia che monta, pagina dopo pagina.
Charlotte Link non è interessata alla violenza esibita, scava dentro e fuori i personaggi, tra le pieghe dell’animo e nei rapporti interpersonali, perché l’orrore si annida proprio lì.

Il titolo originale del suo romanzo è Der Beobachter, L’osservatore. In effetti tutto ruota attorno a Samson, questo personaggio che osserva, che si infila nelle vite degli altri. In un certo senso fa quello che facciamo un po’ tutti, certo, però lui porta questa curiosità morbosa all’ennesima potenza. Come nasce il personaggio?
La curiosità di Samson va ben oltre la normalità. È un osservatore ben al di là della norma e si identifica negli altri durante queste sue osservazioni, compensa una vita caratterizzata da un’assenza di successo su tutti i fronti e la compensa entrando dalle vite altrui. Il personaggio nasce leggendo un articolo di giornale sul fenomeno della cosiddetta second life, cioè quella specie di seconda vita che alcune persone riescono a ricrearsi in rete entrando a far parte di alcune comunità e creandosi all’interno di queste una nuova identità.
Da un lato, in questo romanzo, ritroviamo la quotidianità fatta dei piccoli rituali della giornata, di lavoro e rapporti famigliari. Dall’altro, l’orrore che in fin dei conti non è che una deviazione, prepotente, dalla normalità. Sembra molto affascinata da questa diade.
Noi viviamo all’interno della normalità, dell’ordine e ciò che ci spaventa è immaginare che all’interno di questa normalità penetri qualche cosa che la faccia scoppiare, entri qualche elemento di disturbo profondo e non immaginiamo nemmeno quanti di questi elementi di perturbazione esistano realmente. Ciò che mi piace nei miei romanzi è proprio l’accostamento di questi due mondi: quello normale, dell’apparenza di quello che siamo abituati a vivere e poi il mondo dell’irrazionale e del male. E, naturalmente, in questa operazione di continuità poi si crea della creatività.

C’è nel romanzo un orrore che a me terrorizza forse di più di quello efferato degli omicidi:  una distanza tra persone che, invece, dovrebbero essere vicine, dovrebbero accudirsi. Ed ecco che una donna muore e ci vogliono dieci giorni prima che la figlia lo scopra. In un’epoca dove siamo tutti connessi, sempre in contatto, sempre in rete, questo fa un certo effetto, no?
È tipico dei nostri tempi e credo che sia un fenomeno destinato ad aumentare. Noi viviamo concentrati sulla nostra vita, sui nostri ritmi di vita di lavoro, e non troviamo il tempo per gli altri. Viviamo in una specie di mondo delle apparenze. Dove imperano internet, mail, sms, tweet ma il problema è che comunichiamo con gli altri solo attraverso questi strumenti, quindi finiamo con l’avere degli amici che, però, spesso non conosciamo affatto.

La solitudine, in effetti, è un tema centrale nel romanzo. Da un lato quella delle donne uccise. Ma è la stessa solitudine di cui è vittima Samson e che lo attrae: lui osserva la gente sola per capire perché lo è, e come affronta questa condizione. Anche Gillian è sola perché non riesce a comunicare davvero né con il marito né con la figlia. È un po’ la malattia del libro ed è la nostra malattia?
Direi che, sì, funziona esattamente così. La solitudine è un grave problema secondo me destinato ad aumentare sempre di più. Ha ragione, è una malattia, la peggiore di cui si possa soffrire. Nel libro le persone sole non sono certo cattive, però, nonostante desiderino fortemente il contrario, non riesco a uscire dal loro isolamento.

Un altro aspetto chiave sono le apparenze. Che, in un certo senso, ci sono anche di aiuto. Etichettiamo, categorizziamo, crediamo di aver capito una determinata realtà o persona… e questo, rende il mondo meno imprevedibile e caotico. Una grande qualità narrativa del libro, consiste nel fatto che il punto di vista del lettore viene ribaltato di continuo. Come si può fare un’operazione di questo tipo, mantenendo la credibilità?
Eh, come faccio… come faccio? Guardo la vita! Sto attenta a quello che succede a me per prima. Quante volte incontro una persona e ciò che mi sembrava in un modo, di primo acchito, in realtà si rivela poi falso. La cosa davvero affascinante della scrittura è la possibilità di inserire nell’intreccio dei personaggi, conferire loro una certa facciata e poi sfogliarli come fossero delle cipolle, strato dopo strato, in modo che a ogni strato corrisponda un’immagine diversa. Succederebbe anche a noi, se facessimo cadere i diversi veli che ci compongono.

Il male irrompe nella vita di queste donne come una minuscola variazione della loro quotidianità – l’ascensore che fa un percorso anomalo, una luce sospetta – qualcosa che, per chiunque sarebbe un nonnulla e per loro, invece, è un’incrinatura evidente della quotidianità. Una increspatura della quiete che lei trasmette alla perfezione, direi in modo diabolico! Quanto si deve conoscere un personaggio per fare un’operazione di questo tipo?Be’ direi che vado molto a intuito. Sono proprio le piccole cose quelle in grado di richiamare grandi sviluppi e non gli eventi macroscopici. Quindi i particolari più insignificanti all’interno di una vita normale hanno una valenza molto speciale e basta una loro impercettibile variazione ed ecco che riescono a destare tutta una serie di sentimenti: agitazione, paura, ansia vera a prorpia. Perché all’improvviso sperimenti la perdita di controllo di ciò che in realtà conosci molto bene. E io conosco alla perfezione questa emozione, perché sono una maniaca del controllo!

A proposito di controllo. Gillian Ward è una donna di successo, bella famiglia, buon matrimonio. Ma, in realtà, bastano poche pagine per capire che lei si sforza, e non poco, per tenere insieme i pezzi della sua vita. Gillian rappresenta il desiderio di mantenere il controllo, di tenere lontano il dolore?
Gillian simboleggia un problema. Sono tantissime le donne che nella loro vita devono fare i conti con tutte le aspettative che si riversano su di loro. Devono essere efficienti sul lavoro, mogli in gamba, brave mamme. Devono insomma avere la loro vita in pungo. E, a un certo punto, si scopre che tutto questo carico, messo insieme, è decisamente troppo da sopportare. E quindi dietro la facciata di perfezione emergono deficit e sensazioni di inadeguatezza. Io stessa sono madre di una ragazzina di 11 anni e in questo momento tra di noi non è che le cose funzionino a meraviglia e, talvolta, ho questa sensazione di fallimento.

Io chiedo sempre agli scrittori un consiglio per diventare dei buoni lettori. Visto che, per scrivere bene, bisogna leggere bene.
Leggendo, leggendo e ancora leggendo. Cercando di non abbandonarsi a internet, televisione, videogiochi. Imparando il gusto di concentrarsi su una storia. Io non potrei vivere se non leggessi, la lettura è una parte fondamentale della mia quotidianità

Un libro che si sente di consigliare?
Non conosco bene la realtà editoriale italiana. Comunque sia, a me piacciono molto i thriller scandinavi, in particolare Kristina Ohlsson.

Oltre le apparenze, Charlotte Link, traduzione di Umberto Gandini, Corbaccio, p. 529 (15,81 euro)

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2 comments

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Barbara (@pixel78) 22/03/2012 at 16:25

Che bella intervista! Il libro poi mi sembra interessantissimo, grazie Chiara

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Chiara Beretta Mazzotta 22/03/2012 at 19:43

Io l’ho volato. E lei è una donna davvero affascinante e molto dolce (la regola per cui chi scrive di crimini orribili è una persona meravigliosa qui è rispettata alla lettera :-))

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