Self publishing: come (non) funziona?

Self publishing: come (non) funziona?

Cosa significa fare Self Publishing? Come funziona il Self Publishing? È un percorso adatto a tutti? E quale piattaforma è meglio scegliere per autopubblicarsi? Quali sono i pro e i contro del Self Publishing? Ecco un piccolo orientamento per autori indomiti!

Il self publishing è un percorso che interessa a molti autori.

C’è chi pensa al Self Publishing solo quando le cose con l’editoria tradizionale vanno male.

Non conta chi è indipendente di natura e apprezza l’idea di fare da sé per avere il controllo della propria pubblicazione fin dal principio.

Capirci qualcosa però non è semplice. Perché la rete trabocca di “diventa milionario” “vivi di rendita con il self” “fai soldi anche senza scrivere”… e in questa selva di opportunità strillate, chi lo capisce se l’autopubblicazione sia davvero una opportunità o no!

Per chi è adatto il Self Publishing

Tanto per cominciare il self non ha senso per tutti. Banale dirlo, ma se si ha bisogno di una guida e l’ansia di sbagliare supera il piacere della libertà, meglio evitare. Bisogna anche sapersi organizzare e saper selezionare degli interlocutori capaci di supportarci (fare self non significa fare tutto da sé). Ma guai a non darsi da fare in prima persona (promuoversi, questo sì che è un ben dilemma!).

La prima domanda da farsi è: dove stanno i propri lettori? Sono in rete, si informano in rete e comprano in rete? Oppure vanno solo in libreria e un libro “senza editore” non lo comprerebbero mai? Perché è inutile ragionare sulla qualità del proprio testo, se non si ha un pubblico a cui proporlo.

Motivo per cui se volete fare self ma in rete non ci siete, se i social vi fanno orrore, se detestate metterci la faccia… perché vendete online? Lavorare in presenza, per chi fa self, non è semplice. Si tratta di creare un circuito che vi permetta di presentare il testo ed entrare in contatto con i lettori (no, le librerie, a parte casi rari, sono un miraggio!). Penso alle scuole, ai circoli, alle associazioni, agli eventi, alla formazione… ma tutto dipende dal vostro contenuto (di solito questo ha senso per la saggistica e la manualistica, non per la narrativa).

Serve una community! E la rete per questo è eccezionale. Ma dietro ci sono mesi di lavoro. E, no, non servono grandi numeri. Serve la capacità di comunicare alle persone giuste.

Quali generi ha senso autopubblicare?

Se scrivete romanzi mainstream, cioè romanzi non di genere, se aspirate alla letteratura, alle riviste culturali… se il vostro sogno è una recensione di un critico letterario no, il self non ha alcun senso.

Al massimo dovete inventarvi performance artistiche digitali: il libro digitale di Baricco o il romanzo a puntate distribuito attraverso una newsletter (come hanno fatto Salman Rushdie, la cantante Patti Smith e Chuck Palahniuk).

Parlando di narrativa, il self si presta alla grande per contenuti pop e di genere. Non per il resto. Non lamentatevi dello snobismo del sistema, prendetene atto e non bruciate il vostro tempo. Perché declamare il proprio capolavoro dentro uno sgabuzzino (anche se tecnologico) è inutile.

Mentre lo sgabuzzino, per esempio per chi scrive romance e chick-lit, si trasforma in un palcoscenico.

Quale piattaforma di Self Publishing scegliere?

Le possibilità si sprecano e molti discutono sulla qualità del print on demand (la possibilità di stampare i propri libri), sui guadagni riservati all’autore e sui costi della piattaforma… ma secondo chi di self se ne intende, tutto questo ha un peso minimo.

Contano le persone! Dove sono i lettori? Al momento – tutto in rete può cambiare – il posto in cui stare è Amazon e si deve saper sfruttare al meglio lo Spotify dei libri: Kindle Unlimited.

I lettori sono qui. Leggono, acquistano, curiosano… e conversano su questi titoli. Gli autori sono qui. Si supportano (o si massacrano), si leggono tra loro e i numeri ci dicono che la potenzialità di questo bacino di appassionati lettori della rete sono davvero notevoli. 

Cosa bisogna sapere prima di cimentarsi nel self?

Se si vuole fare tutto da sé, si devono risolvere un po’ di problemi. Tanto per cominciare il contenuto deve essere di qualità. I lettori i libri li pagano! Altrimenti restituiscono il testo, lo affossano con le recensioni negative o, semplicemente, lo ignorano. Editing, correzione delle bozze, impaginazione non sono dettagli.

Poi bisogna essere in grado di realizzare una buona copertina. Si giudica eccome un libro dalla cover! E una brutta copertina è l’indizio più smaccato di mancanza di professionalità, quello che fa lampeggiare la scritta “autore allo sbaraglio” e i lettori scappano.

Il self vi permette di arrivare ai lettori. Sarebbe bello se vi scegliessero perché interessati ai vostri contenuti e non vi scartassero per la vostra mancanza di professionalità. Se volete giocarvela con i quasi 80mila libri che escono ogni anno (più tutto il resto), “vestite” bene il vostro prodotto. Sì, è anche un prodotto il libro, oltre che la vostra amata creatura!

Non saper fare qualcosa, impone di essere bravi a scegliere chi la farà al posto nostro. Se scegliete un serviziaccio, avrete una copertinaccia. e c’è una bella differenza tra 500 euro e 9 euro. Nel mezzo ci sono servizi serissimi a prezzi adeguati.

Autopubblicare significa sapersi collocare bene!

“Ficcare il testo” nello store non basta! Neppure realizzare un file decente per la stampa (e anche qui c’è da studiare) e uno per l’ebook (cosa c’è di più odioso di un testo che non è fruibile?!).

Bisogna conoscere tutti i “trucchi del mestiere” per collocare al meglio il testo nella piattaforma, renderlo facilmente rintracciabile, non violare le linee guida né indispettire il capo supremo: Mr. Kindle. Perché basta una parolina chiave al posto sbagliato per finire nei pasticci.

Ma anche essere sbattuti in Siberia, in castigo, in un cantuccio dello store non è il massimo.

In conclusione…

Conosco autrici come Paola Chiozza che in self ha venduto oltre 50mila copie. No, non millemilioni strillato forte e senza fare nulla, ma davvero tanti libri, sì, realizzati e comunicati con cura (e dietro c’è un lavoro immane). Autori come Francesco Grandis che con il self di copie ne ha vendute oltre 10mila, è stato scoperto da un editore (Rizzoli) e di copie ne ha vendute altrettante in libreria.

Autrici come Barbara Schiavulli – giornalista di guerra e direttrice di Radio Bullets – che grazie al self porta in giro per l’Italia l’informazione che sui giornali è più difficile fare. Autori che trattano argomenti di nicchia rivolti a un pubblico precisissimo e molto interessato (sbandieratori, appassionati di sport minori, appassionati di orologi…).

Ma ci sono anche centinaia di testi che nessuno leggerà mai; libri spesso di scarsissimo valore (ci può stare) pubblicati senza alcuna cura (questo è inaccettabile) per questo destinati all’oblio. E ci sono pure libri scarsini con due contenutini furbetti, copia e incollati e venduti nello store con titoli differenti e pseudonimi differenti che all’autore fruttano parecchio…

Tentare di certo si può. C’è posto per tutti, non per tutti è il posto giusto perché, per abitarlo nel migliore dei modi, serve un contenuto valido, un pubblico di riferimento e una strategia per comunicarglielo. E allora sì, potrebbe essere un (piccolo o grande) successo ma, soprattutto, non sarà qualcosa di cui pentirsi.

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Kit 6 – Self publishing – Come autopubblicare il tuo libro

Come funziona il corso?
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