Alle 20.30 in Casa Bellonci, si voterà la Cinquina (e spero che la diretta streaming non sia frizzante come quella dell’anno scorso, ché ho fatto il podcast per tre ospizi e hanno risolto i problemi di insonnia; se siete curiosi, cliccate qui).
Io, che son sempre in ritardo, devo ancora dire la mia su sei romanzi. Sarò breve, anzi precox.
È una sorta di fiaba Lisario o il piacere infinto delle donne (Mondadori) di Antonella Cilento, romanzo presentato da Nadia Fusini e Giuseppe Montesano. E dico “sorta” perché le fiabe sono potenti proprio per il loro saper essere verosimili nonostante la costruzione fantastica. E se un autore non sa architettare un mondo solido, anche la sua credibilità viene meno. Si creano crepe e da quelle si fanno largo il brusio e le rogne del mondo. Mi distraggo, insomma. E torno indietro a recuperare parole perse. Mentre lo faccio, ahimè, la magia è rotta. La storia ci racconta di Lisario, creatura silenziosa per colpa di un intervento alla gola. E se il silenzio la tiene in disparte, Lisario ha scoperto una astuzia per scollarsi dal mondo a comando. Una (finta) narcolessia che la protegge dagli urti e da matrimoni sgraditi. Lisario dorme come la bella addormentata ma stavolta non è un principe ad avere il compito di salvarla: tocca a un medico sui generis che troverà una particolare cura. E qui mi fermo per non svelare troppo. Eccellenti la ricostruzione della Napoli del Seicento e la caratterizzazione dei personaggi. Anche il tono dell’autrice, una sorta di bacchetta magica – per tornare alla fiaba – che sa cavar fuori ironia dalla farsa e dalla tragedia. Ma qualcosa con me non ha funzionato, elementi che ritengo inverosimili che mi hanno fatta inciampare.
E poi c’è il piccolo capolavoro. Bella mia (Elliot) di Donatella Di Pietrantonio, presentato da Antonio Debenedetti e Maria Ida Gaeta. Già Mia madre è un fiume mi aveva conquistata, quindi è stata una conferma. Il romanzo racconta delle cicatrici del terremoto dell’Aquila, quelle di chi ha dovuto affrontare la devastazione e la perdita. Marco, infatti, sotto le macerie ha lasciato molto più che una casa, ché il terremoto gli ha portato via una madre. Dopo un primo affido a un papà incapace di prendersi cura di lui, a Marco penserà la protagonista di questa storia, Caterina, sorella gemella della vittima. Lei, sua madre e il nipote sono costretti a trasferirsi nelle case provvisorie. Facciamo così i conti con una zia che avrebbe voluto essere madre e adesso a fare la madre è costretta. Non di un bimbo ma di un adolescente, perciò non solo non ha tempo per imparare ma ha per le mani materia cangiante, materia che ribolle. Osservare questi personaggi è un po’ come assistere all’allunaggio: è incerto, precario il loro reciproco scoprirsi, tre migranti che devono fare i conti con il presente e con tutto il peso degli affetti e del passato. Bella mia – che poi è L’Aquila – raccontando di distruzione e perdita, parla di speranza e voglia di ricostruire. E lo fa con cura emotiva, con una delicatezza struggente. E quando trovo libri così, mi emoziono.
La vita in tempo di pace (Ponte alle Grazie) di Francesco Pecoraro è stato presentato da Giuseppe Antonelli e Gabriele Pedullà. Mi è piaciuto subito il titolo: la narrativa si nutre di conflitti e voler raccontare la pace è una sfida impossibile. Sarebbe una sfida perché, ovvio, la pace è solo di facciata. La storia è una sorta di distopia a breve gittata, visto che siamo nel futuro prossimo, il 2015. Ivo Brandani è un ingegnere tutt’altro che soddisfatto. Ha sessantanove anni e lavora per una multinazionale che, altro che scheletro, nell’armadio conserva la barriera corallina del Mar Rosso. O meglio la fu barriera, visto che questa meraviglia della natura è stata distrutta dall’inquinamento e sta venendo sostituita da un clone sintetico. Il protagonista, il suo passato e quello del nostro Paese ci vengono svelati durante un viaggio di ritorno dal mar Rosso. Brandani è incontenibile, non lesina ricordi e non risparmia nessuno. La trama però è sfilacciata e lo stile ondivago.
Mentre leggevo la quarta del romanzo La terra del sacerdote (Neri Pozza) e la biografia di Paolo Piccirillo – presentato da Valeria Parrella e Romana Petri – ho pensato al povero autore ventiseienne costretto per i prossimi dieci o vent’anni a sentirsi dare del “giovane” e, a seguire, a sorbirsi battute sul suo cognome. Colta da pietà e umano ritegno non mi unirò alla schiera di umoristi da calendario. Piccirillo ci racconta una storia ambientata nella campagna molisana, in un podere ostile e ormai infecondo, dove vive un ex sacerdote, Agapito, anche lui a suo modo sterile perché incapace di comunicare, tanto è rinchiuso nel suo piccolo mondo (e nei suoi segreti). L’innesco della narrazione? L’arrivo di Flori, una straniera al soldo della camorra. Lei, ahimè, al contrario è fertile ed è stata usata come incubatrice di vite da vendere (intere o i loro organi) al migliore offerente. L’orrore non riguarda solo il presente, anche il sacerdote nasconde un passato indigesto. Nota di merito per il ritmo e la costruzione dell’intreccio, il saggio autore sa che annoiare il lettore è peccato mortale. Piccirillo è immacolato.
Il vincitore del Premio, stando ai brusii da corridoio, sarebbe Il desiderio di essere come tutti (Einaudi) di Francesco Piccolo, presentato da Paolo Sorrentino e Domenico Starnone. Un frammentato racconto/saggio/boh di formazione politichese che vorrebbe restituire il delicato passaggio di un giovane essere umano egoriferito a individuo sociale vero e proprio. Un bambino di nove anni alle prese, per la prima volta con il mondo là fuori; la sua crescita; la passione per Berlinguer; il tentativo di incastrare il proprio sé di comunista con una realtà imbibita di berlusconismo… per me non c’è storia, in senso concreto e figurato, e quella che si intravede è tanto già vista che pare un déjà vu inceppato.
Titolo maestoso che prelude alla complessità del testo: Storia umana e inumana (Bompiani) di Giorgio Pressburger, presentato da Gianfranco De Bosio e Sergio Givone. Vista la pluralità di racconti, soggetti, registri, linguaggi avrebbe potuto essere “storie”. L’autore costruisce un viaggio immaginario alla stregua di Dante nella Commedia: l’io narrante viene accompagnato da Simone Weil, scrittrice e filosofa, in un percorso che origina da Venezia ed è costellato di incontri con grandi personalità che, attraverso il proprio vissuto, ripropongono passaggi salienti della Storia. Autore che mette soggezione e che non rende la vita facile anche al lettore più dotto. Non è un romanzo, ma poco conta, allo scrittore interessa fare letteratura. Fra cent’anni solo i posteri avranno contezza del fatto che sia così oppure no.
Bene. E dopo questa faticaccia mi concedo pure una personale cinquina. Con tanto di ordine di gradimento.
- Bella mia (Elliot) di Donatella Di Pietrantonio
- Nella casa di vetro (Gaffi) di Giuseppe Munforte
- Ovunque, proteggici (Nottetempo) di Elisa Ruotolo
- Non dirmi che hai paura (Feltrinelli) di Giuseppe Catozzella
- La terra del sacerdote (Neri Pozza) di Paolo Piccirillo
Aggiornamento fotografico dell’ultima ora: ecco la cinquina.
Non credo ci sia altro da aggiungere.
2 comments
Complimentoni per esserti letta tutto in un fiato sti libri. Grazie per la cronaca, forse di una vittoria annunciata. L’articolo di ieri del sempre bravissimo Pippo Russo su Scurati mi ha talmente destabilizzata da indurmi ad abbandonare quel poco di fiducia che ancora avevo nei concorsi. In ogni caso prendo la tua classifica come vero suggerimento, al di là dello Strega, degli Stregoni e degli Sciamani. Un bacione
Qualcosa avevo già letto, grazie al cielo, e per amore di verità: Storia umana e inumana lo ho abbandonato. Mi scuso con l’autore ma così è.
Fiducia? Be’ come biasimarti, al secondo posto della cinquina c’è un libro colmo di copia incolla da un altro libro, l’autore è sempre (http://www.satisfiction.me/antonio-scurati-se-al-premio-strega-va-in-onda-lautoplagio/). E a quanto leggo Gian Paolo Serino è partito lancia in resta…
Comunque.
Ho letto un gran libro e diversi romanzi interessanti. La dozzina aveva delle sorprese e sono felice di averla affrontata. Ecco mi piacerebbe che vincessero anche i buoni libri, ogni tanto.
Bacio!
Comments are closed.