E per gli Scelti da voi, grazie ad Antonio Viani per la sua recensione.
Non ha molto del romanzo classico, nonostante la collana, questo sembra più un affresco storico. Di certo non un male, anzi, visto che l’autore descrive alla grande l’atmosfera della Milano post unitaria che si andava delineando come la capitale economica e morale (bei tempi!) d’Italia.
Si parte nel 1879, dal delirio che scatena in tutta la città il ritorno alla direzione dell’unico e inimitabile profeta della lirica italiana, Giuseppe Verdi, alla Scala per dirigere la Messa di Requiem. Contraltare a questa follia collettiva (che si traduce in assedi deliranti con annessi concerti pubblici in strada sotto il balcone della stanza di Verdi, nel buen retiro milanese dell’autore, l’Hotel de Milan) è l’atroce dubbio, nonché ansia, della cerchia più stretta del Maestro: riuscirà Verdi a comporre di nuovo, a ben sette anni dall’ultimo lavoro? La sua vena artistica si è impoverita, alla soglia dei settant’anni?
Per cercare di smuovere il compositore, il suo editore, il grande Giulio Ricordi gli lancia l’amo, una nuova opera che possa dargli ancora più fama e imperitura memoria: l’Otello, con il libretto scritto dall’astro nascente Arrigo Boito.
Ed ecco che proprio la storia della nascita di quest’opera è il fil rouge che lega il romanzo. Le continue partenze e frenate nella stesura della musica della tragedia da parte di un Verdi mai convinto e per molto tempo diffidente nei confronti di Boito, s’intersecano con il racconto di una Milano che, con la tanto desiderata unità d’Italia, inizia a pensare in grande. Prova ne sono il progetto del nuovo piano regolatore, che inizialmente prevedeva addirittura l’abbattimento del Castello Sforzesco, piano che trasformerà e amplierà la città oltre le vecchie mura spagnole, il famoso piano Beruto, oltre all’esposizione universale del 1881 e all’arrivo della luce elettrica che soppianterà quella a gas.
Questa Milano viva, scapigliata, ancora in parte legata alla sua tradizione contadina e popolare ma vogliosa di spiccare il volo verso un prosperoso avvenire e nella quale intravediamo tratti di malcostume che sopravvivono anche oggi, ci viene raccontata dall’autore tramite l’io narrante, che altri non è che Tobia Gorrio, pseudonimo anagrammato di Arrigo Boito il personaggio principale del libro (a mio parere, anche al di sopra del sommo Verdi del titolo che è visto più come un Dio pagano, fuori dalle contese e tribolazioni terrene, un Verdi che pur di non andare avanti a musicare l’Otello, si ritira nella sua amata tenuta di Sant’Agata a coltivare i campi e a fare, con suo sommo piacere, il magutt).
Proprio la scelta di raccontare la storia utilizzando un personaggio finto è molto interessante, infatti, se Boito prova un giusto timore reverenziale nei confronti del Maestro e mantiene un tono da discepolo con il Verdi, anche quando quest’ultimo pare più un ragazzino bizzoso che un attempato signore. Gorrio, che rappresenta l’anima giovanile scapigliata di Boito, si aggira per i pettegoli salotti milanesi come un’ombra che non ha vincoli e che tutto ascolta e soprattutto libero di usare il suo tono caustico per sbeffeggiare i grandi dell’epoca, anche sua maestà Verdi, da lui appellato per l’appunto “Il Viva Verdi”. Un Gorrio che racconta le piccole meschinità e i pettegolezzi che girano attorno al mondo lirico e non milanese, interessanti e divertenti perché ci rendono più umani i personaggi presentati.
Un libro che consiglio a chi adora dare uno sguardo al passato. Uno sguardo mai pedante e didascalico. Anzi! Il punto di vista è scoppiettante e pieno di aneddoti, anche sui personaggi minori. Come ho detto in principio non un romanzo ma davvero un gran bell’affresco storico.
Il Viva Verdi, Jacopo Ghilardotti, Salani, p. 269 (14,90 euro) anche in ebook