Cronaca della luna sul monte e altri racconti – Nakajima Atsushi

Cronaca della luna sul monte e altri racconti – Nakajima Atsushi

Cronaca della luna sul monte e altri racconti di Nakajima Atsushi è l’Interruzione che Laura Imai Messina ci racconta questa settimana, scoprite che cosa accade prima e dopo aver letto questo capolavoro. 

Cronaca della luna sul monte e altri racconti - Nakajima Atsushi
Autore: Nakajima Atsushi
Casa editrice: Marsilio
Traduzione di Giorgio Amitrano
198 pagine
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È morto troppo giovane Nakajima Atsushi. A trentatré anni, nel 1942. Diversissimi tra loro, eppure allacciati da atmosfere oniriche, suggestioni che travalicano la realtà per gettarsi a capofitto nella fantasia più squisitamente colta, sono gli otto racconti selezionati da Giorgio Amitrano per questa raccolta edita da Marsilio.

L’erudizione che sostiene la scrittura di Nakajima Atsushi (anche perché filtrata dalla magistrale traduzione di Giorgio Amitrano che ne illumina tutta la ricchezza) non miete vittime neppure tra i lettori più pigri. Intrigano i temi, la tensione narrativa si mantiene vivace dall’inizio alla fine di ogni racconto.

Si tratta di storie classiche eppure sorprendenti – che per nulla indugiano sul continuum di tematiche riproposte con occorrenza irritante – proprio come si addice a un maestro. Oltretutto con Cronaca della luna sul monte e altri racconti non vale neppure la critica che talvolta viene rivolta alla letteratura giapponese dagli amanti di una prosa variegata come quella francese o italiana, ovvero di mancare di densità. Lo stile di Nakajima si adatta perfettamente anche al gusto occidentale.

Come non essere ammaliati da La maledizione della scrittura, racconto in cui gli spiriti insiti in essa divorano gli occhi di chi legge, entità che popolano i caratteri consumano il corpo degli eruditi, lasciandoli tuttavia abitati da una strana felicità?

Se mani, piedi, testa, unghie, ventre, senza uno spirito che le unifichi non sono un essere umano, perché mai un ammasso di semplici linee, senza uno spirito che operi tale coesione, dovrebbe avere un suono e un significato?

E come restare indifferenti alla profondità del messaggio veicolato da La felicità, dove viene descritto il sogno incrociato di un servo e del suo padrone. Il primo conduce una vita negletta, inviso al padrone che gli impone una misera dieta e un lavoro stenuante, ma di notte, insogno, prende a rivestire il ruolo privilegiato dello stesso padrone. Questo a sua volta, nel sonno, assaggia invece la fame e la miseria del servo che di giorno maltratta. Solleva riflessioni “La felicità” perché, in questa esistenza a metà che è narrata, ci si finisce per domandare cosa conti di più, se il sonno o la veglia. Soprattutto quando negli esiti è lo schiavo a farsi florido e allegro, e il padrone a restare umiliato nell’orgoglio e a deperire. Sono certamente le premesse la chiave di lettura di tutto: nonostante la durezza della propria esistenza, lo schiavo ne notava anche prima l’aspetto consolatorio, e pur pregando gli dei di alleggerirgli il peso, non si lamentava.

Ecco, pare ribadire Nakajima riprendendo la lezione degli antichi, l’abitudine alla felicità esteriore e superficiale infiacchisce, deteriora. Lo spirito fermo, saggio, è invece quello che regge le fondamenta del quotidiano di una persona, fortunata o sfortunata che sia. Accettare le intemperie e coglierne il meglio.

Il povero servo tuttavia, essendo una persona molto saggia, non considerava il suo destino particolarmente ingrato. Per quanto il padrone potesse essere crudele, si sentiva riconoscente lo stesso finché gli era ancora permesso di vedere, sentire, respirare.

E nonostante i riferimenti dotti, l’estrazione di coordinate precise dal patrimonio letterario dei classici cinesi, greci e latini, si avverte nei personaggi dei racconti di Nakajima Atsushi, quella che solo una parola giapponese mi pare riesca ad esprimere appieno, ovvero la「人間臭さ」/ningenkusasa/ che suona letteralmente, più o meno, come “odore/puzza di essere umano”, ovvero quegli aspetti che svelano le piccole mediocrità e idiosincrasie delle persone, le meschinità che sbucciano la gente dei ruoli, le lasciano nude ad esibire le parti meno nobili eppure più umane di sé.

Ed ecco in Moglie e marito che le donne si scontrano per un compagno, e nell’alterco e soprattutto nel combattimento fisico che ne consegue, la sorprendente soluzione: chi ha la meglio ha ragione, gli dei favoriscono il vittorioso.

La vincitrice era sempre nel giusto, perché aveva ricevuto l’assistenza e la benedizione degli dei.

Nakajima indaga a fondo il senso del narrare. In cosa consiste il successo, come l’aspirazione si mescoli all’orgoglio, ci suggerisce che l’ansia di riuscire non ripaghi, la saggezza sia l’unica chiave.

Nel fantastico di cui apre le porte, si ritrova il prima/dopo della lettura di Cronaca della luna sul monte e altri racconti di Nakajima Atsushi. Ovvero che a non leggerlo non si capirebbero un mucchio di cose. Così tante che in una recensione, in pillole poi, né tutte né poche riescono a star dentro.

Le opere di grande valore hanno l’indubbia capacità di spaventare il lettore insicuro. Legge “capolavoro” ed arretra di un passo. I titoli poi che risalgono a cinquant’anni addietro sanno terrorizzare. Figuriamoci poi se gli anni sono ancora di più: ecco che la possibilità di tradursi in un automatico, preventivo no, cresce a dismisura. Eppure non prendere in mano questo libro sarebbe un’occasione perduta.

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