In nome di una abominevole perfezione – Nebbia ad agosto

In nome di una abominevole perfezione – Nebbia ad agosto

Può un ragazzino combattere contro un sistema che vuole epurare la razza sbarazzandosi dei malati e degli infermi? Un crimine orrendo raccontato dal film di Kai Wessel, tratto dal libro dello scrittore e giornalista Robert Domes.

Non si ha mai letto abbastanza, né visto abbastanza: l’orrore di alcune pagine di storia va combattuto con la memoria e la conoscenza.

Ricorda un fatto dimenticato e sconosciuto ai più Nebbia ad agosto diretto da Kai Wessel, sceneggiato da Holger Karsten Schmidt e ispirato al libro dello scrittore e giornalista Robert Domes che racconta la vera storia di Ernst Lossa (di cui ha parlato anche Marco Paolini nel suo toccante Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute). Siamo in Germania, nel 1944, e in un ospedale psichiatrico sono ricoverati malati mentali ma anche persone afflitte da demenza, sindrome di down, zoppi, storpi, epilettici… ci sono adulti e bambini.

Ed è qui che arriva, dopo essere stato in riformatorio, Ernest (Ivo Pietzcker). Un ragazzino catalogato come difficile, un indisciplinato a cui le regole stanno strette e la cui più grande sfortuna, in realtà, è quella di essere orfano di mamma e figlio di un padre che lo ama immensamente ma è un ambulante di etnia jenisch. Un uomo senza fissa dimora che quindi non può riottenerne la potestà e riportarselo a casa.

Sulle prime a Ernest la struttura sembra solo un luogo caotico fatto di tante piccole e grandi storie di disagio, guidato però da un direttore gentile, il dottor Veithausen (Sebastian Koch) che sorride e pare ascoltare i propri pazienti.

In realtà questa non è una casa di cura ma un luogo di epurazione: qui si eliminano i difetti. Si rimuovono dalla perfetta razza ariana le bizze della genetica e così i pazienti invece di essere accuditi e guariti vengono semplicemente mandati alla camera a gas ed eliminati.

Finché un giorno la burocrazia tedesca decide di cambiare tutto – il popolo non gradiva quei camion di malati diretti alla morte – e i pazienti vengono “trattati” direttamente nei centri. Si usano i barbiturici oppure la famigerata “dieta della fame”: verdure cotte a tal punto da non contenere alcun elemento nutritivo, così si muore di fame mangiando.

Ernest – che si dà da fare e si fa benvolere dai piccoli pazienti, dagli infermieri e dalle suore che prestano servizio – si accorge presto che le morti dei suoi amici etichettate come “polmonite” sono molto sospette. Coraggioso e schietto, proverà con tutte le forze a combattere questo disumano sistema di morte.

Il film sorprende per la lucidità con cui tratta l’orrore e l’efficace contrappunto emotivo del mondo di affetti e amicizia – meraviglioso il legame tra il protagonista e Nandl (Jule Hermann) – che Ernest crea con gli altri degenti e con il tuttofare dell’ospedale.

Una pagina di storia immonda che verrebbe voglia di dimenticare alla svelta. Abbiamo però 200mila buoni motivi per non farlo: le persone, tra cui 5mila tra bambini e ragazzi, uccise perché malate o disabili.

Ci avviciniamo al giorno della memoria, il 27 gennaio, il che non significa certo circoscrivere il dolore o il rispetto per le vittime a un solo giorno l’anno, ma ricordarsi di prestare attenzione. Sempre. Perché se qualcuno muore tragicamente e viene poi dimenticato, muore due volte.

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2 Comments

  • Terribile quel morire di fame mangiando… E pensa che ieri sera ho rivisto il film (non ricordo il titolo) che tratta d’una riservatissima riunione tenutasi fuori Berlino nel ’42, dove tutti i capi nazisti (politici e militari) si ritrovarono per discutere, in maniera fredda, matematica, antisettica, della soluzione finale messa poi in atto nelle settimane che seguirono.
    Ho sempre trovato sinistramente ammalianti le teorie instillatrici del dubbio che quei numeri fossero impossibili, che fosse troppo grossa la faccenda per non essere (almeno) stata troppo pompata da chi ha vinto la guerra. L’abnormità delle camere a gas, dei campi di concentramento, dei treni bestiame… Tutto appare sempre come: troppo… Poi però bastano 90 minuti di un film come quello visto ieri, e si capisce – con la stessa immediatezza di uno schiaffo – come persone, e sottolineo persone, al vertice ognuna delle rispettive organizzazioni, quindi potenti e responsabili, semplicemente succubi d’una ideologia estrema, dalla stessa siano state lucidamente pilotate, anche quando la scontata umanità di alcuni, fa loro venire più di un dubbio sull’atrocità di ciò che stavano per compiere. Alla fine decisero tutti, e sottolineo tutti, all’unanimità, per i campi di sterminio, il gas, i treni e tutto quanto… E la cosa angosciante è che ciò che la storia poi ha riproposto nella sua crudezza numerale, finisce per non apparire più tanto né troppo,né impossibile.

    • Terribile. Conoscevo la storia ma era talmente straziante che (illusioni dello spettatore) speravo che il cinema facesse la magia…
      Come diceva il grande Golding “Gli uomini producono il male come le api producono il miele”. E alle volte producono con estrema efficienza.

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