Siccome son tosta e non temo nulla: seconda settimana e seconda triade dello Strega. Ovviamente l’ordine di lettura segue un complesso algoritmo chiamato: “Caso”.
Quest’anno il Premio forse ha voluto svecchiarsi, forse ha voluto fare l’alternativo, sia come sia, ha inserito nella dozzina una graphic novel presentata da Nicola Lagioia e Sandro Veronesi: unastoria (non è un refuso è scritto tutto attaccato) di Gipi per i tipi di Cocoino Press. Da quanto leggo in rete – le critiche positive si sprecano – ha tutti i meriti per la nomination. Io? Non che conti granché, ma non sono d’accordo. No, non mi sfiora neppure l’idea di ritenere un fumetto qualcosa di meno serio e/o valido di un romanzo. Penso solo siano due forme espressive diverse. Perciò, forse, il Premio avrebbe potuto pensare a una sezione speciale ma questa soluzione, il mischione senza regola, mi pare una scelta poco sensata. Detto questo: io non leggo fumetti, è uno strascico del passato (da bimba ero dislessica, sono dislessica, visto che la dislessia si corregge ma non si cura… e a furia di stare attenta agli errori ne ho fatto un mestiere!). Ho sempre fatto fatica a seguire l’ordine delle “nuvolette” di parole e le immagini si mangiavano il testo… cose mie, cose strane – perdonatemi – ma come risultato ho sempre letto pochissimi fumetti. Quindi no, non sono in grado di darvi una mia opinione, perché i tuttologi mi fanno orrore e valutare una graphic novel senza conoscere tutto quello che c’è stato prima (tutto è impossibile, ovvio, quantomeno molto) è un insulto alla vostra intelligenza e soprattutto all’autore, Gipi. Quindi lo chiedo a voi: che ne pensate? Vi è garbata? Non vi è garbata? Perché?
Del libro di Elisa Ruotolo, Ovunque, proteggici, (Nottetempo) – presentato da Marcello Fois e Dacia Maraini – ho parlato pochi giorni fa in radio. Più che una storia, una voce. L’autrice il suo intreccio lo edifica su una cifra stilistica davvero peculiare, è questo il pregio-limite del romanzo. O ci si lascia ammaliare dalla voce o questa disturba come un diaframma che si frappone tra storia e lettore. Siamo nei pressi di Napoli (ma il contesto è sfumato e potremmo essere ovunque) e, un giorno qualunque, il cinquantenne Lorenzo Girosa riceve una lettera che ha a che fare con un segreto nascosto tra le mura di casa sua e della sua memoria. Si parla di un assassinio, qualcosa che appartiene al passato di Lorenzo. Ed ecco il pretesto che forza il protagonista a un salto nel tempo, per rivivere la storia della propria famiglia. Quel che è certo? Lorenzo è in buona compagnia perché mamma Francesca, papà Nicola, nonno Domenico… tutti nascondono un segreto in questa famiglia. Famiglia che non certo brilla per virtù “perché i Girosa avevano la vocazione allo sperpero, la tendenza alla leggerezza, la volontà di allontanarsi dal nido, e tutte le disposizioni ereditarie per mettere in piedi una sarabanda di pazzi”. A conti fatti la vera protagonista di questa fiaba popolata da personaggi fantastici non è la stirpe Girosa ma la casa, la grande villa che ne racchiude l’essenza, nonostante tutto. Perché questa famiglia radici non le ha è una “folla” che nel dna ha l’istinto per la migrazione. È una lettura che non permette apatia, tocca prendere una posizione anche se non si vuole, tocca capire se lo si è amato oppure odiato questo libro. Alla fine bisogna proprio ammettere che no, non è passato inosservato.
Altro libro altra famiglia. Giuseppe Munforte, ci porta infatti Nella casa di vetro (Gaffi) presentato da Arnaldo Colasanti e Massimo Raffaeli. La sfida è quasi impossibile: raccontare una famiglia felice, normale. Portare sulla pagina un quotidiano fatto di bellezza e pace. La quiete, insomma, l’assenza di conflitto, di azione, di movimento. Una battaglia, quando si vuol fare narrativa; una sfida come tante, per uno scrittore. Davide è il narratore-osservatore che mette sotto la lente – sotto vetro – i suoi cari: la moglie Elena, la figlia Sara (in realtà biologicamente non sua, ma poco conta) e Andreas. E così grazie a questo sguardo la casa non ha più pareti, né protezioni, i suoi abitanti si fanno nudi e si concedono al lettore. Milano, la periferia, gli edifici bruttini (dentro e fuori), il caos all’esterno, lo squallore, tutto si annienta e zittisce di fronte alla dolcezza, al calore delle abitudini di questo nucleo, allo svolgersi e avvolgersi delle piccole cose. Risvegli, uscite, scuola, merende, giardinetti, calcio… E le minuzie, solo per il fatto di accadere, sono prodigiose agli occhi di Davide. È un’ombra questo padre che non vuole lasciarsi scappare alcun ricordo del suo mondo. Davide vorrebbe esserci sempre, vorrebbe tenere tutto unito, tutto insieme. È un eroe per questo, perché la vita impone cambiamenti, perdite, impone vita. E futuro. Una scoperta, sì. Non lo avrei letto, senza la stregaccia, e avrei sbagliato.
3 comments
Ovviamente non credo di essere un’esperta, anche se il fumetto è stato una delle mie passioni adolescenziali (forse l’unica, se si da per scontata quella per la lettura), però penso di poter dire che quello di Gipi sia uno dei più belli che io abbia avuto sotto mano. L’argomento principe è delicato: quello della guerra, ma non è l’unico argomento delicato che viene affrontato. I disegni poi sono davvero in grado di far trapassare l’emozione dalle pagine (il formato è particolarmente azzeccato) ai cuori di chi è in grado di ‘leggerla’. Forse avrebbe avuto bisogno una sezione speciale (e forse non è l’unico…chissà…magari è un’idea per il prossimo anno) ma in mancanza di questa direi che, già solo per la peculiarità, merita.
Grazie Natascia, commento prezioso. Il formato è particolarmente azzeccato? In che senso? Non ne so, ma mi interessa 😉 Un abbraccio!
(Son d’accordo sul fatto che meriti, lo dici tu, lo dicono in molti e lo dite con precisione e coinvolgimento… ma quanti giurati saranno in grado di valutarlo? Io con tutta la buona volontà sarei stata gravemente inadeguata.
Mi vien da dire “urca” per il terzo, sarà che c’è Milano.
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