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Tramando: il primo posto va a…

Ci siamo. Ed è pronta anche la cassa di libri! Manca solo il nome del vincitore…

Prima però volevo ringraziare tutti quelli che hanno partecipato a Tramando. Il tempo libero è oro, grazie per averlo dedicato a questo piccolo torneo.

In queste settimane mi sono molto divertita a leggere i vostri commenti (tanti e articolati) e devo dire che ho amato le risposte dei vincitori. Chi non accoglie le critiche perde parecchie occasioni per imparare.
E adesso la smetto di cianciare.

Il primo posto l’ha vinto un racconto mi ha emozionata e che accoglie al suo interno gli indizi con naturalezza. Il titolo è Ritono a casa e l’autore si chiama Paolo Clarà. Complimenti!

Il dolore mi annoda lo stomaco, produce saliva che spinge dal basso e si allarga nel petto, divora l’aria e i polmoni mi fanno male, tossico ma niente, esce solo un fischio stridulo e intasato, e forse qualcuno mi sta aprendo la bocca, forse mi stanno infilzando la gola con un tubo di plastica per farmi respirare, come ho visto fare a Manfredonia quando stava per morire durante Bologna-Roma e ha ammutolito lo stadio, ha paralizzato i tifosi in quell’istante orribile in cui parlava solo il telecronista e non sentivo niente, come adesso, e c’erano gli sbuffi della macchina che gli ridava fiato. Io non mi accorgo di nulla, è come essere chiuso in una bolla sottovuoto. Ho i dottori intorno. Gli occhi di tante persone addosso, come mosche, si contendono un po’ del mio male.
Mentre affogo nel buio e scompaio, l’unico bisogno che sento è dormire.

 I.
Nel residence dove abitavo quando ero piccolo, fu organizzata una festa per l’attesa della fine del mondo.
A scuola si era sparsa la voce che quella notte un meteorite sarebbe caduto su Varese e la Terra se ne sarebbe andata in mille pezzi in giro per lo Spazio. Così la mia compagna di classe Klaudia, che quell’anno si era trasferita in Italia con i suoi genitori, mi aveva detto: “Salvami, mio eroe”.
Ora, io che alle catastrofi spaziali credevo come uno studioso del sottobosco crede agli gnomi, le avevo detto che non sarebbe caduto un bel niente sulla nostra città. Magari da un’altra parte dello Spazio sì, ma non sulla Terra, che era protetta dalla Stratosfera. Siccome mio padre guardava Quark ogni sera, sapevo tutto su galassie, nebulose, Via Lattea e quant’altro.
Però, se proprio voleva, poteva venire a casa mia.
“C’è una festa, vengono tutti quelli della tv”, le avevo detto senza stare a spiegarle chi fossero. “Mangi due patatine e almeno ti fai quattro risate. Altrimenti, con quella faccia depressa, non ti ci vogliono neanche, nell’Aldilà”.
Ovviamente, Klaudia non si era fatta vedere. I suoi non avevano potuto portarla e, in ogni caso, le avevo già spezzato il cuore senza pensarci due volte.
In realtà, a me della tv non fregava proprio niente, a parte Quark. Ai personaggi famosi di cui si sentiva parlare, io preferivo i calciatori. Loro sì che meritavano la mia attenzione. Alla domenica ascoltavo Tutto il calcio minuto per minuto e in contemporanea giocavo le partite a Subbuteo, da solo. Altro che la Messa di Don Roberto. Aveva preso il vizio di celebrarla la domenica pomeriggio, così i bambini che erano all’oratorio rimanevano fregati. Io all’oratorio non ci ero mai voluto andare e forse anche per questo Klaudia si era presa una cotta per me.
Ma non potevo certo darle retta. Dalle due e mezza alle sei, quel giorno giocai tutta la quattordicesima di ritorno, con l’Atalanta di Caniggia balzata al comando di una classifica pazzesca a tre giornate dalla fine.
Poi, per non togliere la suspense al campionato, decisi di fare un po’ di vasche in piscina prima che diventasse buio e il residence si riempisse di gente.

L’ideatore della festa per la fine del mondo non era un testimone di Geova, né uno di quei santoni moderni di cui a volte si sente parlare al telegiornale. Utah: trentadue adepti della setta di Babilonia si danno fuoco sul lago Sevier. Arrestato il Reverendo. Questi personaggi convincono le folle ad aspettare l’Apocalisse come si aspetta il Capodanno o una compagna di classe con la quinta di reggiseno a un pigiama party.
Nulla di tutto questo, per fortuna. Era solo un notaio siciliano con il vizio della trasgressione. Per l’occasione, aveva affittato lo spazio aperto che la nostra grande villa offriva. Prati, scuderie, campi da tennis. Pineta con piscina riscaldata e vialetti accompagnati da file di torce medievali. In più, la torretta per l’avvistamento degli uccelli, adibita ad angolo romantico, e l’autorimessa. Questa era stata trasformata in privè, con tanto di divani zebrati e il sax di Fausto Papetti. Cocktail di scampi stuzzicavano i palati più esigenti e, ad accompagnare il tutto, Cartizze a fiumi.
Ma la festa andò in malora prima che l’angelo della morte avesse legato il suo cavallo alla cancellata d’entrata.
Devo dire che, visti gli ospiti, non è che fosse in programma una serata memorabile. Tantomeno erano previste sbandate sentimentali. Entro poche ore il nostro pianeta si sarebbe fatto una passeggiata nello Spazio siderale: perché correre il rischio di innamorarsi?
E invece fu il primo germe dell’amore, più simile a un senso di colpa che all’amore stesso, a porre la sua impronta fatale sulla mia esistenza, l’8 aprile del 1990.

Alla festa erano stati invitati alcuni tra i personaggi più in voga del momento. Il più atteso di tutti era il re dei telequiz, Aldo Mastrullo, che giunse  con la campionessa in carica in odore di record, Donatella Zaffrangelo. Altre star della serata erano le ballerine del corpo acrobatico di Tette al Vento. Arrivarono alla villa, accompagnate dal presentatore Umberto Smilza, uno tra gli uomini più invidiati d’Italia, al volante della sua Lancia Dedra turbo diesel fresca di motorizzazione. Con lui anche una pornodiva genovese che in quel periodo faceva furore anche alla radio con la hit Supermacho. Qualche settimana prima, Gigi Vesigna le aveva dedicato un editoriale memorabile su “Tv Sorrisi e Canzoni”.
Gli altri ospiti musicali erano: Glauco Geppetto, il disk jockey che andava per la maggiore in tutte le discoteche della Romagna, Gilberto Canarini, un fenomeno biondo platino che sembrava sceso dal pianeta Carnevale, e un prete cantante. Qualcuno di voi si sarà sforzato di dimenticare quella canzone da avemaria che c’è stata a Sanremo negli anni Ottanta. La cantava questo prete con la chitarra. Barba e salopette, era un ibrido tra il capo metalmeccanici di una ditta locale e il Risorto. Era diventato famoso otto anni prima e ogni tanto lo invitavano come pezzo da amarcord alle feste popolari. Credo che in quel caso fosse stato chiamato a comporre la colonna sonora dell’esplosione finale.
Io ero già in piscina prima che arrivassero loro. Perché nel nostro residence a cinque stelle, con il parco, i viali e la vasca d’acqua calda che a tredici anni mi sembrava di grandezza olimpionica, viveva gente dell’alta borghesia e mio padre faceva il custode. Quindi ci andavo ogni giorno, io, in piscina. Era il mio secondo interesse, dopo il Subbuteo e prima di Quark. Sapevo nuotare a stile, rana, dorso, delfino e a volte mi riusciva anche la farfalla.
Mi stavo ancora asciugando i capelli, quando arrivò Marcello, un signore con gli stivali verdi che metteva sempre in ordine gli spogliatoi anche se la gente non aveva ancora finito di lavarsi. Era tutto agitato e diceva che fuori c’era qualcuno che si stava facendo male.
Così ho guardato verso la piscina: quelle buffe stelle dello spettacolo se le stavano dando di santa ragione. Forse per una che faceva aerobica tutte le mattine su Antenna Tre.
Però ho pensato che volessero festeggiare. Perché finiva il mondo e non era certo quello il momento di essere tristi. Si stavano divertendo, secondo me. Magari un po’ brilli, ma mica si prendono a sberle davvero, pensavo.
E invece, quando il presentatore di Ho fatto 13!!!, vestito proprio bene per l’occasione, con la cravatta, le scarpe lucide e tutto quanto, è caduto nell’acqua della piscina dopo essersi preso un montante da uno che doveva essere Roberto, il baffone degli orologi Watch, io mi sono fiondato fuori dagli spogliatoi per aiutarlo. Non mi sembrava vero che quel conduttore così a modo potesse stare sullo stomaco a uno che ansimava di tosse cavallina e sputava, mentre cercava di venderti la brutta copia di un orologio di plastica su Tele City.
Ma un uomo grande e grosso, con la canottiera rossa e i capelli frisé quello che tanto tempo fa guidava la macchina nera parlante più famosa del mondo che tutti noi bambini degli anni Ottanta volevamo in modellino ma non ce la regalavano mai, proprio lui, Michael Night in persona, si è messo in mezzo. Sulla porta dello spogliatoio mi ha detto di no, che non si poteva passare.
Allora gli ho morso un braccio, perché da piccolo mordevo come i cani, soprattutto se mi veniva negato un diritto a casa mia.
Ha provato a tirarmi una manata, con l’aria del bovino che scaccia i mosconi con la coda. Ma mi sono scansato e, velocissimo, sono corso verso il bordo della vasca.
Solo che, per terra, c’era uno schifo. Un trito di patatine, pennette alla vodka e poltiglie varie. Così ho messo male un piede e ho piantato un volo che neanche gli acrobati del circo Togni.
Fu mentre cadevo che la vidi. Nell’istante in cui il cervello è paralizzato dal terrore del dopo.
Mi apparve come un riflesso sulla superficie dell’acqua. Nell’angolo più lontano della piscina. Entrò nel mio campo visivo solo l’attimo prima di picchiare la testa.
Ormai era quasi buio e intorno alla vasca erano state accese le luminarie da giardino. Klaudia era seduta sul bordo, le gambe in acqua. In costume, la pelle bianchissima. Era bella come la immaginavo, ma non avevo mai avuto il coraggio di dirglielo. Non aveva la cuffia e i capelli, bagnati, sembravano alghe elettriche nel riverbero del lampioncino.
Dormiva.
Era appoggiata con la spalla al paletto di cemento scrostato. La testa piegata contro la boccia di plastica illuminata, come se fosse abbandonata su un cuscino.

 II.
Mia sorella piangeva di gioia quando ho ricominciato a mangiare dopo tanto tempo.
Adesso ho trentotto anni e per domani è prevista la fine del mondo come più di vent’anni fa. Alla tele ne parlano da un pezzo e stasera su Canale 5 fanno una specie di veglione di San Silvestro con la lotteria e le mignotte del Grande Fratello.
A me non frega niente. Penso solo che domani sarò ancora qui a lavorare per rimettermi in sesto. Mi devono aiutare, ma mangio. Faccio riabilitazione tutti i giorni e all’ospedale vado solo quando ho le crisi.
Mi rieduca Klaudia, a casa mia. È un’amica di mia sorella.
Quando torno in ospedale, fortuna che ci sono loro due a tenermi compagnia. I giorni sarebbero eterni se rimanessi in camera da solo. Siete le donne della mia vita, dico, quando ho bisogno di chili di baci sulla faccia.
Non le ho mai chiesto l’età, ma credo che Klaudia abbia i miei stessi anni. Viene dal Lussemburgo e con quella K davanti, signori… Mi ricorda un’attrice micidiale con i capelli neri a caschetto che faceva i film tutta nuda. Da rischiare di essere pescati con le mani nella marmellata, le notti in cui uno dei suoi capolavori passava in tv. La mamma faceva il sopralluogo in salotto per vedere se dormivo o guardavo i programmi sporchi e io cambiavo canale.
Per farla ingelosire le chiedo se ogni tanto mi può portare qualche sua amica giovane. E lei mi dice fai il bravo. Sì, ma bravo cosa? che ormai guarda come sono conciato, dico. Lei sorride e mi dà una carezza sui capelli come fosse la mia mamma bellissima che non c’è più.
A volte non voglio mangiare e sputo la pastina in aria. Se succede quando sono in ospedale, Klaudia mi sgrida. È una vergogna, passare per scemo davanti agli altri ammalati. Però fa parte della rieducazione, dicono i dottori. Devo ricostruire anche il mio carattere. Si è frantumato assieme alle vertebre, con la caduta in acqua. Basta un niente e le mie ghiandole lacrimali fanno festa.
La bolla d’aria che si è formata nelle arterie durante l’operazione ha completato il disastro. Ora ho un braccio inutilizzabile e la schiena ondeggia quando mi portano a camminare.
Ci sono poche cose che ho rimosso del mio passato. I dottori dicono che il pezzetto di cervello che non funziona più ha cancellato il 20 per cento della mia memoria. Di solito la parte che vogliamo dimenticare, dicono. Però a me dispiace non ricordare tutto della mia vita. Anche le cose più complicate, magari col tempo sono diventate semplici.
Mi strigliano apposta e vogliono che torni a essere forte. Però non sono ancora pronto. Se alzano troppo la voce, piango. Non so più trattenere le lacrime da quando mi sono svegliato dopo quel giorno in piscina. Mi sento senza forze e con tutto il sangue alla testa, quando succede. Divento caldo e rosso. Allora Klaudia viene da me e mi dice che non è niente. Stai tranquillo, mi dice, finisce subito. Ma io lo so che, un giorno, quella schiuma che mi esce dalla bocca mi porterà alla tomba.
La stessa cosa è successa allo zio Pazzo, che si chiamava Pasquale. Gridava come un asino quando gli si riempivano i polmoni d’acqua e vomitava saliva. Finché morì soffocato e tutti smisero di chiamarlo Pazzo. Sulla lapide, di fianco al suo nome vero, fu inciso il disegno di una fontanella per simboleggiare la vita. Invece è stata proprio l’acqua che gli è nata dentro a farlo morire. Quella stessa acqua che la zia ha ogni giorno sul viso, come fosse obbligata a mostrare il suo dolore a tutti. E non c’è mattina che si svegli senza il bianco delle lacrime secche intorno agli occhi.
Dicono che lo zio Pazzo abbia perso la testa per la moglie di un uomo di potere. Per questo gli hanno dato quel soprannome. Quello la prese come sfida e una sera mandò un gruppo di balordi a suonargliele per fargli passare una volta per tutte quel brutto vizio. Anche lo zio, come me, si è risvegliato dopo tanti mesi in un ospedale. La riabilitazione però non gli è servita. Alla fine, l’aria nei polmoni è finita e ciao.
Così, adesso, ogni volta che Klaudia mi tranquillizza con le sue mani che sanno di sapone, mi chiedo se succederà anche a me di innamorarmi della donna sbagliata e non riuscire più a farne a meno.
La osservo, mentre sta facendo altro. Con le dita, si preme una tempia e chiude gli occhi per resistere al dolore. Quando li riapre, è spaesata e guarda chissà dove, come se avesse perso l’orientamento. Mi chiedo se sia solo emicrania o se la scuotano pensieri tanto dolorosi da stordirla. Forse lotta per scacciare ricordi che non sa dimenticare. Se è così, allora penso che a me non è andata poi troppo male.

Tutto è veloce. Non c’è un suono.
Scorrono fotogrammi di una pellicola emersa all’improvviso da qualche angolo della mia testa.
Vedo la luce di taglio sulle piccole onde della piscina in cui nuotavo da piccolo. Vedo i lunghi corpi delle persone in piedi trasformarsi in ombre sulla superficie dell’acqua.
Inquadro la vasca da una posizione angolata e mi accorgo di volare a testa in giù. Quando atterro, sento un dolore di ossa spezzate e un calore che mi va in tutto il corpo.
C’è una voragine aperta nell’acqua. Io, senza grazia, affondo nel gorgo, finché sento la presa di mani sicure. Mi afferrano per le braccia. Mentre mi tirano fuori, vedo altre mani che spingono sul petto di Klaudia.
Il suo viso è contratto. I capelli sono bruciati. Un odore di corto circuito accompagna lo scorrere delle immagini, ma non c’è alcun rumore. Ogni cosa che accade sembra programmata per noi due che adesso siamo distesi uno al fianco dell’altra, nella stessa ambulanza.
Mi lascio toccare, accarezzare la testa, mentre Klaudia muove le gambe e tossisce per far capire che è viva.
Ora tutto è più lento.
Una cannula mi buca la gola.
I dottori aspettano una mia reazione.
Mentre affogo nel buio e scompaio, l’unico bisogno che sento è dormire.

 III.
Quando muovo le palpebre, Klaudia mi massaggia la fronte con le dita. Sto riaprendo gli occhi, non riesco ancora a mettere a fuoco.
Mi infila il ditale sull’indice per misurare i battiti.
Il macchinario è silenzioso.
Lontano, in tv, stappano le bottiglie. È il primo minuto di un giorno nuovo.
Klaudia dice: “Ti prego, portami con te”.
Colgo una stonatura. Una corda vocale che salta.

Un attimo dopo ti vedo.
Avvicini alle labbra una foto in cui, nel campetto delle scuole, ho appena fatto gol. Il tocco della tua bocca dura pochissimo, ma mi rassicura.
Poi ti alzi dalla sedia che hai sempre tenuta vicina al mio letto. Ti sistemi in fretta davanti al piccolo specchio. L’armadietto delle flebo è vuoto. Quello più grande è solo una cassa di lamiera grigia appoggiata al muro in verticale. Lo hai chiuso con il lucchetto.
Metti in borsa le ultime cose e ti fermi sulla porta. Guardi la stanza che lasciamo a qualcun altro: il letto rifatto, le lenzuola bianche senza una piega, i cuscini puliti. Hai tolto dal comodino tutti i segni del mio passaggio. I fazzoletti di carta che lasciavo in giro. Le bottigliette d’acqua. I barattoli di omogeneizzati che mi davi da mangiare anche se sapevano di schifo. Le tendine della finestra sono aperte e il sole dichiara che la fine del mondo è lontana.
Singhiozzi, tiri su col naso.
Metti la foto nella tasca interna del cappotto.
Qui, sento il ritmo del cuore.
Fuori c’è ancora qualcuno che scoppia petardi da ieri sera. Nonostante tutto, il mondo è andato avanti.
Mentre noi torniamo a casa.

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Attenzione, c’è pure la menzione. (Anzi, le, perché son due)

Il racconto più brutto

102 comments

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Arianna 18/02/2013 at 21:22

Toccante…emozionante…. bello davvero! Primo posto davvero davvero meritato!!

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Aldo Costa 18/02/2013 at 21:44

Davvero? Io ho frequentato le classi differenziali (per bambini non intellettualmente sviluppati) e a ragione, infatti non sono sicuro di averlo capito.

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Chiara Beretta Mazzotta 18/02/2013 at 21:58

A me hanno rimandata parecchie volte qua e là, quindi siamo pari. Anzi!
Non ti è piaciuto, Aldo, ma che c’entrano i bambini sottosviluppati, dai!

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eidon 18/02/2013 at 23:14

Gran Racconto. Con la R maiuscola. Bravo. Cristo. Brava anche a Chiara.

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Aldo Costa 19/02/2013 at 09:15

Ieri sera l’ho letto di corsa, con la fame. Stamattina, invece, l’ho riletto con calma, prendendo tutto il tempo che serve per sviluppare le virgole e la punteggiatura. Apprezzo la scrittura, ma mi rimangono gli stessi interrogativi di ieri. Ho detto che ho un Q.I. basso per togliere argomenti ad altri che volessero farmelo notare, ma non capisco se alla fine il protagonista muore o non muore, con chi va via, perché Klaudia era sull’ambulanza con lui e, di conseguenza, temo di non aver colto l’idea centrale. Ecco.

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Chiara Beretta Mazzotta 19/02/2013 at 09:31

Lui alla fine muore. Sì. Va via con lei, in senso lato, come spirito, in una fotografia che lei tiene sul cuore.
Klara era con il protagonista sull’ambulanza all’epoca dell’incidente nella piscina. Lui (che ha perso il 20 per cento della memoria) non se lo ricorda, non si ricorda chi sia davvero Klaudia.
E lascia stare il tuo povero Q.I.!
Ciao, Aldo!

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steve 19/02/2013 at 16:43

Bello, bello davvero, peccato che un racconto allegro qui non ci sia, la vecchiaia prima, la morte poi, per essere premiato potrei scrivere un racconto sull’aldila’ un racconto a due mani (o quattro si dice?) no sara’ a due visto che la mano che scrive e’ una a meno che non si trovi un ambidesstro allora potrebbero essere tre mani, in collaborazione con il Divino Otelma, certo che se non me lo spiegava Chiara….. lo confesso sono come Aldo Costa Crociere non avevo capito se era, vivo, morto, in ambulanza? (questa poi non l’avevo nemmeno pensata) o al cimitero, devo rifare le serali mi sa

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steve 19/02/2013 at 17:06

Forse solo io in questo racconto vedo la mano prettamente sinistra? mi ricorda in qualcosa…mha … non so, come una leggera sensazione di essere al Festival del cinema russo, bello bello pero’ alla lunga….che sbadigli….. qualcuno ha la stessa sensazione per caso?

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Chiara Beretta Mazzotta 19/02/2013 at 17:21

Festival del cinema polacco, semmai. Lo vedo ancora più minaccioso.
Steve, se non la smetti ti obbligo a leggerli a oltranza in ginocchio sui ceci!

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Tale's Teller 23/02/2013 at 11:57

Oui.

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steve 19/02/2013 at 17:59

no chiara errore, esiste eccome il festival del film russo, non e’ polacco e’ russo, fidati tu e’ peggio vacci e poi mi racconti

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Chiara Beretta Mazzotta 19/02/2013 at 18:11

Non ho detto che non esiste, Steve. Ho detto che quello polacco mi pare più minaccioso.
No, no, vai tu. Mi pare che ti farebbe bene. Benissimo anzi!

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steve 19/02/2013 at 18:22

ok Chiara scusami avevo compreso male, sarei interessato pero’ a capire meglio cosa ti ha portato a scegliere questo racconto piuttosto che altri

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Paolo Clarà 19/02/2013 at 19:53

Ciao a tutti e grazie per i commenti. Che dire, sono felicissimo e non mi aspettavo che il racconto piacesse così tanto da arrivare “uno” 😉 So che ci sono delle parti poco chiare e infatti avevo iniziato a lavorarci, cercando anche di allargare il racconto perché, nelle dieci cartelle, me lo sentivo un po’ stretto. Altre parti invece hanno saputo colpire dove volevo e come volevo e di questo sono contento. Abbracci a tutti e complimenti anche a Elena e Giuseppe per i loro due racconti, a mio parere, molto belli.

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PICCHU 20/02/2013 at 20:34

Bravo Paolo, bello e complimenti anche a te!!! Giuseppe

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Mario C. Borghi 21/02/2013 at 11:52

Eccomi!
Potrei dire che è un brano sufficientemente confuso e che ci vuole molta buona volontà per arrivare in fondo ogni volta che lo si legge (una volta sola non mi è bastata, anche io ho un Q.I. risibile), potrei dire che una festa in costume da bagno, in aprile, a Varese, in una piscina ancorché riscaldata, è quantomeno improbabile, potrei dire che se nel 1990 il protagonista aveva tredici anni, nel 2012 ne avrebbe avuti 35 e non 38, potrei anche dire che nel complesso è abbastanza ridondante e che non regge a paragone con il secondo classificato, però tutti mi direste che questa non è una gara, che io sono un maestrino dalla penna rossa, che vengo dal medioevo, che mi soffermo sulle inezie, che non si devono guardare le piccolezze né i refusi e che è un pezzo tanto toccante. Qindi non lo dico, e scrivo che è un pezzo molto bello e intenso, che tocca l’anima.

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Chiara Beretta Mazzotta 21/02/2013 at 13:40

Mario, dài, su. Puoi scrivere (con garbo) ciò che vuoi. E mi pare sia chiaro, ormai.
Non ti è piaciuto. Eh, vabbe’.
I refusi, gli errori e compagnia cantante sono un insulto per un lettore che ha pagato per comperare un libro. Questa è un’altra storia e lo abbiamo già detto.
E precisiamo, questa sì che è una gara, altrimenti non ci sarebbe un podio.
Prenditela con me. 😉

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Mario C. Borghi 21/02/2013 at 13:49

No, sia ben chiaro che io non me la prendo con nessuno, esprimo un mio parere su un racconto.

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Chiara Beretta Mazzotta 21/02/2013 at 13:54

Infatti. Mi piacerebbe che tu ti sentissi libero di farlo senza dover ribadire ogni volta che non puoi farlo. Che poi, se fai così, diventi antipatico e invece mi sei simpatico 😉

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Paolo Clarà 21/02/2013 at 13:39

Caro Mario, non credo che tu ti debba sentire a disagio nell’esporre le tue considerazioni. Sono sicuro che le analisi critiche, se fatte con il dovuto rispetto, siano fondamentali per chi scrive. Penso anche che chi esprime un proprio giudizio critico, se lo fa senza polemica, può solo guadagnarne in credibilità verso gli altri e in tranquillità verso se stesso.

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steve 21/02/2013 at 19:02

Concordo su questo con Mario, per essere precisi ad Aprile del 1990 ha praticamente diluviato ogni sacrosanto giorno con temperature non superiori ai 15 gradi. di seguito il link a conferma: http://www.ilmeteo.it/portale/archivio-meteo/Varese/1990/Aprile come potete notare infatti l’8 di aprile c’era una tempesta su Varese con raffiche di vento che sfioravano i 39 km orari con temperatura minima di 4 gradi (presumibile la sera quindi durante la festa) pero’ anche se l’autore precisa che la piscina era riscaldata, risultava veramente impossibile fare un bagno esterno e anche le file di torce non avrebbero retto alla burrasca, in virtu’ di tutto questo e in qualita’ di campione mondiale de “L’ispettore Varga indaga” della settimana enigmistica posso affermare con certezza che si tratta di omicidio volontario e preterintenzionale e non un banale incidente e che il vero colpevole e’ Umberto Smilzo e non Oscar Pistorius come qualcuno aveva ipotizzato, grazie, grazie di cuore

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Paolo Clarà 21/02/2013 at 19:25

Fantastico, Steve. Nel prossimo racconto anni ’80 il protagonista sarà Edmondo Bernacca alle prese con un antipatico trasferimento da mamma RAI alla tv uruguayana dove dovrà fare le previsioni del tempo per la comunità italiana di Varese (Dipartimento di Salto – Uruguay). E’ una meraviglia discutere con voi di narrativa, amici Steve and Mario. Meritereste di finire nelle mani di Glauco Geppetto: volete mettere un po’ di sana discodance al posto della noiosissima depilazione del testo letterario?

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declesc 21/02/2013 at 19:24

Fantastico, Steve. Nel prossimo racconto anni ’80 il protagonista sarà Edmondo Bernacca alle prese con un antipatico trasferimento da mamma RAI alla tv uruguayana dove dovrà fare le previsioni del tempo per la comunità italiana di Varese (Dipartimento di Salto – Uruguay). E’ una meraviglia discutere con voi di narrativa, amici Steve and Mario. Meritereste di finire nelle mani di Glauco Geppetto: volete mettere un po’ di sana discodance al posto della noiosissima depilazione del testo letterario?

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steve 21/02/2013 at 19:33

Paolo, un po’ di ironia non guasta mai, dai su non te la prendere, la mia era solo una precisazione al tanto preciso Mario, complimenti comunque perche’ se siamo qui a fare critiche ed ironie sul tuo racconto vuol dire che qualche cosa ci ha lasciato, altrimenti saremmo andati oltre, come sempre con affetto

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Paolo Clarà 21/02/2013 at 20:15

E’ proprio quello che volevo dire io (ma forse non si è capito… ah ah). Figurati Steve, io sdrammatizzo quasi sempre, ciao.

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Catherine 21/02/2013 at 22:58

Ciao Paolo, c’era Borghi che chiedeva che si parlasse del tempo piuttosto che del femminicidio con inserto porno (ah! che brutto neologismo. Il neologismo intendo, mentre i fatti anche recenti, con o senza inserto porno, sono edificanti…), poi ora che si parla del tempo interviene Steve per puntualizzare. C’è chi li trova simpatici. È vero che prima di scrivere il tuo racconto avresti dovuto fare le dovute ricerche meteorologiche. Spero tu abbia perlomeno verificato negli elenchi dei flussi migratori dell’epoca che quella tua Klaudia fosse effettivamente emigrata dal Belgio per venirsi a sedere sul bordo della piscina come una dea bianca. Hai fatto tu stesso autocritica e quindi posso infierire:-) Il primo capitolo è molto riuscito, veloce, leggero, puntuale. Io che non amo la tele (come la chiami tu) nella letteratura (perché data lo scritto, perché sono riferimenti che 20 anni dopo non hanno più senso), ho notato che sei riuscito a inserirla perfettamente, con la fantasia e l’ironia, correttamente collegata alla storia. In effetti nel seguito, la struttura si disgrega; la stessa divisione in capitoli sembra inopportuna. Forse sono esitanti le tue intenzioni (racconto breve? racconto lungo?). Credo che un racconto breve, per essere di qualità, debba rispettare alcune di quelle vecchie regole, del tipo unità di tempo, luogo e azione. Lo si domina meglio. Un saluto e complimenti.

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Mario C. Borghi 21/02/2013 at 23:07

Carissima Catherine, potresti ricordare alle mie stanchissime sinapsi dove io avrei scritto questa cosa su femminicidio? grazie.

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Anonimo 21/02/2013 at 23:15

Ciao Catherine, grazie anche a te. Sono d’accordo con te sulla netta differenza tra la prima parte (molto scattante) e la seconda che arranca parecchio e in cui lo stile cambia drasticamente. Ne viene meno l’equilibrio, oltre alla chiarezza che, con la scelta del “salto temporale”, è sacrificata. Errori di cui terró conto nella riscrittura o allargamento che sia. La divisione in capitoli in un racconto è una scelta impegnativa, ma mi affascina. A presto!

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Mario C. Borghi 21/02/2013 at 23:19

Gentile Catherine, ricorda – se vuoi dare un senso al tuo commento – di rispondere alla mia domanda, perché se si scherza va bene tutto, ma quando si toccano argomenti così delicati io scherzo un po’ meno. Altrimenti astieniti pure.

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steve 22/02/2013 at 10:50

Cara Cath, visto che sei qui a fare la maestra di prima elementare e te ne esci con frasi tipo: “C’è chi li trova simpatici” ti sottolineo che e’ un’ovvieta’ senza senso e’ come se dicessi domani potra’ nevicare come no, in pratica non dici niente, potrei scrivere un racconto sulle frasi senza senso, ma non avrebbe ne’ capo ne’ coda, fai piuttosto affermazioni tue, sarebbe stato meglio che avessi scritto “a me Steve mi e’ antipatico” simpatia e antipatia sono soggettivi,tu non mi conosci e io non conosco te, ci leggiamo a vicenda punto e basta, il mio post era solo qualcosa di tranquillo e facile da capire e data l’ora di “scrittura” era come se si stesse tutti insieme in compagnia a sorseggiare una birra a sparare quattro stronzate (scusa il termine). Personalmente rispetto tutto e tutti sono per carattere un tipo ironico ed autoironico, da quello che leggo dal tuo post per me e quindi per il mio carattere ti trovo invece un po’ troppo impostata, sii piu’ libera e meno maestrina, ma potrei sbagliarmi, visto che nella vita reale non ti conosco. Non ho altro da aggiungere anche perche’ diventerei stucchevole e approfitterei della pazienza e dello spazio in casa altrui (vedi Chiara)

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Mario C. Borghi 22/02/2013 at 11:30

Io aspetto ancora di sapere dove la poco simpatica Catherine, con l’h, ha letto le mie opinioni sul femminicidio. Ma dubito che potrà rispondere.

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Mario C. Borghi 21/02/2013 at 23:11

*sul

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Antonella 22/02/2013 at 18:30
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Chiara Beretta Mazzotta 22/02/2013 at 20:02

Che tristezza… Pessima idea, Tramando intendo.
L’anno prossimo avrò molto più tempo libero. Ché il tempo libero è oro.

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Mario C. Borghi 22/02/2013 at 21:49

Mi congratulo con Antonella per le sue doti da Signora Fletcher, ha scoperto sia il mio blog sia che sto orribilmente rosicando. Le chiederei se potrebbe, già che c’è, anche andare a scovare la fonte da cui Catherine, con l’h, ha attinto le sue informazioni su di me.

Chiara, e perché tristezza? Non dirmi che non accetti le critiche, sù. I commenti sono stati lasciati aperti per cosa, allora?

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Chiara Beretta Mazzotta 22/02/2013 at 23:16

Perché tristezza?
Mario, su, anzi suvvia, lo dico io a te.
Io amo le critiche (termine neutro, al pari di giudizio, opinione eccetera) quelle negative quando motivate e non astiose, quelle positive quando motivate e non sdolcinate. E solo i poveretti credono di imparare dai complimenti, quelli fanno bene ovvio, ma non servono a nulla.
Leggendo il tuo post, sul tuo blog, francamente, non ho trovato critiche motivate.
Dal tuo pezzo si evince che:
A. una poveretta di editor – una che mangia pane e letteratura! (a tradimento) – ha premiato tre incapaci (e non me). Significa che è una incompetente o che il sistema editoriale è malato, perciò io per poter proporre un mio testo a un editor/agenzia devo scrivere delle sontuose cagate incomprensibili e piene di refusi.
B. I tre vincitori sono tre poveracci incapaci.
Cioè tu hai fatto una simpatica equazione tra il mio lavoro e un torneo letterario. Poi hai massacrato i tre racconti e via. Tanto i tre cretini mica si chiamano Mario, caspita!
La tristezza nasce dal fatto che questo spazio (= il mio tempo libero) speravo fosse altro dal mio lavoro, dove tutti i giorni ho a che fare con gli egocentrismi isterici degli autori e le di loro frustrazioni. Mi piaceva l’idea di un concorso, perché tutti si lamentano del fatto che farsi leggere è una impresa (costosa). Pensavo che si potesse leggere una storia e, magari, dire all’autore “non mi è piaciuta. Che cavolo volevi dire? Perché hai fatto così? Io non avrei ma scritto quello!”.
Che si partisse dai personaggi e dalle trame, insomma, e dall’assunto che per qualcuno Carver fa schifo, Manzoni è un cretino, Proust un palloso, James un cervellotico… cioè, che ci sono milioni di scritture e milioni di letture.
Invece trovo solo “io”, “io”, “io”!
Ecchepalle!

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Mario C. Borghi 23/02/2013 at 00:20

Dunque, che gli autori siano dei cretini lo hai detto tu, non io, pe favore non metterti allo stesso livello di Catherine, con l’h, ossia non mettermi nella tastiera frasi che non ho mai scritto. Io ho solo sviscerato i racconti, ma probabilmente non abbastanza, visto che dici di non avere trovato mie critiche costruttive.
Per tutto il resto c’è il secondo, che come ho già detto, per me è notevole.
Poi, questo è un concorso per autori esordienti, no? E’ stato detto. Quindi de gustibis…

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Chiara Beretta Mazzotta 23/02/2013 at 00:31

Questione cretini. Ti prego di rileggere il post sul tuo blog. Da lettore e non da autore del suddetto. E dimmi che idea ti fai dei tre classificati.
E poi. Il secondo per te è notevole e sul tuo blog scrivi:
“Lunedì 11 febbraio 2013 viene pubblicato il secondo classificato. La storia di due anziane sorelle fuori di testa che vedono di tutto, anzi alla fine non si sa nemmeno se sono due o una, o se è una con la badante. Però è molto bello e suggestivo.”
Meno male che ti è piaciuto!
Come ho scritto sul tuo blog, le critiche qui le ho trovate e se ci fosse stato meno livore (siccome se critico mi sgridano, dirò che il racconto mi ha toccato e bla bla bla anche se mi ha fatto schifo) credo che si sarebbe creata una ottima atmosfera, con relativo scambio di opinioni.
Adesso vado a nanna che per mia figlia non c’è weekend e domani alle sette inizia la Terza guerra mondiale 😉

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steve 22/02/2013 at 23:39

Ennnno’ Chiara, proprio non ci siamo, non penserai mica di uscire dalla porta sul retro, per non farti fotografare come Balotelli !!! Ora tramando l’hai creato e si va avanti, ho gia pronti 4000 testi inediti per la prossima edizione, ho passato oltre un anno in abbazzia per farli scrivere dai monaci amanuensi, voglio vedere se non faccio “cappotto” con primo secondo contorno acqua e caffe’, te li spediro’ domani giusto per vincere sul tempo la concorrenza, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno cosi te ne leggi con calma una quindicina al giorno vedrai che per l’anno prossimo sei pronta al verdetto, oramai non si puo’ gettare la spugna!!!! Solo una domanda pero’ anziche la cassa di libri, l’anno prosimo potresti mettere in palio un paio di settimane alle Maldive? ringraziandoti anticipatamente ti porgo i miei piu’ cordiali saluti

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declesc 22/02/2013 at 22:26

Peró ragazzi, Chiara ha ragione. Sarebbe bello imbastire una discussione legata al testo o ancora meglio alla scrittura in generale che non continuare a beccarsi. Per cosa, poi? Per un racconto scritto da me?? Dai su (senza accento).

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Mario C. Borghi 22/02/2013 at 22:29

Io non ho ancora letto un’analisi motivata del testo, ma solo attacchi. Io ho cercato di dire la mia, ma è tutto inutile.

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declesc 22/02/2013 at 22:36

Appunto, Mario. Ribadisco che hai fatto bene a scrivere il tuo commento come meglio credevi. Ma una volta detto quello che avevi da dire non serviva (secondo me) continuare a buttar benzina sul fuoco. Apprezzo l’ironia di Steve, invece. Lui ha scritto le sue impressioni negative con un tono un po’ diverso e, da parte mia, ha stimolato una risposta allo stesso modo ironica.

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Mario C. Borghi 22/02/2013 at 22:38

Benzina sul fuoco? A cosa alldi? Al mio risentimento per le inesattezze (gravi) che catherine, con l’h, ha scritto su di me, o per cosa? Per il pezzo sul mio blog? Be’, siamo in democrazia, almeno ancora per pochi giorni…

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declesc 22/02/2013 at 22:41

Ma sì, il continuo controbattere. Va bene dai, basta. Che stiamo annoiando la platea.

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Mario C. Borghi 22/02/2013 at 22:45

In effetti la mancanza di argomentazioni fondate e sensate porta sempre all’attacco personale. Bastiamola qui.

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Tale's Teller 22/02/2013 at 23:28

Sospetto di aver perso il filo della narrazione e, forse per questo, non ho trovato il vizio peggiore.
L’idea di gestire il racconto lungo due linee temporali non è male, forse avrebbe avuto bisogno di più spazio per poter essere chiaramente comprensibile.
Come tutti i racconti “di consumo emozionale” non rientra nel mio genere e trovo che siano veramente pochi gli autori in grado di gestire la narrazione in prima persona senza che la lettura risulti appesantita dai rimbalzi tra pensieri e realtà.
Nell’insieme dei tre racconti vincitori, a mio gusto, si sarebbe classificato al secondo posto, tra La macchia (primo) e Una frittella ad East Harlem (terzo).

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Chiara Beretta Mazzotta 22/02/2013 at 23:36

Così mi piaci, Tale’s!
Il capro (scherzo!) Paolo sarà felice di risponderti.

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Tale's Teller 22/02/2013 at 23:42

Come lo Yomo dei tempi andati, felice di piacerti.

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Chiara Beretta Mazzotta 22/02/2013 at 23:52

E per il vizio: “Dicono abbia perso la testa per la moglie di un uomo di potere”.
Per me è questo (e mi era tanto piaciuto che l’indizio fosse così ben innestato da non spiccare) ma Paolo toglierà ogni dubbio…

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declesc 22/02/2013 at 23:56

Grazie, Tale’s. Il vizio peggiore è quello che lo zio aveva per la donna dell’uomo di potere e che lo ha fatto finire in mano ai balordi e ciao. Per quanto riguarda i due piani temporali anche io ho la tua stessa idea e cioè che potevo sviluppare meglio la storia in piú spazio (anche se sono convinto che si possa lavorare molto di lima e quindi chiarire i punti oscuri rimanendo comunque nelle 10 pagine e anche meno). L’io narrante mi piace molto e lo uso anche perchè mi aiuta ad avvicinare il lettore al protagonista. Una terza in questo tipo di storia secondo me avrebbe appesantito ancora di più (soprattutto la seconda parte). Per Chiara: non sopprimere Tramando! L’anno prossimo voglio andare alle Maldive con Steve!

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Chiara Beretta Mazzotta 23/02/2013 at 00:06

La prima persona è una sfida (non che la terza sia una passeggiata). Certo è empatica, ma se il personaggio non funziona è una badilata nelle gonadi del lettore e crea un sacco di problemi al narratore. Primo tra tutti il limite fisico dell’io. Se non c’ero, non ho visto, non so… quindi non posso neppure raccontarlo (trucchetti a parte, tipo leggere, ascoltare le informazioni che non ho potuto ascoltare in diretta). Insomma giocare alla macchina da presa non è semplice.
Una focalizzazione in terza, a mio avviso, qui sarebbe stata fuori di senso. Si sarebbe perso del tutto il problema mnestico del protagonista. La sua percezione della vicenda (il prima e il dopo). Pure il finale sarebbe venuto meno, perché sarebbe stato davvero difficile rendere il cambio di autopercezione (il passaggio dalla vita alla morte).

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Tale's Teller 23/02/2013 at 00:31

Centro perfetto: “se il personaggio non funziona è una badilata nelle gonadi del lettore”.
Ecco, fino ad ora ho letto una manciata di scrittori in grado di reggere il peso della prima persona, tutti gli altri badilavano… chi più, chi meno, chi con una mira micidiale. Dovrebbe esistere una tradizione non scritta per cui l’uso della prima persona è vincolato dall’emissione di un apposito brevetto.

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Tale's Teller 23/02/2013 at 00:28

La trappola della prima persona è il suo essere delicatissima. Basta un niente e si passa dall’avvicinamento tra lettore e personaggio ad un lettore che si guarda intorno con perplessità senza riuscire a capire cosa cavolo stia succedendo.
Questo perché i processi mentali di ognuno sono diversi e la stessa frase che per lo scrittore ha un significato lampante, per il lettore può sembrare un insieme di parole casuali. La terza persona, nel suo costringere ad una visuale più oggettiva, smorza molto il problema, la prima persona è fatta di immagini dirette e, se qualche cosa stride, diventa un trip di acidi.

In più di un’occasione mi sono dovuto fermare a rileggere ed in alcuni casi, dopo aver riletto, mi sono limitato a passare oltre come se la frase non esistesse perché non riuscivo a trovarle un senso nell’insieme.
Analogamente ho perso il filo della narrazione e sono rimasto nell’incertezza di cosa sia realmente accaduto al protagonista.

Mi rendo conto che una storia come questa sarebbe stata difficile da rendere in terza persona, ma trovo che nell’insieme l’esperimento della prima persona non sia riuscito. Sarà forse il mio essere refrattario al consumo emozionale, ma le sensazioni che mi sono rimaste addosso nella lettura sono state il fastidio per la frammentarietà ed il disappunto per la necessità di fermarmi a rileggere.
Nonostante la voce narrante fosse così vicina agli eventi non mi sono sentito coinvolto e questo ha collaborato a farmi incagliare ancor di più nella forma alienandomi del tutto dalla sostanza che arrivava a singhiozzo.

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Paolo Clarà 23/02/2013 at 16:38

Devo ammettere che ho scelto la prima senza pensarci su molto. Diciamo che mi è venuta spontanea. Uso spesso la prima oppure la finta terza, mentre trovo la terza persona con narratore onnisciente un po’ demodè e di solito la scarto a priori. In questo caso forse avrebbe reso meglio una terza onnisciente, quindi con il punto di vista del protagonista ma in terza persona. Ma come ha scritto anche Chiara, avrei veramente faticato a inserire la scena finale in cui ho cambiato prospettiva senza rendere questa scena troppo fredda.

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Paolo Clarà 23/02/2013 at 16:41

Sorry, nel commento qui sotto ho scritto che sarebbe stato meglio usare una terza onnisciente, ma volevo scrivere finta terza (aiuto adesso borghi mi depila! scherzo 😉 )

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Tale's Teller 23/02/2013 at 16:46

Era chiaro quel che intendevi ^_*

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steve 23/02/2013 at 00:07

Dec basta con sti piani TEMPORALI, non vorrei tornare di nuovo sui bagni in piscina ad aprile con il diluvio, comunque nonostante tu abbia la mia stima e simpatia preferirei andare alle Maldive con un’avvenente e formosa dolce donzella

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Chiara Beretta Mazzotta 23/02/2013 at 00:08

Mi piace, intendo l’idea delle Maldive. Io leggo e soffro, poi dichiaro il podio e scappo alle Maldive (da sola!).

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Paolo Clarà 23/02/2013 at 16:19

Tornando sul tuo commento “metereologico”, non è poi così una cosa da sottovalutare il riferimento a una data del passato. Stesso discorso vale per l’età dei personaggi. Devo dire che cerco sempre di essere molto preciso quando faccio questo genere di riferimenti e i due errori (la data della festa all’aperto a Varese e l’età del protagonista), con le attente obiezioni che hanno ricevuto, dimostrano che basta poco per mettere in discussione il valore di una storia cadendo sulle banalità. Quindi: 1) tenere sempre un appunto sull’anagrafica dei personaggi (vale anche per le parentele e le amicizie); 2) verificare sempre tramite l’utilissimo internet i riferimenti TEMPORALI (badabam! squadatanf! 😉 ). Personalmente mi sono un po’ “perso via” con i campionati di calcio di quell’epoca e ne ho cambiati parecchi per cercare di farci stare dentro il riferimento a Bologna-Roma con l’incidente a Lionello Manfredonia citato all’inizio e il campionato breve del 1990 a cui sono seguiti i mondiali (iniziati a giugno) e che quindi doveva essere in dirittura d’arrivo già ad aprile. Però in questi cambiamenti mi è sfuggito il refuso dei 38 anni che invece in una prima stesura erano corretti perché l’incidente in piscina lo avevo datato giugno 87. Ah, un’altra cosa sull’età: è interessante notare come un fatto molto “pop” come la previsione dei maya sulla fine del mondo abbia condizionato il lettore. Io non ho scritto da nessuna parte che il cap.2 era ambientato nel 2013 (da cui l’errore dei 38 anni). Ho scritto che era prevista una nuova fine del mondo, che giustamente il lettore ha associato al 2013, ma che non è detto che lo fosse veramente 🙂 Idem con patate la città di Varese: esiste una Varese anche in Uruguay dove ad aprile il clima è mite 😉 Tutto ciò non per giustificarmi, anzi! Sono state proprio due disattenzioni. Ma queste disattenzioni sono opinabili e anche sistemabili con un editing, quello che non sarebbe sistemabile è il contenuto di fondo di una storia. Grazie a tutti!

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steve 23/02/2013 at 23:11

Ahhahha grande, ma mi sa che peggiori la situazione con Varese in Uraguay, sento lo stridulo dei vetri e la tua arrampicata quasi fossi Ricucci dei tempi d’oro, sarebbe forse ancora peggio perche’ sorgerebbe la domanda spontanea ma che cazzo ci fanno tutti sti Vip Italiani in Uruguay e soprattutto come ci e’ arrivata la dedra fiammante nuova di immatricolazione fino a li, no no dai non voglio entrarci di nuovo, solleverei piu’ obiezzioni di un bagno fuori stagione

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Paolo Clarà 24/02/2013 at 13:59

Ah ah, hai ragione! Però sulla Lancia Dedra ci sono stato attento: nel 90 era praticamente appena uscita; 1.6 i.e. 8 valvole, 88 cavalli velocità massima 180 all’ora. Smilza ce l’aveva ed era invidiatissimo, lui sì che faceva bella figura, mica come gli altri ancora a bordo della Thema, mangiavano la polvere, poveretti 🙂

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steve 23/02/2013 at 00:13

tu sei la padrona di casa, non puoi prendere e scappare, a meno che di cognome tu non faccia Schettino, devi restare qui e prenderti la tua dose di insulti…come tutti noi

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Chiara Beretta Mazzotta 23/02/2013 at 00:17

“Mi inchino” agli insulti. Purché creativi.
Col cavolo che ve la cavate con un aggettivo qualunque! 😉

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steve 23/02/2013 at 23:14

ops obiezioni

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steve 23/02/2013 at 00:28

ho riletto solo ora i miei post, chiedo umilmente perdono col capo cosparso di cenere per i troppi errori di ortografia, che in un sito come questo mi rendo conto che e’ piu’ o meno l’equivalente di una bestemmia davanti all’altare, scusate davvero e’ che scrivendo al buio pigio i tasti a caso

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Chiara Beretta Mazzotta 23/02/2013 at 00:32

Ti sposerei ma mi sa che una poveretta lo ha già fatto!
Ahahahahahahhahaha…..

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Bolivar J. Alexander 23/02/2013 at 05:56

Ora che avete spento il fuoco, mi faccio due passi sulla cenere ancora calda… 😉
Devo dirmi deluso anch’io di non esserci sul podio, dato che mi ero convinto di aver scritto qualcosa di non proprio illeggibile. La mia coscienza, però, probabilmente è più obiettiva di me, dato che mi sono sentito chiamato in causa quando, nel commento sul blog di Steve hai detto ” Non ho ricevuto, ahimè, nessun capolavoro (anzi). ” e mi sono accorto che quel “anzi” mi ha fatto male. Che sciocchezza, vero? Questo è in ordine temporale il primo concorso a cui partecipo, e il secondo di cui conosco il risultato. Finora non avevo ben chiaro cosa avevo imparato partecipandovi, ma forse ora si: che quando si scrive si rischia di mettere più ego che disciplina nell’inchiostro. E le parole che scrivi con questo inchiostro vengono male, poche storie.
Nonostante la personale delusione, devo ammettere che i tre racconti mi sono piaciuti: magari sono incompetente io, ma in un periodo come questo in cui da mesi non leggo (io che non leggo meno di 15 libri l’anno) trovare qualcosa nella scrittura amatoriale è stato una piccola luce di incoraggiamento a ricominciare a leggere.

E chissà, magari anche a scrivere meglio.

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Paolo Clarà 23/02/2013 at 16:28

Penso che la delusione per non essere stati selezionati sia del tutto normale. A me capita ogni volta che non ricevo buone notizie dopo aver partecipato a un concorso. Per noi che teniamo molto alla scrittura, almeno il segnale di essere piaciuti a qualcuno è fondamentale, fa autostima e dà stimolo a proseguire. Stesso discorso però vale anche per le critiche, perché se piacciamo a tutti ovviamente sono falsi positivi. Grazie, Bolivar!

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steve 23/02/2013 at 10:45

Bolivar, probabilmente ti confondi con Mario, io non ho un blog pertanto nessuno puo’ scriverci commenti

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Bolivar J. Alexander 24/02/2013 at 04:57

Ops…sorry!

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Catherine 23/02/2013 at 16:37

Caro Borghi (ma anche Steve), sono ottimista e anche sinceramente certa che in un altro mondo potevamo incontrarci e discutere appassionatamente di letteratura. Limito tuttavia la risposta. Quella h sembra ossessionarti. Non migliorerà la tua situazione venire a sapere che segue pure Elisabeth, con la h finale. Può darsi tu sia tra i pochi ad aver scelto il proprio nome, e ne sono felice per te. I miei lo hanno fatto per me a ragion veduta.
P.S. Risultare simpatica è sempre stata l’ultima delle mie preoccupazioni.

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Mario C. Borghi 23/02/2013 at 16:43

Poco cara Catherine, l’unica cosa sensata che tu potresti fare in questo di mondo e precisare meglio le tue squallide affermazioni nei miei confronti (sempre che ricordi di averle scritte). Per il resto, non mi interessa discutere di letteratura con te, in nessun mo(n)do.

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steve 23/02/2013 at 23:21

« Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa. »

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Mario C. Borghi 23/02/2013 at 16:44

* è.

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Alahambra 24/02/2013 at 20:55

Ho atteso con molta impazienza i risultati di questo concorso. Purtroppo l’aspettativa si è risolta in una cocente delusione nel momento in cui è stato svelato il podio, e non per una mia mancata premiazione, non avendo partecipato, ma per le scelte che sono state operate.
Mi sono presa del tempo per rifletterci sopra, cercando di comprendere sia i criteri di giudizio, sia gli entusiatici commenti che sono stati lasciati ad alcuni di essi. Ammetto di non aver compreso nè questi nè quelli.
Per mia natura trovo insoddisfacente un semplice “non mi piace” e mi permetto quindi una piccola nota per ciascuno dei tre classificati per cercare di spiegare quelli che sono i miei dubbi a riguardo. Mi perdoneranno gli autori, spero, se non tenterò in alcun modo un politicamente corretto che mi sembra, in questo caso, poco significativo. Non è nè vuole essere in alcun modo una critica personale ad alcuno di loro (anzi, nel caso specifico di Giuseppe Floris seguivo il suo blog ai tempi di Splinder e l’ho sempre trovato una persona di una squisita gentilezza).
Terzo classificato: trama inesistente, in un italiano scorretto e lacunoso, in cui la grammatica ha lasciato il posto a qualcosa di non meglio definito e le parole sembrano messe a caso. Sono giunta a chiedermi, per alcune di esse, se l’autore ne conosca il significato. Mi pare di aver capito che vorrebbe lasciare un’impronta emotiva di un luogo, ma quello che secondo me ottiene è di essere inconcludente e, nella migliore delle ipotesi, noioso. Se dovessi farne una descrizione a qualcuno, direi che è un brutto guscio con il vuoto dentro.
Secondo classificato: in un italiano scorrevole, generalmente piacevole, mi sembra tuttavia scritto da una mano che cerca un approccio troppo intellettuale (ma dovrei dire forse cerebrale) per il tema che tratta. Questa dissonanza tra le due rende il tutto asettico e mi fa venire il dubbio che si sia voluto affrontare un argomento spinoso cercando però nel contempo di rimanere il più neutri e distaccati possibili. Pochi ci possono riuscire senza perdere in credibilità.
Primo classificato: ad un primo tentativo mi sono fermata dopo i primi capoversi, così è stato al secondo e mi ci è voluta una buona dose di volontà per arrivare in fondo. Se si possono perdonare senza troppe difficoltà gli errori climatici e d’età che già altri hanno evidenziato, lo stesso non si può dire i nomi modificati dei cosiddetti VIP, che costituiscono una scelta quanto meno dozzinale e stantia, un già visto che si ripropone nel finale che, onestamente, mi aspettavo già dalle prime battute. E ancora, tutto questo sarebbe superabile se non fosse per le frasi incompiute, per le virgole che sembrano messe a casaccio, per l’italiano quanto meno approssimativo, per lo stile da “scrivo come parlo” in cui il tutto è redatto. Se me lo chiedessero, sconsiglierei con fermezza la lettura di questo racconto.

So che i tre brani non sono passati per le mani di un editor, ma si trattava di un concorso per racconti, non per bozze, e quindi avrebbero dovuto avere, quanto meno, una forma dignitosa.
In due su tre di questi, al di là del gusto personale in alcune scelte di stili e contenuti, evidenzio una mancanza di fondo che ai miei occhi appare inaccettabile: grammatica e sintassi non possono venir meno, devono essere requisito indispensabile per arrivare ad una premiazione, al di là di un editing che, di certo, li potrà comunque migliorare.

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Elena Cattaneo 25/02/2013 at 10:16

Gentile Alahambra, accolgo i tuoi dubbi e provo a rispondere.

Da un lato, come lettrice, amo le scritture, diciamo così, “distaccate”. E se avessi a disposizione un desiderio davanti alla lampada da strofinare, sarebbe quello di imparare tutto il possibile da: Pontiggia (soprattutto quello di Il giocatore invisibile), Coetzee, Amy Hempel, il Durrenmatt di La promessa, il primo DeSilva (Voglio guardare e La donna di scorta), A.M. Homes e la lista va avanti, naturalmente.
Ti ho citato grandissimi autori in cui ho ritrovato una meravigliosa capacità di distacco fra scrittura e “fatti raccontati”.
Questo per dire che capisco il problema della credibilità.
Io volevo scrivere la storia che ho scritto (non trattare un tema), scrivendola mi sono trovata a mio agio a lavorare sul controllo, e a fare un passo indietro. Pur sapendo di camminare su un crinale. Sapendo anche che facevo un tentativo.

E’ successo anche qualcos’altro. Sempre scrivendo, mi sono accorta che 18000 battute non mi bastavano e che non sapevo abbastanza della storia da poterla condensare in quello spazio. Perciò, ci sono passaggi spiegati e non mostrati; ci sono appunti e non scene. Forse tutto ciò contribuisce all’impressione di asetticità che hai avuto.

Concludo, raccontandoti questa cosa. Un paio di settimane fa, davanti a una birra con delle amiche, dicevo loro: “Non capisco perché tutti osannino De Silva dopo Non avevo capito niente; per me il primo De Silva è il mogliore”.
Le mie amiche, quasi all’unisono: “Ah, sì, e qual è?”.
Io: “Beh, per esempio ha scritto La donna di scorta, bellissimo”.
Loro, sempre quasi all’unisono: “Che palle quel romanzo, ho fatto fatica a finirlo!”.
Sono tornata alla mia birra… però continuo a pernarci!

A presto,
Elena

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Elena Cattaneo 25/02/2013 at 10:18

*migliore
*pensarci
(copio Mario!)

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Tale's Teller 25/02/2013 at 11:04

Personalmente non ho percepito il distacco narrativo come una cosa sgradevole, anzi, trovo che in un racconto che va ad infilarsi in una situazione di emotività così poco equilibrata, il fare un passo indietro sia necessario per poter avere una visuale chiara di cosa stia succedendo.

Un po’ come la differenza tra una telecamera sull’uomo ed una all’esterno. La visuale dal casco del pilota sarà anche dinamica e darà la sensazione della velocità, ma alla fine non ci capisco un cavolo. Nel racconto la dinamicità è emotiva, non fisica, ma credo possa valere lo stesso principio… avvicinandosi troppo ci sarebbe stato il rischio di trovarsi davanti a descrizioni troppo aperte all’interpretazione e quindi poco chiare.

Tutto sommato penso sia stata una scelta azzeccata. Dei tre è l’unico ad aver fatto un passo indietro – l’unico a non essere caduto nella trappola della prima persona -ed è anche l’unico che sia di chiara comprensione e di lettura scorrevole. E’ probabile che qui o lì si potesse cambiare qualche cosa per renderlo un po’ più coinvolgente e magari evitare la sensazione di asettico (che io devo dire di non aver percepito) ma credo che un lavoro di lima e cesello sia possibile sulla quasi totalità dei testi.

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Antonella 25/02/2013 at 11:09

Declesc, posso capire che tu sia un po’ risentito nei confronti di Mario, ma perché rispondi con quei toni inutili ad Alahambra? Vedi che sei tu quello che non riesce a reggere un discorso che non ti osanni?

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Alahambra 25/02/2013 at 11:29

Innanzi tutto ti ringrazio per la risposta, precisa e sollecita.
Comprendo il tuo punto di vista sull’argomento, il che mi fornisce nuovi elementi di riflessione, che faccio miei con piacere. Magari una volta che ci avrò rimuginato sopra a sufficienza potrebbe esser proficuo riparlarne con te, se ne avrai la voglia ed il tempo.
Grazie ancora.

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Elena Cattaneo 25/02/2013 at 12:43

Certo, Alahambra, parliamone quando vuoi! (io però mi chiamo Elena, non Antonella 🙂 )

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Alahambra 25/02/2013 at 13:11

Chiedo scusa! Rileggendo mi accorgo dell’errore.
Che ci vuoi fare, l’età avanza 🙂

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steve 25/02/2013 at 16:03

Ala ala, tu hai fatto forse un’analisi perfetta da un punto di visto di logica, grammatica, metrica, equazioni, formule algebriche e quant’altro possa influire sulla venuta o meno del racconto, io ti parlo da profano, in nessun modo letterato e tantomeno esperto, un comune mortale, uno insomma che scrive peggio di come parla. Credimi, di quello che hai scritto qui sopra ho capito si e no il 20% e anche con il massimo sforzo arriverei al 35%, ora pero’ vorrei fare una mia considerazione, correggimi se sbaglio, per millenni la scrittura e’ stata un qualcosa per pochi, vuoi l’analfabetismo e le condizioni economiche precarie; ora penso che i giovani soprattutto negli ultimi anni si stiano un po’ riavvicinando ai libri, pero’ reputo anche che piu’ essi siano complessi, piu’ portino ad una cattiva comprensione e di conseguenza ad un allontanamento, cosi’ come successo in mille altri campi, la politica ne e’ un esempio lampante. Come ho gia ‘avuto modo di spiegare secondo me il vero vincitore e’ il racconto giunto terzo, quello che tu giudichi grammaticalmente scorretto, anche io concordo che non ci sia una vera storia, anzi non c’e’ proprio, pero’ usa un linguaggio semplice e comprensibile,rivolto un po’ a tutti: colti, letterati, meno letterati, borghesi, mezzadri. Io quel racconto lo interpreto come un dipinto su tela, una sorta di fotografia stampata di un paesaggio, tu puoi non vederci nulla, io posso vederci un mondo fantastico che mai avro’ l’opportunita’ di vedere in vita mia, cara amica e’ soggettivo. Tu mi sembri un po’ il Cracco di Bookblister, se una pietanza non e’ preparata secondo i dettami di chi non so poi, vuol dire che fa schifo, ti posso assicurare che mia nonna se avesse partecipato a quel programma arrivava ultima ma aveva tre ristoranti sempre pieni dove la gente si leccava i baffi, purtroppo non siamo tutti acculturati e molte volte le cose semplici anche se parzialmente incorrette (non scorrette) non sono le migliori

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steve 25/02/2013 at 16:08

* c’e un non di trooppooo, sono le migliori

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Tale's Teller 25/02/2013 at 20:14

Un piccolo appunto.

Se la struttura della lingua e la grammatica diventano un “orpello inutile che rende il testo di difficile comprensione” non siamo meno analfabeti di prima, anzi.
La differenza è che prima l’analfabetismo era un difetto che si poteva cercare di superare, oggi è un macigno che porta a fondo anche chi preferisce non correre il rischio di arrivare a comunicare solo utilizzando sigle da cellulare ed o puffando puffose parole.

Da un bambino dell’asilo mi aspetto che riconosce le lettere dell’alfabeto.
Da un bambini delle elementari che conosca la grafia ed il significato delle parole comuni.
Da un ragazzo delle medie che sia in grado di costruire frasi di senso compiuto con un dignitoso livello di correttezza.
Da un giovane che abbia concluso la sQuola dell’obbligo mi aspetto che sia in grado di mettere per iscritto dei pensieri.

Se questo non avviene non sono io a dover semplificare il mio metodo di comunicazione, è lui ad essere ignorante. E se per andargli incontro ci si abitua ad abbassare il livello della comunicazione è un continuo tuffo verso il baratro dell’ignoranza.

Io faccio parecchi errori (soprattutto con accenti ed apostrofi) ma quando scopro di averne fatto uno mi vergogno e cerco di correggerlo, non mi barrico dietro all’arroganza di un “ma sì, che vuoi che sia… è solo un apostrofo”.
Ci ho messo un anno ad imparare che il “sì” va con l’accento… bene, una cosa in più che faccio giusta ed un piccolo miglioramento.
Me ne sbatto, addito chi me lo fa notare come un pignolo rompiballe… il prossimo passo è scrivere kè e xkè invece di che e perché… tanto suonano uguale, non vorrai mica fare il pignolo sul modo in cui le scrivo, vero?

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declesc 25/02/2013 at 08:36

Mi spiace per la tua cocente delusione. La prossima volta compra uno Zanichelli: ti darà sicuramente più soddisfazione dei nostri tre noiosissimi racconti. Buona lettura!

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Mario C. Borghi 25/02/2013 at 08:41

declesc scrive:
22 febbraio 2013 alle 22:26

Peró ragazzi, Chiara ha ragione. Sarebbe bello imbastire una discussione legata al testo o ancora meglio alla scrittura in generale che non continuare a beccarsi. Per cosa, poi? Per un racconto scritto da me?? Dai su (senza accento).
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Evviva la coerenza di Declesc!

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declesc 25/02/2013 at 08:53

Mario, di cosa dovremmo parlare? Dopo il tuo primo commento tecnico, non hai fatto altro che dare risposte astiose. Invece non hai mai contribuito ai post in cui si discuteva di tecnica, di prima o terza persona, di focale, di scelte narrative, anche in maniera ironica. Con il tuo modo di rispondere sei riuscito a far perdere la pazienza anche a Chiara, e credo che ce ne voglia. Ad Alahambra cosa dovevo rispondere secondo te? Che ha analizzato bene il testo? Ma se non ha nemmeno capito che in alcune parti la punteggiatura è carente apposta, perchè guarda caso si tratta di un flusso di coscienza (leggi parti in corsivo). Va bè, ma qui si entra in dettagli di cui tu saprai già tutto ed è inutile che provi a dire la mia. Buona settimana dunque. E se esci a far la spesa, magari compra del bicarbonato. Sai, fa bene alla digestione.

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Mario C. Borghi 25/02/2013 at 09:02

Il buttarla sull’aspetto “invidia” è la tecnica più vecchia del mondo, quasi quanto quella di storpiare i nomi del VIP. Il non avere la più pallida idea di cosa sia un patto narrativo è oramai una cosa triste ma purtroppo diffusa, tipica di chi si scrive addosso.
Però hai vinto e ne sono sinceramente contento, vedrai che continuando così raggiungerai un successone.

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Antonella 25/02/2013 at 11:11

Declesc, posso capire che tu sia un po’ risentito nei confronti di Mario, ma perché rispondi con quei toni inutili ad Alahambra? Vedi che sei tu quello che non riesce a reggere un discorso che non ti osanni?

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declesc 25/02/2013 at 11:28

Ma no, Antonella. Non sono risentito con nessuno e ho cercato di buttarla sull’ironico già dai commenti precedenti, ma pazienza. Ricordiamoci che stiamo discutendo di tre racconti scritti da principianti, non da tre Carver. Invece il tono che ha preso la discussione è diventato quello di una noiosissima supercritica criticona, degna dei peggiori giornalisti musoni. Perchè ho scritto quella frase sarcastica nei confronti di Antonella? Bè, Antonella ha preso diciamo così la mannaia e ha fatto a pezzi i tre racconti neanche fosse un personaggio inventato da Mario Bava. Nessuno pretende le lodi, figuriamoci, ma stroncare tutto e tutti è fastidioso, soprattutto se si scrivono cose inesatte perché la punteggiatura a cui faceva riferimento riguarda parti specifiche del racconto, qualcosa di voluto ecco. Solo questo, nessun risentimento. Non so se mi sono spiegato, sono un po’ di corsa, ciao.

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alahambra1 25/02/2013 at 11:37

Francamente, e con tutto il rispetto possibile, buona parte della polemica nasce dal fatto che a crtiche puntuali si è risposto con un generico “se non ti piace pazienza, ad altri sì”, senza sforzarsi minimamente (tranne nel caso di Antonella) di contrapporre delle argomentazioni valide.
Se qualcuno si prende la briga di leggere un testo, di ragionarci sopra e cerca di spiegare il proprio punto di vista in merito, mi sembra che sia la più basilare buona educazione rispondere con altrettanto impegno.
Ora, non è mio interesse proseguire in una discussione che, da tale, sconfinerebbe in attacchi frontali e personali, che trovo non solo sterili, ma maleducati e privi di fondamento.
Tuttavia, non posso fare a meno di esprimere disappunto per non essere riuscita, evidentemente, a spiegarmi con sufficiente chiarezza da farmi capire da te riguardo alle obiezioni che ho mosso al tuo testo.
Confido che in un secondo momento, a tuo comodo, si possa avere un confronto sereno e produttivo a riguardo.

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declesc 25/02/2013 at 11:44

Ciao, scusami per la risposta precedente… l’ho scritta in modo precipitoso. Mi fa molto piacere, anzi, rispondere alle obiezioni e, con calma, ti rispondo stasera, ché ora sono al lavoro 😉

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steve 28/02/2013 at 17:14

Tales in risposta alla tua precisazione, e’ vero che l’italiano e’ italiano e la grammatica pure, pero’ non mi fermerei solo ed esclusivamente a quella, se un racconto e’ bello, avvincente, con un ottima trama, non puoi distruggerlo perche’ non e’ perfetto da un punto di vista grammaticale, molte volte puoi dire lo stesso concetto grammaticalmente corretto anche con parole piu’ semplici, non e’ che perche’ tu usi termini terminosi che ti creano il racconto piu’ roboante e colto, un testo oltre che bello reputo che debba essere di facile comprensione e che si rivolga a tutti letterati e non, in Italia come ben saprai abbiamo oltre 20 milioni su circa 60 ml.oni tra anziani e bambini, equivale ad un terzo della popolazione, perche’ li vuoi sistematicamente tagliare fuori perche’ devi scrivere “figo”? Ti faccio un esempio, se scrivo: “il cascherino si adopero’ per una pronta riuscita di una sublime schiacciata” puoi interpretarla come meglio credi, tu la capisci, io cosi’ cosi’, un poco acculturato pensa tra se’ e se’ che sara’ mai sto cascherino, mha forse un Casanova e la schiacciata? bho sara’ un latin lover alla prese con una donna, invece piu’ semplicemente se dicessi che “il garzone fece una buona focaccia” e’ semplice, di facile intuizione e grammaticalmente (penso) corretta, io rimprovero’ solo questo nient’altro, la mia domanda e’ proprio questa e’ cosi’ difficile scrivere un bel racconto, usando un italiano corretto e che sia comprensibile a tutti?

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Tale's Teller 01/03/2013 at 20:59

Una cosa è scegliere un lessico più semplice per facilitare la leggibilità, un’altra mettere parole a caso, sbagliare la punteggiatura e scrivere frasi che non sembrano essere cadute lì per caso, senza un legame né con la precedente né con la successiva.
Io non pretendo un lessico tecnico, anzi, lo trovo fuori luogo se non in un testo tecnico, ma non trovo nemmeno plausibile che si debba sempre tirare tutto all’osso.
Senza contare che quando incontro una parola nuova ho l’occasione di imparare una parola in più e se mi succede una volta in un intero testo non è certo la fine del mondo, una volta finita la lettura, andare a cercarla.

Andando oltre questa parte che riguarda la questione oggettiva della scelta lessicale e della costruzione grammaticale, per quel che riguarda il lato oggettivo, posso perdonare delle inesattezze e dei PICCOLI errori in un bel testo… ma io non ho trovato bei testi. Li ho trovati noiosi, dozzinali e/o intrisi di un distillato di frasetta buonista da bacio perugina. [Da escludersi il secondo, quello mi è piaciuto]

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Antonella 05/03/2013 at 16:03

Io ammiro sinceramente il coraggio di chi ha prima scritto e poi inviato i racconti classificati primo e terzo. Il coraggio premia sempre. Tutto il resto non conta, neppure il mio parere, piacciono alla editor? Sì? Bene! A me, personalmente, irritano perché sono un piccolo schiaffo a chi cerca di scrivere decentemente, però tante felicitazioni 🙂

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steve 07/03/2013 at 14:15

Antonella, Antonella, gli schiaffi, forse, ogni tanto aiutano, specie se sono piccoli e dati a fin di bene, impara a prenderli mi vien da dire, il giudizio della editor e’ insidacabile, e forse detto tra noi ha anche un po’ piu’ di competenza, quantomeno del sottoscritto, di noi, pertanto… W LA EDITOR!!!!!

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Chiara Beretta Mazzotta 07/03/2013 at 17:09

La lettrice, solo la lettrice. La editor non lavora su BookBlister 😉 Su BookBlister la editor si rilassa e fa solo la lettrice.
E grazie al cielo posso sbagliare. Eccome!

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steve 07/03/2013 at 14:31

Avrei pero’ una richiesta per Chiara, c’e’ la possibilita’ di leggere i racconti che ti hanno inviato gli sconfitti? uno a settimana, per carita’ con l’autorizzazione degli autori,sarei curioso di leggere soprattutto quelli di chi si sono infervorati di piu’ o che giudica orrendi i premiati, cosi’ tanto per poter commentare anche i loro come si fa in un paese libero e democratico, forse troppa gente pensa di essere chissa’ chi e un po’ di critica dal blog potrebbe anche essere costruttiva, che ne dici?

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Chiara Beretta Mazzotta 07/03/2013 at 17:11

Steve, te ne prego, no!
Mi vien male, alla sola idea 😉
Nel prossimo Tramando, selezionerò i primi dieci e i lettori si scanneranno a suon di voti per individuare il vincitore e il resto del podio. Per quest’anno ne ho abbastanza!

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Tale's Teller 08/03/2013 at 21:45

Non posso parlare per gli altri, ma io i miei li ho pubblicati sul blog a concorso finito:
1: http://elelionerill.wordpress.com/2013/02/28/tramando-vacanze-destate/
2: http://elelionerill.wordpress.com/2013/02/25/tramando-giorni-di-pioggia/
3: http://elelionerill.wordpress.com/2013/02/21/tramando-la-locanda-dellimpiccato/
Se vuoi leggerli e/o commentarli sei il benvenuto ^_^

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Bolivar J. Alexander 13/03/2013 at 01:01

(Ho il sospetto che non sarebbe fattibile. Quanti racconti avrà ricevuto? Se anche ne pubblicasse uno ogni mezza giornata, arriverebbe l’estate e ci troverebbe tutti qui a discutere ancora! Da questo punto di vista credo che la scelta migliore sia quella di Tale’s Teller, che ha scelto di pubblicarli nel proprio blog. Cosa che peraltro ho fatto anch’io.)

http://blog.libero.it/TheNesT/11940629.html

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