Si tratta di copiare e vendere sulle piattaforme di autopubblicazione testi in parte o totalmente copiati da altri autori, noti o no; oppure lucrare con i cosiddetti prodotti di rivendita.
Autopubblicazione, ovvero la possibilità di mettere in vendita il proprio libro (no, non di pubblicarlo dai) e di essere letti. E Amazon paga bene: fino al 70 per cento del prezzo di copertina finisce nelle tasche degli autori. Non sono da meno le altre piattaforme.
C’è un piccolo problema, però, e si chiama plagio ed è piuttosto semplice da realizzare. Prendo un libro poco noto (facile sul suolo italico, nel 2014 sono stati pubblicati quasi 64mila titoli in un Paese in cui legge solo il 10 per cento della popolazione!) gli cambio la copertina e il nome, e lo metto in vendita. Se son bravo da piazzarne un po’ di copie, faccio festa, incasso, poi se voglio evitare grane elimino il libro e via con un altro copia-incolla. In certi casi non elimino alcunché, perché le recensioni positive e la buona reputazione in rete sono tutto. Oddio, anche la pessima reputazione, non è da sottovalutare… Si diventa ricchi? No, ma se ripeto l’operazione più volte qualche soldo lo incasso comunque.
Il genere che va per la maggiore? Erotico. Il self-plagiarist frequenta siti in cui gli utenti raccontano fantasie piccanti o esperienze reali, piccoli racconti comodi e pronti all’uso; e così con un bel gioco di prestigio, detto control C control V, li raccoglie, confeziona un ebook e lo mette in vendita. Lo stesso potrebbe capitare in tutte le piattaforme che accolgono gli scritti degli utenti, sia che si tratti di fanfiction sia di poesie (i forum per promuovere le proprie opere si sprecano), quel che conta è trovare del materiale (in passato si plagiavano gli ebook a basso costo e si rivendevano quelli, ma perché spendere anche un solo centesimo?!). Alle volte il self-plagiarist si spinge oltre e manda la sua opera a una agenzia e dimentica di cancellare parti del testo come “aspetto i vostri commenti” ed è lì che l’ignaro lettore si insospettisce e va a controllare (autrici avvisate, autrici salvate).
La seconda frontiera del plagio? Sono i Private label rights o Plr se amate gli acronimi, in pratica il core business degli ebook-spammer: si tratta di licenze d’uso di prodotti di rivendita che potete acquistare e commercializzare. Complicato? No! Basta andare sugli appositi siti (o qui o qui, per esempio) e comperare l’ebook: a questo punto avete il diritto di modificare il testo, accorparlo ad altri ebook o suddividerlo, cambiare titolo, autore e cover, attribuirgli il prezzo che desiderate e metterlo in vendita. Minimo sforzo massimo risultato (a questo proposito in rete si trovano pagine deliziose con consigli al limite dell’horror). Vanno forte i manuali tipo “Come aver successo con le donne” ma pure i consigli per diventare ricchi con il web, Twitter, YouTube eccetera (qui abbiamo pure il libro per far quattrini con i Plr). Insomma, al solito, Sesso e Soldi vanno per la maggiore.
Questi ultimi sono una via di mezzo tra “ebook” ricopertinati e un ghostwriting seriale. Succede anche in editoria e parlo del primo caso (mi auguro!). Basta cambiare la copertina de “Il punto a croce” o “le ricette per il tacchino” per dar nuova vita a un prodotto vecchio destinato alle edicole. Capita anche con i libri che cambiano veste grafica e pure il titolo… a farne le spese alle volte è il lettore, per esempio l’ignara casalinga che compra il primo fascicolo di una raccolta che possiede già in mille varianti.
Che si plagi o si spammi paccottiglia, Amazon (e pure le altre piattaforme di self) agisce solo a cose fatte. Cioè rimuove i cloni quando li intercetta, nella maggior parte dei casi quando gli utenti segnalano il plagio. Però il danno è fatto: i self-plagiarist hanno violato il copyright e magari lucrato sul lavoro di altri, nel secondo caso c’è gente che – incredibile! – si costruisce una web reputation anche così, millantando competenze (e che competenze) che in realtà non possiede.
Domanda: se sulla tua piattaforma si verificano degli illeciti, tu sei colpevole perché permetti che ciò avvenga? Attendo il vostro parere (e se avete notizie di ruberie & Co, raccontatele!). E il problema non è nuovo, in rete se ne parla dal 2011, ma a oggi non mi pare si sia fatto granché (tenete conto che pure le università si dotano di software antiplagio per le testi). Di certo, a monte, servono controlli più severi, non può essere il lettore a scoprire i disonesti, tantomeno l’autore. Li pagassero almeno…
24 comments
Il terrore di ogni aspirante scrittore che, nell’era pre-internet, self etc., spediva i manoscritti al proprio indirizzo di casa, dopo essere andato in posta ed essersi fatto mettere un timbro, onde evitare di farselo fregare, diventa realtà. Bello. Personalmente ritengo che la piattaforma un po’ complice lo sia. Complimenti e grazie per aver detto che il self publishing non è tanto un pubblicare quanto un mettere in vendita. Bacio 😀
Diciamo che tocca avere parecchi occhi e fare svariati controlli. Ecco, se posso, suggerisco di non “regalare” alla rete le proprie cose. Perché sai dove le metti ma non sai dove finiscono…
E sì, ovvio, il self è una occasione per mettersi alla prova ma non è un pubblicare di serie B, non è proprio un pubblicare.
Che tristezza…
Gli editori dovrebbero avere la responsabilità di controllare l’originalità d’un testo prima di mandale il testo in libreria o su una nuvola. Basterebbe rendere obbligatorio il deposito di tutte le pubblicazioni in un apposito registro virtuale, un cloud con tutti i libri dentro. Con l’addio alla carta si perde tanto, si guadagna in nostalgia e malinconia, ma diventano più semplici le operazioni di controllo: con la tecnologia attuale non è certo complicato verificare l’originalità d’un testo o una parte di esso. Basta volerlo.
In realtà qui non c’entrano gli editori. C’entra la piattaforma che potrebbe usare sia dei deterrenti (pagare le royalty non mese per mese, ma ogni tot per controllare eventuali lamentele; pretendere rimborso danni se c’è violazione, chiedendo per esempio una carta di credito a garanzia) per non parlare dei programmi anti-plagio. Gli editori possono creare una sorta di database per evitare che gli autori vengano truffati, sì.
E poi ci son tutti gli ignari e sconosciuti autori che non sanno che le proprie cose sono state paratate.
Il mio “editori” era riferito a tutti, anche ad Amazon… La parte anziana che è in me suggerisce, regole, divieti, autorità ecc. ma tanto non c’è niente da fare e certe dinamiche non le fermi più… Oramai ‘sta storia della pubblicazione facile ed incontrollata non la fermi, l’unico modo è dare anche agli stampatori virtuali su carta elettronica la patente di “editore” così almeno gli si potrà loro imputare le stesse responsabilità. O almeno provarci…
No, Amazon editore non si può sentire! Così mi uccidi… è un colosso, è efficiente, fa gli sconti ma non pubblica 😉
Editore: Amazon, editore: Narcisuss (o come si chiama), editore: Lulù, editore: ilmiolibro. Queste sono cose che mi fanno andare in bestia e che trovo spesso nei blog di chi eh sì ha messo in vendita il proprio prodotto auto eleggendosi scrittore.
Piattaforma dai. O trampolino. Adesso un bicchiere di cognac e dei sali per te 😉
Durante la promozione del mio primo libro, inviai il file pdf a un’utente di Anobii per la recensione sul sito, e in cambio le recensii il suo. Poco tempo fa mi sono accorta che questa utente rivende su Amazon.it il mio libro, con la stessa copertina e lo stesso titolo. Mi sembra molto strano che, dopo averlo già letto in pdf, abbia sentito l’esigenza di comprare il libro in cartaceo per poi rivenderlo su Amazon… Qualcuno mi sa fare un’ipotesi convincente?
Non saprei, Giuse… ma trattandosi del cartaceo usato direi che non c’è alcun illecito.
Si tratta di libro nuovo, venduto a prezzo pieno di copertina .
Non c’è alcun illecito, se io compro un libro o lo ricevo in regalo e lo rivendo a prezzo pieno (se il testo è nuovo e in ottimo stato). Il problema è se uso un testo e lo spaccio per mio… ma con il cartaceo è dura.
Infatti non ho sporto alcuna denuncia, ma il mio dubbio è che questa persona abbia usato il pdf di cartaceo e copertina per stamparlo in proprio, guadagnando sulla differenza tra il costo di stampa e il prezzo di copertina. Altrimenti sarebbe una pazza a comprare a prezzo pieno in cartaceo un libro che ha già letto in pdf per poi rivenderlo allo stesso prezzo!
Comunque grazie, Chiara!
Tutto ‘sto lavoro per guadagnare 10 euro? È così folle che potrebbe essere vero. 😉
La parte anziana che è in me suggerisce regole, divieti, autorità ecc. (auto cit)… Ma vedo che anche in Chiara B, quella parte lavora benissimo 😉
Potete chiamare Amazon anche superpippo, carissime, ma se “lui” “gioca” a fare l'”Editore” allora io starei al gioco… Certi ripiegamenti da zitelli (mi ci metto anch’io) funzionano benissimo in tarda età ma non cambiano le prospettive: nostre (che a medio termine saremo tutti morti), e della storia (che se ne fotte di larghe vedute, nostalgie e termini medi)…
abbracci
Eh no, giovani o vecchi, zitelli e non, pignoli (= rompipalle) o di manica larga… non fa differenza. Qui è una faccenda di parole giuste o sbagliate. Un editore sceglie, seleziona i libri che pubblica, mica li vende/distribuisce solo. Amazon è un meraviglioso ed efficiente mega colosso che consegna i libri in un lampo e offre una piattaforma di self ma non pubblica un tubo. Ma proprio un tubo eh. Però i tubi li vende di sicuro insieme con i coltellini, i turaccioli, le antenne e altre cose utili assai 😉
Super abbracci
Sono d’accordo, rompipalle (= rompipalle), ma se Amazon in buona sostanza s’atteggia ad editore con la storia del self, accontentiamolo ma diamogli quella stessa responsabilità che viene richiesta ad un editore vero. Questo volevo dire. Sennò regolamentiamo-barra-vietiamo il self in maniera stringente. Ma qui si ritorna alla fantasie vetero utopistiche, tipiche degli zitelli (vecchi) 😉
Non si tratta di accontentare nessuno! E poi chi mai vorrebbe essere un editore, oggi?! Il self non è editoria e chi fa il self non fa editoria. Perché nessuno legge la roba che viene messa in vendita. Nessuno la legge, la sceglie, la corregge, la edita, sceglie la copertina. Nessuno, soprattutto, ci investe dei denari. Nessuno. È lo stesso per Lulu, il mio libro, Narcissuss e compagnia cantante che danno uno spazio e non rischiano alcunché. E infatti – a differenza di un editore che tutela il copyright perché così tutela i suoi interessi – ad Amazon non sbatte una cippa dei diritti violati. A lui basta che si compra e si venda la roba. E, come detto, basterebbero poche variazioni per ridurre il problema. Le piattaforme hanno una grande responsabilità e non è una fantasia pretendere che vengano presi provvedimenti.
No, e non è una critica ad Amazon che io posso solo dirgli grazie per un sacco di motivi, ma una questione di mansioni, non è un editore, perchè non fa ciò che un editore fa. E’ fuoriviante veicolare questo concetto, e un po’ triste per chi un editore vero e serio ha impiegato anni a trovarlo dopo aver preso sonore badilate sui denti.
Sono i lati negativi del processo di “democratizzazione”. Tutti possono autopubblicarsi e autopromuoversi, arrivando al successo per canali differenti dal manoscritto spedito all’editore. L’altro lato della medaglia è che si rischiano contraffazioni e copia-incolla. Tutto sommato vale la pena di rischiare.
Senza dubbio. Il problema non è di chi fa (l’autore che si mette in gioco) ma di chi non fa (la piattaforma che non prende provvedimenti).
Apperò, che bello. Un cosa nuova. Ma conosci casi reali?
Sì, ma in questo caso la deontologia mi impedisce di far nomi e cognomi (son partita dal dato di realtà, diciamo così)… ma se fai un giro in rete scopri che i casi si sprecano. Ahimè.
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