Intervista ad Amélie Nothomb alla Libreria Centofiori di Milano in occasione dell’uscita di Uccidere il padre.Val bene un po’ di silenzio informatico per poi tornare in gloria (non grazie a me) con un’intervista ad Amélie Nothomb!
Vengo infatti dalla Libreria Centofiori (che innalza i livelli di serotonina e il benessere del lettore al solo varcarne la soglia) dove la scrittrice tra una chiacchiera e un autografo ha risposo alle mie domande, confermando che alcuni miti letterari vanno incontrati, perché la versione in 3D è amabile quanto quella di carta.
Quest’anno la Nothomb festeggia il suo ventesimo libro pubblicato (ogni anno i manoscritti prodotti sono diversi, ma ne sceglie solo uno da dare alle stampe) che come al solito ha un titolo affilato: Uccidere il padre (traduzione di Monca Capuani, Voland editore). In cui si racconta la storia di Joe, un quattordicenne con una madre strampalata – il padre non sa neppure chi sia – che lo allontana da casa per paura di perdere il proprio uomo. Joe ha una passione e un talento immenso per la magia e sopravvive intrattenendo i clienti dei bar con i suoi giochi di prestigio. Una sera, uno sconosciuto gli suggerisce di andare a lezione dal mago più abile di Reno, Norman Terence. Norman insieme con Christina, la sua compagna, lo accoglieranno in casa come un figlio. Ed ecco i difficili equilibri tra un discepolo e il proprio maestro. Tra un figlio e un padre.
Una cosa che non faccio mai è leggere notizie del suo nuovo libro. Niente quarte di copertina, niente sinossi, niente interviste, niente di niente. E ogni volta il tema, i personaggi, gli scenari, i conflitti messi in campo sono una vera sorpresa. Il penultimo, Una forma di vita, è stato ispirato da un articolo di giornale sulla piaga crescente dell’obesità nell’esercito. Questa volta come è andata?
Devo dire che l’ispirazione è stata meno folgorante del precedente libro, c’è stata una genesi più lunga. Per prima cosa sono dieci anni che frequento l’ambiente dei maghi, i loro locali, i circoli. Secondo, nel 2010, sono stata al Festival del Burning Man e mi ha colpito, è stata un’esperienza straordinaria. E terzo, che come tutti ho un padre, e il ruolo del padre l’ho sempre trovato misterioso, mentre quello della madre è chiaro. Quando ero piccola guardavo mio padre e mi domandavo a cosa servisse…
Non c’è niente di ludico e creativo nella magia di Joe. Joe ha una vocazione che nutre con ore e ore di esercizio, con una autodisciplina spaventosa. È una visione della magia molto poco romantica. Lo stesso vale per il talento che (oltre a non rendere simpatici, come dice Norman) più che un dono sembra un onere che impone a chi lo possiede il rigore di fare (bene) qualcosa che piace, certo, ma che è difficile fare.
Be’, sì, uno immagina sempre che la creatività sia legata alla vita da bohémien, un po’ dissoluta ed elettrizzante. I veri creatori hanno una vista quasi maniacale, austera, i veri maghi ancora di più. Cioè sono proprio dei lavoratori e lavorano da soli. La vita dello scrittore è molto simile. Non è affatto sregolata, anzi, prevede anni di solitudine, di esercizio per imparare a scrivere bene. Certo adesso sono qui, è bello, mi godo le presentazioni, il pubblico, ma alle spalle ci sono anni e anni di lavoro solitario.
Ogni volta che Norman e Joe parlano di magia, del perché amarla o voler essere il migliore, del ruolo dello spettatore, del rispetto che il mago ha e il baro non ha verso chi lo guarda, penso che potrebbero tranquillamente parlare di scrittura e del rapporto tra narratore e lettore…
È esattamente la stessa problematica. Passa infatti la stessa differenza tra un mago e un baro, e uno scrittore rispettoso e uno “furbetto”. Uno cioè che tenta di fare tutto quello che può e uno invece che, appunto, bara che fa il furbo. Per esempio uccidere un bambino in un libro è stroppo facile, è troppo semplice colpire così il
lettore.
Chi dice che l’adolescenza sia un periodo meraviglioso o se l’è dimenticata o non l’ha mai vissuta! È un periodo spaventoso in cui vivi l’ebbrezza delle rivelazioni, ma ti mancano gli anni per approfittarne a pieno. Va da sé che uno sia arrabbiato, estremo e pure cattivo. Ma Joe non sembra affatto un adolescente, perché ha una cosa che gli adolescenti non hanno: la capacità di aspettare.
Joe è già perverso anche se, all’inizio della storia, ha solo quattordici anni. Ed è vero che la capacità di aspettare è sintomatica della perversione, solo un vero perverso prepara la propria vendetta tanto tempo prima e ci pensa così a lungo. Mentre è vero che gli adolescenti di solito non hanno alcuna pazienza, ma se si guarda da dove viene Joe, la madre che ha avuto e il padre che non ha avuto, si capisce subito perché sia perverso.
Anche io sono una persona estremamente paziente, perciò diffidate!
Inquietante… della serie: la pazienza è la virtù dei folli!
Veniamo al titolo. Uccidere il padre, in senso figurato, ovvio. Che è un processo, quello del liberare noi stessi e le nostre aspirazioni dalle aspirazioni dei nostri genitori, non certo meno cruento di un omicidio vero e proprio. Ma qui, in realtà, pare più il padre a voler essere ucciso dal figlio, perché se fosse così avrebbe la dimostrazione che padre lo è per davvero.
Be’, sì, prendo Freud e prendo la sua teoria sul complesso di Edipo e in un certo senso la ribalto. Perché si potrebbe dire che questa teoria – che naturalmente è geniale – forse è un po’ datata, perché, non se da venti o quaranta anni, sono più i figli a riconoscere i propri padri e non viceversa. E questo produce degli esisti strani e anche piuttosto complicati. Anche perché se questo ruolo di potere viene affidato al figlio durante l’adolescenza, molto probabilmente la sua scelta sarà guidata dalla seduzione.
Questo libro è stato definito un western. È d’accordo?
Completamente. Il western, è straordinario perché è una versione moderna della tragedia greca. È una versione semplificata. C’è la violenza, c’è tutto, ma tutto è più semplice e viene detto chiaramente. Invece finora ho sempre fatto quelli che si potrebbero definire degli eastern dove ogni cosa è invece metaforica, tutto è al secondo grado, possiede altri significati. Poi era importante, in questo momento, fare il primo western belga!
Agli scrittori di successo si chiedono sempre i trucchi per scrivere. Invece, secondo me, per scrivere bene bisogna leggere, quindi le chiedo un trucco per diventare un buon lettore.
Mmmh… una domanda che non mi è stata fatta! Un trucco per diventare un buon lettore… La mia risposta forse sembrerà sciocca, ma ho osservato – io sono una grande lettrice – che si legge meglio stesi, l’osmosi con il testo avviene meglio.
Ci dovrebbero essere delle biblioteche con i letti!
– E tu, lo consideri tuo figlio?
– In un certo senso sì. Lo ammiro molto e gli voglio bene. Quando parto, mi manca. Quando torno, mi dà sui nervi e mi esaspera.
– Hai paura di lui?
– No. Ho paura per lui.
– Allora è tuo figlio.
Uccidere il padre, Amélie Nothomb, traduzione di Monica Capuani, Voland editore, p. 91 (9 euro)
1 comment
Grande Chiara 🙂 Ho scoperto questa autrice grazie a te, mi piace tantissimo e non vedo l’ora di leggere anche quest’ultimo libro.
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