Susan Sontag, Ōe Kenzaburō – La nobile tradizione del dissenso

Susan Sontag, Ōe Kenzaburō – La nobile tradizione del dissenso

La nobile tradizione del dissenso di Susan Sontag e Kenzaburō Ōe è l’Interruzione che ci regala questa settimana Laura Imai Messina; scopriamo quanto sia gratificante dissentire.

Susan Sontag, Kenzaburō Ōe - La nobile tradizione del dissenso
Autore: Susan Sontag, Kenzaburō Ōe
Casa editrice: Archinto
Traduzione di Paolo Dilonardo
88 pagine
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Come è bello dissentire nell’accordo.

Lei disse: Guerra sì, se necessaria.
Lui rispose: A priori guerra no, perché guerra giusta non esiste.
Lei replicò: Non usiamo le parole metaforicamente, usiamole per quello che dicono veramente!
Loro si interrogarono: Cosa è una scrittura “impegnata”?
Lui domandò: «un romanziere dovrebbe scrivere di ciò che conosce, o di ciò che non conosce?»
Lei controbatté: domanda incomprensibile perché «scrivere è conoscere qualcosa, e rendere quel qualcosa conoscibile. La letteratura è conoscenza – per quanto, anche nel caso della migliore letteratura, imperfetta. Come ogni conoscenza…».

Le buone teste producono buoni pensieri. Anche quando sono in disaccordo, quando non ne condividiamo una parola, ma sono fecondi. Restano capaci di stimolare altre riflessioni che li sorpassano nella contingenza storica cui fanno riferimento.

Tra l’aprile e il luglio 1999 il Premio Nobel per la Letteratura Ōe Kenzaburō e la scrittrice e intellettuale statunitense Susan Sontag si scambiarono delle lettere. I temi trattatati sono quelli che ho semplificato in apertura, in un artificiale botta e risposta.

Ōe spiega inoltre come i giapponesi, «sia per le sofferenze che hanno inflitto sia per il cumulo di intense sofferenze subite durante la Seconda guerra mondiale, trovano particolarmente difficile prendere parte a una guerra», e Sontag replica che certe guerre d’altronde sono “necessarie” e che anche “non fare è fare qualcosa” (il riferimento costante è quello al genocidio consumatosi in Kosovo e all’intervento tardivo della Nato, argomento centrale in quegli anni).

E nonostante il premio Nobel l’abbia ricevuto Ōe Kenzaburō e non viceversa, pare Susan Sontag a riportare in carreggiata una conversazione in cui il primo, maestro di sconforto, ha in mente una certa politica giapponese contro cui tiene fortemente a schierarsi.

Mentre Ōe si affatica a puntare il dito contro un ultranazionalismo latente che rinviene nel Giappone di fine millennio, augurandosi la comparsa di un uomo nuovo, Sontag preme invece per il rispetto di una precisione terminologica cui lei stessa ha dedicato buona parte della sua produzione, primo fra tutti Malattia come metafora: Aids e cancro (Einaudi, 1992), in cui svelava il vocabolario di natura bellica che viene sfruttato per raccontare la malattia (lottare contro il cancro, sconfiggere la malattia, il cancro della società etc.). Il fascismo, signor Ōe, è un’altra cosa, pare dire Sontag, pur con tutto il garbo che distingue la sua penna.

Eppure in questo momento storico, con il discorso che il primo ministro Abe porta avanti ormai da tempo sul cambiamento dell’Articolo 9 della Costituzione, le preoccupazioni di Ōe risultano meno esagerate di quanto Sontag potesse allora percepire.

Costosetto per presentare un numero tanto esiguo di pagine, tristemente privo di un apparato critico che ne amplierebbe lo spettro di senso – soprattutto alla luce del quadro storico che a velocissime pennellate presenta – consiglio comunque questo esilissimo La nobile tradizione del dissenso.

Perché? Perché è bello dissentire nell’accordo delle menti. Ed è bello scriversi qualcosa e riversarci dentro puro contenuto. Per questo l’interruzione, per quanto mi riguarda, è questa qua: piuttosto che scriversi dieci messaggi al giorno e non dirsi nulla, meglio far addensare il sugo, a fuoco lento, e replicare dopo un mese o due. E in quel contatto raccontarsi non parole e fatterelli, ma senso profondo, che rimane.

A rileggerle, anche a distanza di anni, chissà quanto ci racconterebbero di noi, di quello che eravamo, del futuro che incombeva. Non serve un premio Nobel o una mente straordinaria per riuscirci.

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