Ho dieci anni, diciamo.
La casa è quella dei miei genitori, ma allora avrei detto casa mia. Fuori piove e non posso uscire per strada con i figli dei vicini. Mi resta uno scampolo di domenica.
Nella vetrinetta del salotto ci sono qualche bottiglia di amaro, un paio di foto e pochi libri mal assortiti, quasi tutti lì per caso.
In giorni così, quando non c’è altro da fare, sfoglio con avidità, quasi con devozione, Il Libro d’oro della Donna. Lo ha scritto un tale ingegner Carlo Fontana alla fine degli anni Cinquanta. È dedicato all’istruzione delle signore moderne. In teoria è un manuale di economia domestica, in pratica contiene le istruzioni per una vita perfetta: la galantina di pollo per il pranzo della domenica, come aprire correttamente una scala per spolverare il lampadario, la rotazione delle pulizie di casa giorno per giorno, come educare i figli, di cosa parlare a cena se ci sono ospiti.
Mi piace leggerlo a dieci anni perché capire come funziona qualcosa è un affare da adulti. E da uomini. Quando mio padre ha portato a casa il televisore nuovo è stato lui a studiare il foglietto che stava nella scatola. Spiegava a mia madre questo e quello, sacramentava sulla presa a terra. Ci pensava lui, sapeva lui come fare.
Anche se si rivolge alle donne, Il Libro d’oro è stato pensato da un uomo in un mondo in cui sono i maschi ad avere l’ultima parola sul funzionamento delle cose importanti.
Così studio il manuale di istruzioni per la vita perfetta e penso che quella dell’ingegner Fontana sia un’opera indispensabile.
Penso pure che se tutte le signore moderne la leggessero, il mondo sarebbe davvero moderno. Moderno credo significhi migliore. Moderno è come dire ok.
Ci sono tantissime cose da sapere per costruire un mondo moderno. Ma basta consultare il Libro d’Oro per non fare errori. Gli incidenti moderni capitano soltanto a chi non sa come aprire correttamente una scala. La maionese moderna impazzisce soltanto a chi non è moderno.
Nel Libro d’Oro ci sono anche le istruzioni per evitare piccole noie. Non esiste sporco impossibile: per ogni macchia moderna c’è il giusto solvente. Per ogni malattia moderna, il giusto regime alimentare: aprire ogni mattina le finestre per cambiare aria alle stanze; una ricca colazione poi è molto molto importante.
Il marito legge il giornale, la signora moderna è alle prese con il tostapane. Solo l’uno per cento delle famiglie americane ricorre all’ausilio di cameriere o governanti, e questo grazie ai nuovi elettrodomestici che ci fanno risparmiare tanto tempo. Presto sarà così anche da noi. Intanto basta attenersi ai consigli del Libro d’Oro e avere un saldo senso dell’ordine. Ogni cosa al suo posto, un posto per ogni cosa. Tutto andrà bene.
Ci sono foto bellissime che lo dimostrano inconfutabilmente.
Quella che preferisco ritrae il marito convalescente. È a letto; sul comodino ci sono una brocca di acqua fresca e un termometro. Ha un bel pigiama lucente di seta, le braccia distese lungo i fianchi, fuori dalle coperte ben rimboccate dalla signora moderna. Si capisce che il marito, un poco costipato, guarirà nel giro di un giorno e tornerà in quel mondo degli affari dove tutti gli riconoscono onestà e competenza. Basta seguire le istruzioni. Tutto andrà bene.
La generazione, Simone Lenzi, Dalai editore, p. 157 (15 euro)
14 comments
Sono ancora giovane per essere bannato e quindi tengo per me le parolacce, ma per commentare questa pagina ne servirebbero tante e odorose. Ma a te convince? è un tuo amico lo scrittore? Ma questo Simone Lenzi, ha idea di come parla, di cosa parla – se parla – una bambina di 10 anni? Ma se non lo sa, perché si cimenta? Nel sito del libro, che sono corso a vedere, lo si vede ritratto con un cane. Nessun cucciolo d’uomo nei paraggi. Questo potrebbe spiegare molte cose, ma non perché un libro che contiene questa pagina così “impossibile” sia stato edito.
Se hai un contatto, consiglia a Simone il tristissimo “La prima vera bugia” di Marina Mander” così si rende conto.
Concordo con Aldo. Una bambina di 10 anni che dice “incofutabilmente” o “un poco costipato” è davvero poco credibile. A parte che non so se la costruzione di un personaggio del genere sia funzionale per il resto della storia, voglio sperare che il resto assuma maggiore consistenza. Se, come faccio di solito in libreria, sfogliassi questo libro e ne leggessi la prima pagina, lo appoggerei di nuovo sullo scaffale con tanti saluti a Simone. Ancora una volta mi è oscuro il criterio di selezione che un editore adotta tra un libro ben scritto e uno che invece presenta qualche incosistenza fin dall’inizio. Comincio a sospettare che non esista, perchè se ci fosse non ci sarebbero in libreria nemmeno gli ultimi di Ammanniti, Carlotto, Veronesi, Veladiano, altri pluripremiati e forse nemmeno questo. E poi 15eur per 157 pagine sono proprio tanti. Per quello che ne so il prezzo di copertina è funzione del numero delle pagine. O anche questo non ha criterio?
Roberto, ma lo scopo del “gioco” qui è proprio questo. Si tratta di fare un salto in libreria a sfogliare le prime pagine standosene comodamente davanti al pc.
Un editore deve venderli i libri, perciò sceglie quelli in cui crede (e nel calderone ci stanno quelli che ritiene davvero validi e quelli che spera vendano). Ovvio che se sei un autore noto, forse ti puoi permettere qualche scivolone in più (rispetto a un esordiente che se la gioca in prima battuta) perché hai un pubblico di fedelissimi. Ma se non azzecchi due libri, sei finito.
Il prezzo di copertina è in funzione di diverse variabili tra cui, ovvio, la lunghezza, ma c’entra pure la carta usata, la copertina (rigida o no, con alette o no, con sovracoperta o no…)
Gli scrittori non hanno amici e io non ho amici scrittori, Aldo! 😉
Non ti piace, dài, poco male. Ci sono tanti libri meravigliosi e sono sicura che tu ne hai letti tanti.
Pero il narratore non è un bambino di dieci anni, ma un adulto che ricorda…
Alla prossima (magari andrà meglio!)
P.S. Chi ben comincia è uno spazio per fare quello che si fa in libreria, leggere le prime pagine e farsi un’idea di un libro. Non è una recensione né una dichiarazione d’amore.
A me pare che il protagonista semplicemente racconti quello che faceva e pensava a dieci anni, nella fattispecie quella certa domenica, con le parole che gli appartengono oggi.
Poi, ma potrei non essere tanto normale io, non leggo in questo brano nessun termine che a dieci anni fosse per me troppo astruso o complesso, che mai e poi mai avrei potuto usare: a volte basta ascoltare gli adulti, per usarlo a propria volta. Non lo trovo stonato.
E mi piace che sia ironico (ho l’idea che debba evolvere in tragedia, ma questo perché io adoro le situazioni che degenerano).
Beh, se a 10 anni ti esprimevi così… no, non eri molto normale 🙂 Eri davvero avanti. Io ho tre figli: 18, 15 e 14 anni. Fino a un paio d’anni fa, ricevevano un premio, dai 50 centesimi all’euro, quando infilavano in qualche frase una parola nuova che sconfinasse un po’ dal ristretto vocabolario che utilizzano a scuola o sui campi di basket. A volte la suggerivo io, ma per ottenere il premio, quella parola doveva tornare indietro dopo almeno una quindicina di giorni e in modo spontaneo. Se ne ne ricordassi una, la riporterei come esempio, ma adesso mi sfuggono.
In totale non credo di aver speso più di 6 o 7 euro nell’arco di qualche anno. Questo significa due cose: a) che sono tirchio. b) che i miei figli sono pigri e tristemente normali, loro, mentre la bambina di Simone Lenzi non lo è.
Vero, invece, che l’autore possa aver deciso di raccontare quello che sentiva allora con le parole che conosce oggi, che non cerchi, quindi, di imitare il linguaggio di una bambina. Ok, ma allora perché usa il presente? Per raccontare un fatto passato ci sono tempi verbali fatti apposta, che rendono perfettamente il risultato.
Consiglio davvero a tutti di leggere “La prima vera bugia”, dove l’autrice entra in un bambino e ragiona come lui, in modo, direi, convincente.
Chissà perché questi autori si immedesimano in bambini dell’altro sesso?
Eh, mannaggia. Mi sa di sì, anche se io non riesco a considerarmi avanti (sarò anche un po’ stronza, ma penso che siano gli altri ad essere indietro, e che quel che so io sia ben risibile).
E poi, ooops, a dir la verità ero convintissima che a raccontare fosse un maschietto.
Sarò anch’io una che si immedesima nell’altro sesso? 😉
In effetti, lo stesso brano più o meno interessante che sia nell’ottica di una bambina mi fa senso, è il prodromo di una vita noiosissima, mentre nell’ottica di un bambino deve preludere a qualcosa di curioso; penso.
E così il bimbo del ciuccio è sopravvissuto… bene! Ghgh 😉
Hai tre figli maschi, Aldo?
Scherzo! Ché se no arriva lo tsunami di parolacce…
Mi piace come “litigate” voi due.
Aspetto con ansia futuri sviluppi…
Grazie, Denise!
Il narratore, inconfutabilmente, non ha dieci anni 😉
E’ un inizio, un inizio che mi incuriosisce, che forse (c’è scritto troppo poco) promette bene, mi incuriosisce…
urca che dibattito! Ho comprato questo libro al salone di TO, dopo aver visto la presentazione. Simone è un ragazzotto, è del 68 molto simpatico, e ho deciso di acquistarlo, più che altro perchè parla di fecondazione assistita da un punto di vista maschile e l’argomento mi interessava molto. Lenzi è livornese come Virzì il regista che ha deciso di farne un film. Vorrei chiarire è un bambino maschietto, io non l’ho trovato un linguaggio troppo avanti, forse perchè a 10 anni io leggevo Olocausto e La fattoria degli animali, per cui sono avanti a me la tiro pure! O forse appoggio Denise: sono gli altri ad essere indietro. Credo che Chiara avrebbe dovuto scegliere anche un’altra pagina da affiancare perchè così in effetti si capisce poco. In definitiva posso dire che è un bel libro, ma non sono riuscita ad amarlo fino in fondo, è come se pattinasse sul bordo del laghetto ghiacciato, senza mai staccare la mano dalla staccionata, timoroso di affrontare con maggior coraggio un argomento importante. Saluti a tutti, è bello parlare di libri, sempre e comunque.
Grazie, Ilaria, per la tua recensione.
“Senza mai staccare la mano dalla staccionata” rende alla perfezione.
Alla prossima chiacchierata.
Uh, bene. Mi fa piacere leggere questo (fecondazione assistita dal punto di vista maschile, non immaginavo e mi interessa molto). Peccato se, come dici, non si sbilancia troppo.
Allora è un maschietto… congratulazioni! (Ehehm).
Come sempre, attingo da qui e salvo la pagina nella cartella dedicata alle letture future.
Io credo che il punto di vista venga chiarito fin dalla seconda frase: “La casa è quella dei miei genitori, ma allora avrei detto casa mia.”
Chi narra si riferisce al luogo come casa dei propri genitori e contemporaneamente sottolinea come, nel momento in cui gli eventi avevano luogo, l’avrebbe definita casa sua. Inoltre, dal continuo far riferimento al testo, mi sembra plausibile che anche la bambina possa utilizzare alcune definizione ricalcandole semplicemente da quello che ha letto. La foto può avere una didascalia che indica l’uomo come “costipato” e via discorrendo. Naturalissimo per un bambino di quell’età utilizzare i termini così come li trova scritti senza porsi nemmeno il dubbio di quale possa essere il loro significato letterale ma legandoli al contesto in cui vengono presentati.
Non è il mio genere di lettura, ma devo dire che ho trovato gradevole l’estratto.
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