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Numeri e dati

Il prezzo del libro: dove finiscono i soldi?

Si dice che i libri costino troppo e spesso si crede, erroneamente, che l’editore incassi la gran parte del prezzo di copertina. Ma i conti sono ben diversi.

A scrivere libri, ve l’ho detto, non si diventa ricchi. E a pubblicarli? Del prezzo di copertina, insomma, quanto finisce nelle tasche dell’editore?

Prendiamo un testo che costa, per esempio, 15 euro. E paghiamo prima di tutto chi lo ha realizzato: l’autore. Di solito la percentuale a lui destinata è del 7% ma ci sono oscillazioni tra esordienti e big, e le percentuali variano anche in base al numero di copie vendute (si va a scaglioni per cui, per esempio, superate le 15/20mila copie le royalty salgono al 14%). Comunque, ai nostri 15 euro togliamo 1,5.

Adesso il libro deve arrivare in libreria e a potarcelo è il distributore. L’editore “vende” (se si tratta di un conto assoluto e non di conto vendita, quindi con diritto di resa) il testo a chi lo distribuisce con uno sconto che si aggira tra il 40 e il 60 per cento del prezzo di copertina. Diciamo che lo sconto è del 55 per cento: dei nostri 13,95 euro, tolti i 7,6, rimangono ben 6,35 euro.

Se vi sembrano pochi tenete presente che con questi soldi l’editore deve sostenere costi fissi – affitto locali, utenze, fiscalità, stipendi, collaborazioni, materiali di consumo, fiere – e spese variabili come la stampa del testo che dipende dalla tiratura. Ovviamente: più copie stampi, meno costa realizzarle ma le copie devi venderle! E poi c’è la promozione che può variare da poche centinaia di euro a cifre galattiche (basti pensare agli scrittori famosi che vengono dall’estero e fanno un tour di promozione e poi ci sono le pubblicità sulla carta stampata e in tv eccetera).

A questo proposito: il conto assoluto di cui parlavo prima (cioè le copie affidate al distributore sono vendute a tutti gli effetti) riguarda solo alcuni colossi editoriali o i testi che i distributori forniscono ai grossisti (come Fastbook). Di norma libraio e distributore possono rendere all’editore le copie invendute, cioè le prendono in conto vendita. Non sempre i resi sono dovuti a un testo che non incontra i gusti dei lettori. Alle volte il libraio utilizza i resi perché ha bisogno di liquidità per pagare le nuove uscite. E un mercato caratterizzato da una quantità abnorme di pubblicazioni (oltre 60mila i titoli pubblicati nell’ultimo anno) trasforma gli scaffali in un campo di battaglia in cui si consuma lo scontro tra titoli. Titoli che si vampirizzano l’uno con l’altro e hanno la vita di una falena.

La conseguenza? Un libro sopravvive poco, alle volte meno di un mese, e non ha quindi il tempo di farsi conoscere e vendere. A farne le spese sono gli editori che, molto difficilmente, riescono non solo a collocare i titoli stampati ma a ristamparne.

E tornando al nostro gruzzolo: tolte le spese, quanto credete sia rimasto nelle tasche della casa editrice? Da qui si evince che l’editore è un imprenditore coraggioso e per fare questo lavoro tocca essere molto molto capaci. Altro che passione, qui ci vuole mestiere (e pure talento)!

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45 comments

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LFK 27/05/2015 at 19:16

Da tempo sostengo che l’editore è prima di tutto un imprenditore. Poca poesia, per campare e fare cultura deve prima far quadrare i conti. Se i conti non tornano qualcosa della sua attività imprenditoriale non funziona. E se non funziona chiude. Quando un editore chiude, prima di tutto fallisce un’idea imprenditoriale, spero prima dell’imprenditore. Insomma, una casa editrice è un’impresa commerciale. Poi, solo in seconda battuta, è tutte quelle cose belle come “mercante di sogni”, “mecenate”, “guardiano della cultura” e beltà varie.
Quando chiude un editore si cercano le colpe dei lettori. Quando chiude il panettiere la colpa è del panettiere. Quando chiude l’osteria, è colpa dell’oste. Diamo pane al pane, vino al vino e libri ai libri. Concordo in pieno con questo articolo. Non mi ricordo se ne avevo già parlato, di sicuro ho detto qualcosa a proposito dell’editore che non è tuo amico (tuo dell’autore intendo).

PSFT: dove sta il bannerino per i cookies? Non l’ho visto e sono molto preoccupato per le terze parti che potrebbero infestare questo blog e contagiare il mio browser.

PS: “PSFT” sta per Post Scriptum Fuori Tema.

Grazie a tutti
Luca

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Chiara Beretta Mazzotta 27/05/2015 at 20:13

Parto dagli aspetti minacciosi: il bannerino?! Ma è un’ansia collettiva. Tanto sì, prima o poi mi adeguerò si sa 😉
E per il resto siamo d’accordo su tutta la linea. Chi apre una casa editrice deve avere altro che passione! Competenze. Tante competenze.

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LFK 27/05/2015 at 20:17

Sì, anche se questa attività è vista spesso come un qualcosa di “magico”, è pur sempre attività economica, che forse richiede competenze anche maggiori su più campi. E, diciamocelo, anche una buona dose di fortuna, maggiore che negli altri campi.

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Chiara Beretta Mazzotta 27/05/2015 at 20:20

Fortuna di sicuro. E pure tempismo. Mi viene in mente (è gratis) http://goo.gl/2OeeHL
Chi vende libri vende un prodotto che è desiderato da una nicchia, quindi ha difficoltà ben più grandi di altri. E i libri non sono un semplice prodotto. Bisogna essere bravi davvero!

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LFK 27/05/2015 at 20:54

Sì, capacità comunque superiori. Non stiamo vendendo caramelle, stiamo vendendo qualcosa di più complesso di un insieme di ingredienti oggettivi. Il libro è la somma di tante variabili purtroppo molto soggettive.

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Cristiano 28/05/2015 at 08:31

Ci sarebbe una cosa da aggiungere. Al contrario dei panettieri e dell’oste, l’editore ha un rischio imprenditoriale grossino.
Facciamo un esempio pratico: supponiamo che sono un medio editore, ho un bel titolo, straniero.

– Mi espongo con la banca. Mi servono soldi. Perché? Ecco sotto spiegato.

– Acquisisco i diritti, e pago in anticipo un po’ di mille mila euro di royalties.

– Faccio tradurre, e spendo vari mille mila euro di traduzioni.

– Correggo, edito, sistemo, se ho fortuna lo faccio internamente senza spendere soldi.

**(intanto sono passati almeno 4-5 mesi, da quando ho pagato i primi soldi)

– Ok, sono pronto, sento i distributori, mando in stampa, qualche migliaio di copie (anche meno magari, si sa mai). Altri vari mille mila euro. E mi ciuccia il 55-60%.

– Il libro si immette nel circuito. Se ho un buon distributore (il che presuppone che il punto prima si alzi come valore economico) riesco ad avere un bel po’ di vetrine. Assieme ad altri 200 o 300 titoli, pressoché nuovo.

A questo punto, anche se il libro è davvero bello, NON è detto che venda tanto per recuperare i costi e per (Dio sia lodato) guadagnarci.

Rintuzzo con qualche presentazione (senza autore perché farlo arrivare da Los Angeles mi costa un botto), qualche fiera, qualche evento ingegnoso, per vendere a prezzo pieno alneno 200-300 copie.

SE rimane qualcosa, ho avuto fortuna? genio? idea editoriale?

Ecco che forse, invece, come piccolo editore, ragiono diversamente da quello che ho raccontato. 😀

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sandraellery 28/05/2015 at 08:36

Giusto però oggi come oggi gli anticipi sono davvero rari.

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Cristiano 28/05/2015 at 08:38

Per gli italiani, sicuro, a meno di non essere un SemiDio. Parlo di stranieri infatti.

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 09:02

Gli anticipi sono bassi per tutti, ormai. Sono i big che sballano i conti.

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 09:01

Sì, sono rari per i piccoli. Ma un editore medio grande almeno mille euro le dà. E se sei uno scrittore gli anticipi si danno in base alle vendite del libro precedente. Diciamo che si oscilla tra i 2/3mila ai 6/8mila euro.
Ma se sei un big è un bagno di sangue per l’editore. Ecco perché a mio avviso i libri dei soliti noti non sono MAI un affare da noi. Costano tantissimo (stampa, promozione, anticipi) e non si rientra quasi mai.

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LFK 28/05/2015 at 08:39

Sì, infatti, confermi comunque che sempre di imprenditoria si parla. E purtroppo un libro non è un panino.

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 09:04

No, ma richiede le competenze di chi vende un panino e pure quelle di chi vende aria: cioè un contenuto. Un contenuto di cui la gente non ha bisogno. Un contenuto indesiderato. Il panino, ah, il panino è tutta un’altra faccenda! 😉

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LFK 28/05/2015 at 09:20

E magari sul panino ci si lucra anche di più. Anzi, e sono certo. 😀

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El cugino del parente assente che è un demente di secondo grado... 28/05/2015 at 11:58

mi piace

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 08:57

Certo, Cristiano, servono liquidi e serve tempo e serve intuito e serve fortuna. Il rischio imprenditoriale è alto ma, faccio un esempio: se costruisci case e le vendi devi avere capitali e ti esponi con le banche. Ci metti un tot anni per finire il lavoro, quindi parti con un mercato immobiliare che può essere del tutto cambiato quando finisci. Questo vuol dire che matematicamente – se arriva per esempio la crisi – non rientrerai delle spese e l’intera operazione sarà fallimentare. Tre/quattro anni di lavoro buttati.
Solo una precisazione poi: se stampi meno di mille copie il distributore ti fa le pernacchie, non conviene con lo stampatore e se per caso il libro va devi essere molto veloce a riprodurlo. Altrimenti sei fregato ché la gente lo cerca e il libro non c’è. Insomma per un medio grande le 1500 sono il minimo.
Comunque sì, è un lavoro tostissimo proprio per questo la faccenda della “passione” è una follia!

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Barbara 28/05/2015 at 09:13

Probabilmente di questa sequenza, il punto dolente è il marketing. Delle presentazioni ahimè non so che farmene (nemmeno i lettori sono facilmente spostabili dal lavoro per rincorrere gli incontri con l’autore), le fiere attirano lettori già navigati. Mentre se si vuole attirare pubblico, occorre rincorrere anche i non-lettori. E dato che sono tutti appiccicati a qualche social in rete, è lì che gli editori dovrebbero aumentare la loro presenza. Se poi la copertina che ho intravisto nel web, con una citazione che mi ha incuriosito, la trovo anche libreria, meglio.

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 09:31

Parole sante, Barbara! Si sa che le presentazioni non spostano le vendite (a meno che a scrivere sia Fedez o alto vip) e le fiere anche se le spostano costano un botto. Sì, credo proprio che la rete sia preziosa per provare a incuriosire i non-lettori ma ci sono uffici stampa che non sanno manco cosa sia Twitter. Figurati se sanno usarlo! Ecco su queste competenze c’è parecchio da lavorare.

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El cugino del parente assente che è un demente di secondo grado... 28/05/2015 at 11:53

Il bannerino?! :-O
Tu non sei Fuori Tema, tu sei Fuori di Testa! 😀

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LFK 28/05/2015 at 12:06

Mannaggia, mi conoscono anche qua…

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 12:08

(Tranquillo! Stai in ottima compagnia, dai retta a me… ché pure la sottoscritta, come dire, ecco)

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LFK 28/05/2015 at 12:09

Meno male, quindi non siamo solo io e i miei coniglietti selvatici ammaestrati a essere strani. 😀

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 12:10

No. Sono strani anche i miei coniglietti.

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El cugino del parente assente che è un demente di secondo grado... 28/05/2015 at 11:55

ops…

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 11:58

Ha parlato lui ha parlato 😉

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flaviofirmo 27/05/2015 at 19:34

L’ha ribloggato su Flavio Firmo's Blog.

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Chiara Beretta Mazzotta 27/05/2015 at 20:13

Grazie per essere passato da queste parti!

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Barbara 27/05/2015 at 19:40

E’ utile ragionare anche sul “rovescio della medaglia”.
Però comunque non mi aiuta a capire certe azioni intraprese dagli editori. Un esempio: avere in pancia un già-fu bestseller internazionale di 20 anni fa, l’occasione di una serie tv pluripremiata quest’anno, l’occasione di sfruttare il ricambio generazionale dei lettori, alcuni titoli di questa saga già esauriti (per lo meno, risultano “non disponibili” negli shop online), perchè non ristampare l’intera saga con copertine fotografiche prese dalla serie? perchè finalmente non tradurre e stampare la guida ufficiale dell’autore, che è già alla seconda edizione in originale? perchè l’italia dev’essere l’unica che, vergognosamente, ha spezzato ogni libro originale in due breviari, creando solo confusione al lettore che deve andare in libreria con la lista della spesa, sperando nella pazienza del commesso?
Harry Potter invece lo stanno ristampando in tutte le forme e colori, compresa l’edizione che si illumina al buio!
…non lo so, mi sembra che certi editori camminino con gli scarponi da trekking sopra le uova d’oro della gallina. Ed io in questo caso sono un lettore deluso.

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Chiara Beretta Mazzotta 27/05/2015 at 20:15

Cara Barbara, non è che se ci sei sei bravo. Ehm. Ci siamo capite?! (Alcuni ci sono oggi, perché ieri – vacche grasse – era tutto possibile era possibile pure avere successo facendo pochino).
P.S. Tu ne sai! Devo interrogarti devo 😉

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Barbara 28/05/2015 at 09:27

Se ne so, sono incosapevole! 😉

…va bene, ammesso che non sei bravo come editore, se i tuoi lettori ti scrivono giornalmente “quand’è che pubblichi questo?” e “quand’è che ristampi quello?” e l’autore in questione ha 500 mila follower solo su facebook e la serie ne ha altri 800 mila, ed i vari gruppi di fan arrivano ad una media di 20.000 solo in italia…una vocina nella testa non ti risuona? Certo, ci sono parecchie edizioni usate, nonchè ahimè i pdf scaricabili gratis in ogni P2P. Ma se i lettori ti chiedono la ristampa, significa che non si accontentano di un libro di terza mano o di un file etereo…
Forse agli editori manca anche questo concetto: un libro E’ pur sempre un oggetto. E per i lettori spesso è lì ben visibile in libreria a ricordargli tutte le emozioni della precedente lettura. Lo guardi, ricordi, sospiri, forse lo tiri fuori e vai dritta alla pagina che sai, la rileggi…e la giornata ha un altro sapore. Se poi si lavora bene sulla grafica della copertina, sulla rilegatura, diventa anche un bell’oggetto.
(…parla una che ha speso 250 euro di libri usati per recuperare l’intera edizione dei Libri di Tolkien della Bompiani del 2002 perchè sono gli unici in edizione curata, con copertine ed illustrazioni decenti, anche se in brossura e ingialliti).

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 09:43

La chiusa tra parentesi è da standing ovation 😉

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sandraellery 27/05/2015 at 21:55

Non ci si improvvisa editore, no, questo vale un po’ per tutte le professioni credo. Un parrucchiere che mi fa un taglio di ehm (successo, in una settimana da capelli a mezza schiena a capelli alla maschietta sistemati con un secondo taglio da un altro parrucchiere per rimediare!), un piatto indigesto che ti fa correre in ospedale, nel mio campo un mio errore causa sanzioni (adempimenti fiscali) e molti malumori. Però per i libri piange un po’ di più il cuore se le cose vanno male, per tutti, per l’editore che chiude, per i libri mai ristampati, per l’autore al palo, per la cultura che va a farsi friggere. Però all’autore rimane sempre in tasca troppo poco, quando glieli danno 😀 in fondo il grosso del lavoro l’ha fatto lui, no?

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gianni 27/05/2015 at 22:15

Articolo molto interessante.
Su tutte vorrei sottolineare l’aspetto conclusivo, ci vuole mestiere e anche un po’ di fortuna, che non guasta mai.

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Chiara Beretta Mazzotta 27/05/2015 at 22:20

Sì, certo. Penso ad alcuni casi editoriali (meritevoli) nati grazie al passaparola. Penso alla fortuna di ricevere la proposta giusta e pubblicarla (alle volte per caso, senza grande convinzione). Ma se non hai mestiere la fortuna non la riconosci. 😉

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gianni 27/05/2015 at 22:21

…e anche questo è vero…! 🙂

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gianni 27/05/2015 at 22:18

Vorrei citare questo tuo post nel mio blog, l’argomento è il Mestiere della penna!

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Chiara Beretta Mazzotta 27/05/2015 at 22:21

Certo, Gianni, BookBlister ringrazia 😉

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gianni 27/05/2015 at 22:22

Grazie a te

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Alessandro Labonia 28/05/2015 at 11:41

Sono editore da 10 anni e cerco di unire la passione all’accorta e prudente ‘audacia’ imprenditoriale per far funzionare l’azienda. La passione è rimasta intatta, mentre l’audacia diviene sempre più prudente. L’articolo è perfetto anche se si può dire tanto altro, ma 150 pagine non le avrebbe poi lette nessuno.
Ad esempio:
a) tra i costi vanno aggiunti quelli di spedizione, che sono aumentati dal 2010 avendo il governo di allora eliminato le tipologie più convenienti di tariffa editoriale ridotta. Ora ci conviene spedire con piego di libro all’identica tariffa a cui accede un qualsiasi cittadino;
b) i piccoli editori senza santi in paradiso e protettori terreni, non riescono a inserirsi nella distribuzione di catena neanche concedendo il 65% di sconto, e quindi non possono stampare in alta tiratura e non possono conseguentemente accere a costi di stampa ragionevoli;
c) i piccoli editori, potendo avvalersi solo di una distribuzione complicata, anche se seria, non riescono a essere presenti che in poche decine di librerie con ogni loro uscita e hanno quindi poca possibilità di vendere (uno scenario diverso e più funesto da quello preso in esempio dall’articolo);
d) qualunque azione di marketing decide di intraprendere un piccolo editore, non è efficace. I primi anni (2006-2010) abbiamo investito in inserzioni, partecipazioni a fiere, banner dedicari e agenzie pubblicitarie tante decine di migliaia di euro per lanciare libri di qualità, ma non ci siamo riuscirci. Il ritorno in vendite è stato trascurabile rispetto ai costi. Funzionano i passaggi del libro sulle tv nazionali che sono inaccessibili alla piccola editoria.
Il lavoro dell’editore è duro, raramente gratificante, poco riconosciuto dagli stessi autori, rischioso e si guadagna una miseria. Se non c’è la passione, non si può trovare l’energia per proseguire in questa follia imprenditoriale.

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 11:45

Ovvio che la passione sia il motore, Alessandro. Ma con la sola passione fallisci con passione. Garantito. E trascini con te tutti quelli che hanno partecipato all’impresa. Questo intendo dire. Il lavoro culturale (ossimoro per i più) è spesso considerato un hobby, una velleità. Quando parlo di questi dati è per dire che il lavoro editoriale ha a che fare con numeri, costi, progetti… non solo con idee romantiche e sogni.
E sì, per i piccoli editori è tutto molto più complicato. Si sa.

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Alessandro Labonia 28/05/2015 at 12:13

Hai le idee chiare, di certo sai di cosa scrivi e ti ringrazio per questo articolo.

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Chiara Beretta Mazzotta 28/05/2015 at 12:14

Rilancio con i ringraziamenti ché nel commento hai dato parecchi dati preziosi. Quindi: grazie!

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El cugino del parente assente che è un demente di secondo grado... 28/05/2015 at 12:36

“Il lavoro culturale (ossimoro per i più) è spesso considerato un hobby, una velleità.”: parole sante.

La mia signora (non quella di cui non voglio sapere niente: la s’ignora esse apostrofo ignora dell’altrove beniano) me lo ricorda tutti i martedì (chissà perché): dice che non potrò mai farcela e che scrivere devo considerarlo un hobby – dice proprio hobby!… Secondo voi quante ore mancano al foglio di via della mia signora (esse ed ignora)?

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El cugino del parente assente che è un demente di secondo grado... 28/05/2015 at 12:21

Scusate, è l’uomo della strada che vi parla (nonché il più grande scrittore italiano vivente esordiente non ancora esordito): a me piacciono le stelline (di solito da una a quattro), quelle che mettono i fortunati professionisti della critica pagati per passare le giornate a godersi le prime visioni, per poi sciorinare sintetici giudizi ed assegnare stelle in proporzione appunto al giudizio suddetto. Farlo anche con i libri?…

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Barbara 28/05/2015 at 12:35

Molti shop online lasciano commentare dagli acquirenti allo stesso modo, stelline comprese. Però la mia esperienza dice che stelle e forchette non sempre si accompagnano ad un servizio adeguato. E poi…quis custodiet ipsos custodes?

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El cugino del parente assente che è un demente di secondo grado... 28/05/2015 at 12:45

Giusto, però se uno “chef” col tempo si guadagna la mia fiducia a suon di sontuose portate… 😉

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