Anche in Biancaneve (Todaro), l’affilato romanzo d’esordio di Marina Visentin, la protagonista era una donna. Ma Stella de La donna nella pioggia è molto diversa da Biancaneve. Non è una creatura difficile, all’angolo, una che quasi pensa di meritarsi la propria infelicità.
Stella, apparentemente, possiede la vita che desiderava. È una moglie, la brava mamma di due bambine con le quali ha un rapporto splendido, ed è una creativa che illustra libri per l’infanzia.
Pensavo di conoscere il posto di ogni cosa, il nome di ogni strada, la mappa della mia vita.
Invece.
Solo che, giorno dopo giorno, Stella deve fare i conti con la pura e l’angoscia. Una sensazione che la opprime come il muro d’acqua che, nelle ultime settimane, si abbatte quotidianamente su Milano.
Dapprima è un senso di smarrimento, poi è panico: Stella perde i minuti, cioè non sa che cosa ha fatto nelle ultime ore; Stella ha delle allucinazioni, le sembra di sentire sua madre cantare anche se è morta (un drammatico incidente) quando era ancora una bambina. Sta diventando pazza? Matta come il padre naturale uscito prestissimo dalla sua vita e anche lui scomparso ormai da anni?
Inizia così una indagine privata tra i ricordi. Una caccia alla verità tra le bugie che la sua famiglia, e i suoi cari, le hanno sempre raccontato per proteggerla. Ma amare è rendere una persona capace di affrontare i conflitti o fare di tutto per attutirli (fino a fingere di non vederli)?
Non siamo noi che decidiamo dei nostri ricordi. Sono loro, i ricordi, che decidono se restare o svanire dalla mente.
Marina Visentin, come sempre chirurgica nella costruzione della psicologia dei personaggi, ci restituisce una donna solare, empatica, alle prese con una sorta di riformazione del sé: perché senza memoria, senza radici ci viene sottratto anche il presente e la possibilità di fare piani per il futuro.
La verità, però, è una salvezza o una eterna condanna?