Anna Maria Carpi – Quando avrò tempo

Anna Maria Carpi – Quando avrò tempo

Anna Maria Carpi per “DiVersi, solo le cose inutili sono poetiche” di Elisabetta Bucciarelli che ci ricorda quanto i poeti sappiano disinteressarsi dell’io e usarlo come un accessorio.

Anna Maria Carpi - Quando avrò tempo – Transeuropa
Autore: Anna Maria Carpi
Casa editrice: Transeuropa
Compra adesso

LIBRI, LIBRI, ogni casa ne trabocca,
libri dei tempi del grande scrivere
della convinzione
che abbia un senso il cuore
e i personaggi un destino
che arriva agli altri,
a una santa comunione del sentire,
e così forse era.
Libri di questi giorni: una valanga
di convinti di niente,
com’erano venuti se ne vanno.
Oggi di grande non c’è che l’oblio,
questa coperta misericordiosa,
ultimo segno di un divino in terra.
Al caldo buio nella cecità,
solo qui sei con gli altri.

Se parlo di poesia ogni lunedì da queste parti, non lo faccio per dirvi che di poeti ne esistono tanti o che sono una lettrice dei loro versi. Il mio intento è di raccontare quanto bisogno (non necessità, ma bisogno) abbiamo di questa forma letteraria. È una delle poche cure che funzionano sugli animi in grado di accogliere i segni che le parole riescono a lasciare. Dunque per evitare che i poeti si trasformino in narratori pur di sopravvivere e (soprattutto) sopravviversi, compriamoli e riconosciamo loro una dignità. Il saccheggio poetico come i libri gratis spediti ai cultori della materia, non aiutano la sopravvivenza di chi scrive poesie. Compriamoli, regaliamoli, usiamoli per vivere.

Più che corsi di scrittura sarebbe bello poter frequentare corsi di lettura. Come si fa a leggere una poesia, un romanzo, un saggio. Andare in profondità, soprattutto. Rileggere, magari. Cambiare periodo dell’anno e della nostra vita, tornare una volta ancora sullo stesso libro. Mi capita di farlo con le poesie e alcune mutano persino il loro senso. “Oggi di grande non c’è che l’oblio” dice Anna Maria Carpi. Oggi di apparentemente grande c’è una iper narrazione continua e diffusa. C’è un “Io” esposto, esibito, annunciato. Lo mandiamo in giro in mutande, anche dentro i libri. È la nostra storia, sono le scelte fatte, il nostro dolore. Sono io mio lettore, non ti sembra un bel sacrificio raccontarti tutti i fatti miei? Leggimi, divorami e fammi sentire vivo.

Ecco, il poeta si disinteressa all’io, o meglio, lo tratta come un accessorio non come il protagonista. È come un sogno di immagini quello che ci propone, nello stesso modo facciamo noi al risveglio, quando ci capita di ricevere in dono una strada notturna. Cosa vorrà dire? Perché sento che mi sta parlando? Cosa devo fare di questo regalo della notte? Te lo racconto, magari lo trovi a tua misura, magari ti emoziona, magari no. Magari piangi. Oppure aggiungi un sorriso. L’io è altro, ma riesce a toccare più nel profondo, a restare per un tempo maggiore.

Se il poeta è poeta, funziona così, sembra facile, ma non lo è, sembra oscuro, ma non è nemmeno così. Se qualcosa di vero resterà di questo nostro super produttivo, ipernarrativo, omniraccontativo e megaombelicale periodo, sarà la poesia e insieme a lei l’Arte (quella che si vede o si guarda). Le nostre povere storie private sono davvero meno interessanti.

Non sono certa che Anna Maria Carpi volesse dire questo, ma sento nelle sue liriche l’urgenza del silenzio e del dimenticarsi. Quei tempi del grande scrivere, ci dimentichiamo a volte, sono già stati i nostri. Il secolo appena salutato è già storia letteraria da scrivere. Quello nuovo sta esaurendo la coda del già detto, difficilmente (facciamocene una ragione) potremo incidere se non come movimento egotico, scapigliatura dell’esibizione conclamata dei fatti nostri.

La poesia, invece, ci invita a spostare il pensiero, ci spinge al dono di immagini musica e colore, a danze che hanno parentela più con gli sciamani che con le umane miserie.

La poesia ci invita a scoprire che seme siamo davvero, a che pianta daremo vita. Non basta cambiare vaso per ritrovarci e germogliare, quello che è necessario è stendere le radici in terra buona (buone letture) e circondarci di aria pulita (buona musica) e disporci all’ombra o al sole quanto basta (buona Arte, buona fotografia). Ben appoggiati a un terrazzo capace di reggere il nostro peso, quercia, avocado, glicine, margherita, qualsiasi pianta o fiore o erba siamo destinati a essere o diventare.

Resterà la poesia, ne sono abbastanza convinta, e noi che la cerchiamo con determinazione.

L’ho comprato on line, su Amazon. Anche questa volta è l’unico posto dove sono riuscita a trovarlo. Ma di suo nelle librerie c’è sicuramente E io che intanto parlo, pubblicato da Marcos Y Marcos nel 2016.

Anna Maria Carpi è nata a Milano, dove risiede. Ha studiato germanistica a Bonn, Magonza e Tubinga. Ha insegnato letteratura tedesca all’ Università di Venezia. È autrice di racconti, di romanzi, fra cui una biografia di Kleist (2005, premio Comisso) e di diversi libri di poesia, tra cui Compagni corpi (2004), L’asso nella neve (2011), Quando avrò tempo (2013) e L’animato porto (2015). Ha tradotto Gottfried Benn, Friedrich Nietzsche lirico, Hans Magnus Enzensberger e Durs Grünbein. Nel 2014 ha avuto il premio Carducci. Dal 2013 è membro dell’Akademie der Sprache und der Dichtung di Darmstadt. Questa breve bio è tratta da qui.

Articoli suggeriti

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *