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Alessia Bottone: scrivere è scoprirsi vulnerabili

La storia di un esordio. Ce la racconta Alessia Bottone. 

In principio era il caos ma devo dire che anche adesso non si scherza.
Se ripenso a come ho iniziato, mi viene da ridere e pure un po’ da piangere. Sarò onesta, scrivere un libro è qualcosa di eccezionale, un sogno magnifico ma anche un gran giramento di eliche.
Perdonatemi, il mio stile è questo, anche nei miei libri mi presento così.
Partiamo da quel famoso principio. La mia esperienza di scrittrice è iniziata per caso… e che caso!
Dopo aver perso il lavoro, dopo aver firmato un contratto capestro per iscrivermi a un Master, l’azienda che doveva assumermi, cambia idea e opta per un altro candidato. Mi ritrovo seduta in cucina, a terra per l’esattezza, pensando: e mo’, come lo pago il Master!?

Ho 29 anni, sono laureata, molto incasinata, quadrilingue e stagista e viaggiatrice, con diversi anni di soggiorno all’estero. Quando ho lasciato la mia Verona, il lavoro pullulava, quando sono tornata, le fabbriche stavano chiudendo.
Quel benedetto giorno, mentre sbattevo la testa al muro, decido di scrivere una lettera alla mia città chiedendo un consiglio su come uscire dall’inghippo. L’ho inviata senza pensarci troppo, avevo bisogno di parlare con qualcuno.
Il giorno dopo, sorpresa, mi ritrovo in prima pagina con un bel titolone: “Grazie, Alessia, per il tuo coraggio”.
Grazie di cosa?
Arrivano telefonate, sms, post su Facebook, il delirio.
Voi direte: “E questo cosa c’entra con la scrittura?”
C’entra. Quel giorno in preda all’angoscia ho pensato di espatriare, anche perché io, nella realtà, sono una ragazza timida e anche riservata e vedere la mia vita spiattellata in prima pagina mi ha alquanto scioccata.

Oggi sono molto meno timida, scrivere un libro mi ha permesso di capire che timidezza non fa rima con vendite e quindi, dopo tanta gavetta, quando ho in mano un microfono e presento mi trasformo in una leonessa. Comunque sempre quel benedetto giorno ho realizzato che non avevo un euro per espatriare e così ho dato vita al mio blog Danordasudparliamone, grazie al quale ho raccontato le mie vicende e quelle di tanti giovani italiani alle prese con il mondo del lavoro (chiamiamolo così, dai, sono pur sempre una signora).
Questo blog inizia a fare il giro del Paese, mi invitano in trasmissione, Rai1, Quinta Colonna, Radio Rai… mi ci appassiono sempre più, anche perché avevo parecchio tempo a disposizione visto che non lavoravo e non avevo uno straccio di fidanzato (tasto dolentissimo, ci tengo a dirvi che è molto più semplice ottenere un contratto a tempo indeterminato che riuscire a uscire con lo stesso ragazzo per più di cinque appuntamenti senza sentirsi dire: “Noi due siamo amici, vero?” Amici, la nuova frontiera del sesso, mia nonna rabbrividisce, comprensibile).

Il blog però non mi bastava più e, sulla scia dell’entusiasmo (o forse della depressione), ho preso carta e penna e ho scritto al Direttore di “Vero Salute”, per ricordarle che ci eravamo conosciute in trasmissione e che mi avrebbe fatto piacere restare in contatto.
Per tutta risposta lei mi propone di scrivere per la rubrica “vita di coppia”, e così faccio con entusiasmo e trasporto anche perché ho talmente tante idee e appuntamenti nel mio archivio amoroso finiti in maniera tragicomica da avere materiale fino al 2028.
Poi, arriva l’illuminazione. Decido di riunire i miei terribili appuntamenti e farne un libro intitolato Amore ai tempi dello stage, perché diciamocelo chiaro, l’amore è precario tanto quanto il lavoro.
Il giorno dopo l’invio della bozza del libro (avevo scritto solo dieci pagine) ricevo il contratto. L’editore è Galassia Arte (editore a “doppio binario” perché in certi casi chiede l’acquisto di copie ndr) non mi chiede nessun contributo e prevede i diritti d’autore. Ho accettato.

Ammetto che è stata una battaglia, sappiamo bene come funziona il mondo dell’editoria, se non sei un colosso, il tuo libro non lo ordinano neanche sotto tortura.
Non mi sono arresa, sono riuscita, utilizzando metodologie segretissime da me inventate che riunirò nel manuale “Black & Decker. Se vuoi qualcosa, tortura il tuo interlocutore” sono riuscita a far arrivare il libro a Canale 5, Rai1, Rai3, ma soprattutto nelle librerie di Catanzaro. Voi direte? Catanzaro? Perché mai ti interessava Catanzaro? Perché era l’unica città in cui le librerie non si decidevano a ordinare il libro nonostante il mio
stalking. Ci ho messo nove mesi, alla fine ha capitolato.
La promozione è stata terribile, terribile nel senso che mi sono consumata per riuscire a farmi strada, ma devo dire che non è stato tempo perso. Cinque mesi dopo, infatti, ho firmato il contratto per l’uscita del mio secondo libro: Papà mi presti i soldi che devo lavorare? edito da Kowalski-Feltrinelli.

Scrivere è una strada tutta in salita, fatta di invidie, di sgambetti, ostacoli, speranze disilluse ma, se non si ha la pretesa di ottenere tutto e subito, può essere una favola meravigliosa, una palestra di vita, un modo per riallacciare i contatti con persone che non si vedeva da tempo, abbandonarne altre, e trovarne di nuove, pronte a sorriderti e a chiederti: “Me lo faresti un autografo”. A tal proposito ci tengo a precisare che in due anni non ho mai scritto una dedica correttamente, a volte mi dimentico il nome, il cognome, i verbi, l’italiano, scrivo in spagnolo, mi emoziono insomma.
Scrivere è anche questo, scoprirsi vulnerabili anche quando si gioca alla donna perfetta che in fondo tanto simpatica non è.

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2 comments

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Chiara Beretta Mazzotta 14/10/2014 at 16:17

Alessia mi scrisse ai tempi del suo esordio mandandomi il testo in lettura. Un libro interessate ma l’editore era un Eap (doppio binario, come ho scritto nel post) e come sapete non parlo di editoria a pagamento anche se l’autore – come in questo caso – non ha sborsato un euro né ha dovuto acquistare copie. Alessia, peraltro, ha accolto la mia decisione con molto garbo (cosa, ve lo garantisco, che capita di rado).
Ci tenevo che raccontasse il suo esordio e la ringrazio per averlo fatto, perché è una autrice di carattere e ha saputo proseguire al meglio il suo percorso editoriale. Merito suo, lo preciso, io non c’entro nulla. A dimostrazione che se le storie e le idee valgono, si trova la propria strada. L’Eap non è di certo un marchio stile lettera scarlatta ma se volete essere presi sul serio, fate sul serio, a cominciare dalle persone cui vi affidate.

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sandraellery 14/10/2014 at 17:56

Bellissimo esordio e bellissima motivazione nel tuo commento Chiara! Mi verrebbero, anzi mi vengono proprio, in mente un sacco di cose da dire, ma rischierei l’autoreferenzialità spinta quindi ringrazio e basta!

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