Si incontrano ogni martedì. In un garage. All’inizio sono solo dei ragazzi e questo sembra un passatempo come un altro. Solo che loro continueranno a farlo per vent’anni. Anni passati a costruire mondi, creare regole e leggi che li governano. Mentre fuori la vita scorre e con il suo impeto cambia l’aspetto delle cose e delle persone.
“Ogni volta prima che il gioco cominciasse, riordinavi il tavolo e mettevi in mezzo la mappa, come a ricordare che il mondo era quello e aspettava di essere vissuto.”
Parliamo dei giochi di ruolo, per chi non crede di saperne alcunché forse basterà citare Dungeons & Dragons e si accenderà una lampadina. Parliamo di quel mondo popolato da “eroi dell’immaginario” capaci di creare “universi di grandi avventure”. Cioè persone sedute attorno a un tavolo che con l’aiuto di un Master si inventano una storia e la fanno vivere e crescere grazie a dadi e mappe.
“La stanza è sottoterra. Ha tre finestrelle, ma tutte hanno gli avvolgibili tirati. Solo l’ultima imposta, per via dello sfasamento di due liste, lascia entrare un ago chiaro, sufficiente a suggerire l’esistenza del mondo fori, ma niente di più.”
Non si parla di computer e di rete però, anche in questo caso, ci si può domandare se valga la dicotomia tra reale e virtuale. Se questi ragazzi siano fantomatici nerd della parola e del fantastico che si sottraggono al mondo (inadatti ad affrontarlo) o dei creativi capaci di comunicare con un altro linguaggio e abitare spazi invisibili ai più.
Di certo la creatività si declina come una potente forma di resistenza e il gioco di ruolo permette di creare una società fatta di pari: tutti coinvolti, tutti sullo stesso piano, tutti pronti a dare e ricevere.
Vanni Santoni procede la sua esplorazione di mondi trascurati (spesso derisi e persino stigmatizzati) – nel libro precedente si era infatti occupato dei rave e del movimento free tekno – e continua a sperimentare una commistione tra saggio e racconto. Una combinazione di informazioni e narrazione che in questa seconda prova pare aver raggiunto un bilanciamento perfetto.
Non perdete però tempo a decidere se questo sia un saggio o un reportage o un ibrido… è un romanzo ed è la prova che il genere è vivo, sano e in trasformazione e può regalarci nuove emozioni di lettura. Qualcosa che va oltre una trama e qualche conflitto adoperato con mestiere. Nuove riflessioni e punti di osservazione della realtà.
Un libro che parlerà non solo a chi non ha mai smesso di abitare la stanza profonda, ama le segrete e i suoi strumenti del mestiere ideali sarebbero gli incantesimi, ma soprattutto a chi – al contrario – ha sempre creduto che questi giocatori fossero dei loser.
L’autore non accompagna il lettore nella “stanza”, ce lo proietta grazie a quel “tu” narrante che gli permette, forse, di prendere le distanze dalla propria biografia di esperienze.
Il risultato è un senso di malinconia per chi, come la sottoscritta, non ha mai avuto la gioia di sperimentare la parola che crea il mondo, la mappa che circoscrive il possibile, l’area specifica delle vertigini.