Ecco il primo volume di una trilogia fantasy nato dalla penna di Ben Aaronovitch, sceneggiatore di numerose serie televisive di grande successo come “Doctor Who”.
Il protagonista è Peter Grant, un detective constable – cioè un agente semplice – della polizia in attesa di fare il salto e accedere alla Met (la polizia di Londra, City a parte). Pare un tipo in carriera il nostro Grant, in realtà è più che altro uno con il terrore di finirsene a fare la muffa dietro a una scrivania. Questo quando non è impegnato a fare la corte a qualche collega.
Tutto normale? Sì, finché non scopre di avere delle doti soprannaturali, perché Peter è soprattutto un mago, uno degli ultimi due che sopravvivono nel Regno Unito.
E la Londra in cui si trova a guadagnarsi il pane non è esattamente un posto facile da governare. Per prima cosa la città brulica di fantasmi e – cosa ben peggiore – lui non solo li vede i fantasmi ma ci parla pure. Niente di cui preoccuparsi, per carità, sono molto peggio le divinità bisbetiche e litigiose, e i vampiri irregolari che popolano gli scantinati della città.
Se vi piacciono gli urban fantasy e i polizieschi, se amate una Londra che più vera di così è difficile (fantasmi a parte)… insomma, se avete voglia di divertirvi, leggetelo!
L’incipit
Tutto cominciò all’una e trenta di un freddo martedì mattina di gennaio, quando Martin Turner, artista di strada e per sua ammissione apprendista gigolo, inciampò in un corpo davanti al portico della chiesa di St Paul a Covent Garden. In un primo momento Martin, non proprio sobrio, credette che si trattasse di uno dei tanti celebranti che avevano scelto la piazza come dormitorio e bagno pubblico. Da londinese consumato qual era, Martin diede un’occhiata al corpo per capire se si trattasse di un ubriaco, di un pazzo, di un essere umano in pericolo o di tutte e tre le cose insieme. A Londra è possibile, ed è per questo che comportarsi da buon samaritano nella capitale inglese è considerato sport estremo, alla stregua del base jumping o della lotta con i coccodrilli. Notando le scarpe e il cappotto di buona fattura, Martin ipotizzò che l’uomo fosse ubriaco. Poi però si accorse che gli mancava la testa.
Come raccontò in seguito ai detective durante l’interrogatorio, il fatto che fosse ebbro era una fortuna, altrimenti avrebbe perso tempo a urlare e saltellare, soprattutto dopo aver realizzato di trovarsi in una pozza di sangue. Invece, con la pazienza metodica di chi è ubriaco e spaventato, Martin Turner compose il 999 e chiese della polizia.
Il centro emergenze della centrale allertò la volante più vicina alla scena del crimine e i primi agenti arrivarono sei minuti dopo. Uno rimase con un Martin improvvisamente sobrio; l’altro confermò la presenza di un cadavere e affermò che a quanto pareva non si trattava di una morte casuale. La testa era rotolata sei metri più in là, dietro una delle colonne in stile neoclassico del portico della chiesa. Gli agenti contattarono di nuovo la centrale, che mise in allerta la squadra omicidi locale, il cui ufficiale di servizio, l’agente più giovane, si presentò mezz’ora dopo: diede un’occhiata al signor Senzatesta e svegliò il suo capo. Fu così che l’intero dipartimento della omicidi della polizia metropolitana si riversò in pompa magna nei venticinque metri di ciottolato che dividevano il porticato della chiesa dall’edificio del mercato. Il medico legale certificò il decesso, fece un’ipotesi preliminare sulla causa della morte e portò via il cadavere per eseguire l’autopsia. (Ci fu un lieve ritardo perché non si trovava una busta trasparente abbastanza grande in cui riporre la testa). La squadra della scientifica arrivò in massa e per dimostrare che erano loro a comandare, gli agenti ordinarono di allargare il perimetro della scena del crimine fino al lato ovest della piazza. Ci fu bisogno di rinforzi, per cui l’ispettore capo chiamò il commissariato di Charing Cross e chiese se ci fossero agenti disponibili. Non appena udì la parolina magica – straordinario – il comandante marciò nel dormitorio della centrale e fece alzare tutti dai loro letti caldi. Il perimetro fu allargato, le ricerche ebbero inizio, gli agenti più giovani furono mandati a compiere misteriosi incarichi e poco dopo le cinque tutto finì. Il cadavere era stato portato via, i detective se n’erano andati e la polizia legale affermò all’unisono che non c’era altro da fare, non fino all’alba, che sarebbe arrivata soltanto tre ore dopo. Sarebbero bastati un paio di sempliciotti a controllare la scena del crimine fino al cambio di turno.
Fu così che alle sei di mattina mi ritrovai a congelare per il vento gelido a Covent Garden, e fu così che incontrai il fantasma.
I fiumi di Londra, Ben Aaronovitch, traduzione di Silvia Quadrelli, Fanucci, p. 350 (9,90 euro)