Citizen. Una lirica americana – Claudia Rankine

Citizen. Una lirica americana – Claudia Rankine

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“Se non si vedrà la felicità nell’immagine, almeno si vedrà il nero” comincia da qui, da una citazione tratta dal film Sans Soleil di Chris Marker, questo libro che ci ricorda che il romanzo è materia viva e in movimento e per raccontare una storia (meglio) si possono efficacemente mischiare stili e generi: poesia, prosa, giornalismo, saggio, lirica, diario… e non è strano che a scriverlo sia stata una poetessa, saggista e drammaturga statunitense di origini giamaicane. Oltre alla parola troverete anche immagini, fotografie, opere d’arte che non sono un completamento della narrazione, sono narrazione e parte integrante di essa, cioè di questo ricco mosaico.

Ti senti offesa perché è il momento del «tutti i neri si somigliano» o perché ti ha confusa con un’altra persona dopo che siete state così intime?

Ogni attimo è così − prima di averlo conosciuto, classificato come simile a qualcos’altro e congedato, deve essere attraversato, deve essere visto.

Ti viene in mente che un amico una volta ti ha spiegato che esiste il termine medico «johnhenrismo» per le persone esposte a stress da razzismo. Nel tentativo di sottrarsi
all’accumulo del senso di negazione, si inducono alla morte. Sherman James, il ricercatore che ha coniato il termine, affermava che i costi psicologici erano alti. Rimanendo seduta in silenzio speri di opporti a quella tendenza.

I protagonisti se così possiamo definirli – in un coro di voci e salti di persona narrante, tra cui spicca il “tu” che prende il lettore e lo proietta nel testo che diviene in qualche modo parte della storia personale – sono un uomo bianco e un uomo nero. Quest’ultimo ha il faticoso compito di renderci partecipi delle storie di razzismo, volontario e talvolta inconsapevole, di violenze e discriminazioni, delle micro-aggressioni quotidiane come le definisce l’autrice (citando Chester Pierce) che oggi accadono ancora in America. Il cittadino bianco ha un ruolo altrettanto complesso: assistere e accogliere queste dinamiche sociali e prendere una posizione.

Di tanto in tanto è interessante prendere in considerazione
l’esplosione, caso mai volessi urlare—

Vale la pena sentire che verso emetterai—

La questione con cui fare i conti, non sono semplicemente i macabri e indigesti fatti di cronaca, ma la nostra spaventosa assuefazione al disumano. Sono le dinamiche tra esseri umani: qualcuno che si sente sminuire, qualcuno che prova a cancellare l’altro (o lo rende “ipervisibile”). È il disprezzo che serpeggia tra le persone (e sta dentro di noi, sì). E sono temi che ci riguardano, perché riguardano tutti quelli che comunicano; e parlano delle nostre paure, delle nostre fragilità. E questo è un modo altissimo per farci i conti.

(…) cominci a riconsiderare te stessa come una persona resa ipervisibile a fronte di tali atti linguistici. Il linguaggio che procura dolore ha lo scopo di sfruttare tutti i possibili modi in cui sei presente. La tua prontezza, la tua apertura e il tuo desiderio di partecipare richiedono in effetti la tua presenza, il tuo alzare lo sguardo, il tuo rispondere e, per quanto sembri folle, il dire per favore.

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