Joseph Conrad lo ricordiamo soprattutto per i suoi romanzi d’avventura. Eppure, a un certo punto, stufo di essere ingabbiato in un genere, ha scritto un romanzo psicologico dal titolo Il ritorno.
Di cosa parla? Di una coppia. Un uomo di successo che lavora nella city e sua moglie. Il loro matrimonio è in crisi, anche se lui non si è mai accorto di nulla. E un giorno la donna – che nel romanzo non ha neppure un nome – decide di abbandonarlo per un altro e se ne va di casa lasciando al marito una lettera in cui gli spiega il perché del suo gesto.
Ma nelle ore che seguono si pente. E decide così di tornare indietro, sperando che il marito non sia ancora rincasato e che quindi non abbia letto la lettera. Sperando che tutto possa essere aggiustato.
Inizia da qui, nel 1897, il romanzo di Gallini. Facendoci scivolare nella vita e nella quotidianità di Conrad. Un uomo alle prese con un momento delicato – il suo romanzo è stato rifiutato da tutti gli editori – che cerca di migliorare la propria storia e attende i consigli di un altro scrittore, Henry James.
Voltiamo pagina ed ecco che facciamo un salto temporale e sbuchiamo nel 2017. Qui incontriamo Agnese e Leo. Lei è una creativa, una film-maker di successo; lui è un architetto e di soddisfazioni no, non ne ha ancora avute. La loro storia? È in crisi. La fa scricchiolare la noia o forse sono le incomprensioni o chissà… di certo qualcosa proprio non gira e mina la creatività di Agnese, la rende insofferente. E insicura.
E così la donna una mattina decide di lasciare Leo. Lo fa con un misero biglietto perché quando ci sono troppe cose da dire forse è meglio non dirne alcuna. Ma nel corso della giornata si pente…
Cosa ne sarà della sua storia con Leo? È più forte chi ha il coraggio di restare? Si ritorna perché non si è trovato nulla di meglio… Ed ecco che, cento anni dopo, i protagonisti del Ritorno rivivono in questa giovane coppia dimostrandoci che la letteratura, quando è tale, è fuori dal tempo. La letteratura è. E basta.