Un omaggio a Ray Bradbury che ha molto creato, molto letto e (grazie al cielo) cambiato in meglio la vita di tanti lettori.
Cronache marziane, Fahrenheit 451, Il popolo dell’autunno, L’uomo illustrato. Sono alcuni dei capolavori scritti da Ray Bradbury, scrittore visionario che ha illuminato e rinnovato il genere fantascientifico. È morto nella notte del 6 giugno, nella sua casa in California. Aveva 91 anni. Il miglior modo per ricordarlo? Conoscerlo. Quindi leggerlo.
Era una gioia appiccare il fuoco.
Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse. Con la punta di rame del tubo fra le mani, con quel grosso pitone che sputava il suo cherosene venefico sul mondo, il sangue gli martellava contro le tempie, e le sue mani diventavano le mani di non si sa quale direttore d’orchestra che suonasse tutte le sinfonie fiammeggianti, incendiarie, per far cadere tutti i cenci e le rovine carbonizzate della storia. Col suo elmetto simbolicamente numerato 451 sulla solida testa, con gli occhi tutta una fiamma arancione al pensiero di quanto sarebbe accaduto la prossima volta, l’uomo premette il bottone dell’accensione, e la casa sussultò in una fiammata divorante che prese ad arroventare il cielo vespertino, poi a ingiallirlo e infine ad annerirlo. Egli camminava dentro una folata di lucciole. Voleva soprattutto, come nell’antico scherzo, spingere un’altea su un bastone dentro la fornace, mentre i libri, sbatacchiando le ali di piccione, morivano sulla veranda e nel giardino della casa, salivano in vortici sfavillanti e svolazzavano via portati da un vento fatto nero dall’incendio.
Montag ebbe il sorriso crudele di tutti gli uomini bruciacchiati e respinti dalla fiamma.
Sapeva che quando fosse ritornato alla sede degli incendiari avrebbe potuto ammiccare a se stesso, specie di giullare negro, sporco di carbon fossile, davanti allo specchio. Poi, all’atto di andare a dormire, si sarebbe sentito quel sorriso di smorfia ancora artigliato nei muscoli facciali, al buio. Non scompariva mai, quel sogghigno, non se n’era andato mai nemmeno una volta per lontano che risalisse con la memoria al passato.
Appese il nero elmetto color coleottero e si dette a lustrarlo; appesa poi la giubba antipirica, con molta cura, si abbandonò lungamente alle gioie di una doccia; poi, fischiettando, mani in tasca, attraversò il piano superiore della casa del fuoco e cadde nel buco. All’ultimo momento, quando il disastro sembrava inevitabile, si trasse le mani di tasca e interruppe la caduta afferrandosi al palo dorato. Scivolò fino a un arresto stridulo, con i talloni a due centimetri dal piancito di cemento del pianterreno.
Uscì quindi dalla casa del fuoco e si diresse per la strada notturna – era mezzanotte – verso la ferrovia sotterranea, dove il silenzioso convoglio ad aria compressa, scivolando come un’ombra entro il suo budello bene oleato nelle viscere della terra, lo rigurgitò con uno sbuffo possente d’aria calda, sulla scala mobile dal pavimento color crema, che saliva verso la superficie, nella zona suburbana.
Zufolando, si lasciò sollevare dalla scala mobile nell’aria ferma della notte e si spinse verso la cantonata, non pensando a nulla di speciale. Prima di giungere alla cantonata, tuttavia, rallentò, come se un gran vento si fosse sollevato chi sa dove, come se qualcuno lo avesse chiamato per nome.
In quelle ultimissime notti aveva avuto i sentimenti più vaghi ed insoliti sul marciapiede proprio passato l’angolo, là, mentre si dirigeva alla luce delle stelle verso casa sua. Aveva sentito come un istante prima ch’egli girasse l’angolo qualcuno vi si fosse trovato. L’aria sembrava carica d’una calma particolare, quasi che qualcuno fosse stato là, in attesa, in silenzio, e solo un istante prima ch’egli comparisse si fosse semplicemente trasformato in ombra, per lasciarlo passare.
Fahrenheit 451, Ray Bradbury, traduzione di Giorgio Monicelli, Mondadori, p. 195 (9 euro)
3 comments
Sì Sì, l’ho letto! Ma non ricordavo così tanta bellezza: “mentre i libri, sbatacchiando le ali di piccione, morivano sulla veranda e nel giardino della casa”. Ce l’ho il libro e credo che adesso lo rileggerò, spero che esista solo questa traduzione, perché è superlativa.
Mi viene da parafrasare un adagio: “non esistono piccole parti, esistono piccoli attori”,
per dire che non esistono letterature minori, ma, eventualmente, libri minori.
La prova che anche la fantascienza possa essere arte, l’hai appena fornita tu.
Cara dottoressa Beretta Mazzotta, Lei sa con quanta simpatia io segua il suo blog e le sue trasmissioni in radio. Mi permetta così una precisazione. Ray Bradbury non è mai stato un grande romanziere, visto che di romanzi ha scritto solo Fahrenheit 451 (e il Popolo dell’autunno, che però…). Ma è stato un grandissimo, enorme autore di racconti: Cronache marziane non è che una serie di short stories “a tema”, idem “L’uomo illustrato” e tutto il resto. Una collana di perle lunga tutta una vita. Quando ha provato a sforare oltre la misura (tipo Morte a Venice), be’, insomma….
Molti cari saluti. Se vuole La invito nella mia biblioteca personale di science fiction, che parte dagli anni Cinquanta e arriva ad oggi.
Suo Nanni Ruschena
Caro Nanni, come ha ragione! Colpa di un romanzo famoso e si scambia un centometrista per un maratoneta. La parola giusta è “narratore”. Ed è vero che funzionava molto veglio in sottrazione che in addizione. Lei è un uomo fortunato, data la biblioteca! Un caro saluto. Chiara
P.S. Provvedo a correggere… meglio tardi che mai!
Comments are closed.