L’anulare – Ogawa Yōko

L’anulare – Ogawa Yōko

Ci parla de L’anulare di Ogawa Yōko, in questa seconda puntata di Interruzioni, Laura Imai Messina; una riflessione sull’amore che diviene una forma di annullamento e sulla capacità di trattenere i ricordi.

L’anulare - Ogawa Yōko Adelphi
Autore: Ogawa Yōko
Casa editrice: Adelphy
Traduzione di Cristiana Ceci
103 pagine
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Il breve romanzo/novella di Ogawa Yōko 『薬指の標本』/Kusuri yubi no hyōhon/ tradotto in italiano da Cristiana Ceci e intitolato nella nostra lingua, più concisamente, L’anulare venne pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1994.

Incentrato sul racconto in prima persona della giovane segretaria che lavora per il dottor Deshimaru, scienziato di un particolarissimo laboratorio – dove si cristallizzano gli oggetti portati dai clienti e se ne fanno dei campioni destinati a eterna memoria – tratta da una parte l’ambigua relazione amorosa che si instaura tra i due, dall’altra il tema della perdita, della memoria, il desiderio profondamente umano di allontanare sentimenti confusi e dolorosi nel tentativo di dar loro una forma e di archiviarli.

Nella assai vasta produzione di Ogawa, scrittrice notissima in patria, sono sempre presenti luoghi di raccolta di cose: collezioni private, una sorta di wunderkammer, musei pubblici e musei privati, monti dei pegni, negozi dell’usato, laboratori, campionature, archivi, uffici oggetti smarriti, cassetti, scansie. Per ogni contenitore esiste una gamma di oggetti e per ogni gamma di oggetti esiste una catalogazione ulteriore che fa da spartiacque tra il visibile e l’invisibile, tra il necessario e il superfluo.

 La storia, che è permeata da una atmosfera claustrofobica e spinge ad un finale misterioso e sospeso, resta una delle opere più riuscite della scrittrice giapponese, che nella forma breve trova la sua dimensione più congeniale. 

Cosa cambia nel prima/dopo lettura de L’anulare di Ogawa Yōko?

 Vi si descrive un amore sbilanciato, un equilibrio di forza tra il femminile e il maschile, qualcosa che lascia addosso una sensazione di fastidio, raccontando tuttavia la malia che si può provare in amore, quando l’inesperienza si mescola al desiderio d’essere posseduti – interamente – dall’altro. E quel fastidio, in un tempo in cui il femminicidio è tema scottante, può essere sano principio di riflessione su come l’amore possa venir percepito non come condivisione di intenti quanto piuttosto come una forma di annullamento.

Ma soprattutto la bellezza di questo esile romanzo sta nella capacità di stimolare il desiderio di trattenere i ricordi, di dare forma all’immateriale, di donare un posto a quanto ci ha fatto soffrire o gioire e si rischierebbe altrimenti di smarrire. Un amore sfortunato, un animaletto domestico deceduto, un lutto profondo che altrimenti non si saprebbe come distanziare da sé.

Tutto si può campionare se lo si vuole: la melodia che ci donò un compositore, la carcassa di un uccellino, una cicatrice sulla guancia, un pezzetto del proprio anulare.

Nel 2005 ne è stato tratto anche un film francese, molto intenso, (L’Annulaire) per la regia di Diane Bertrand, che preme molto più del romanzo originale sulla sessualità. Ma vale la pena vederlo, sia perché di per sé ben girato e recitato, sia per la colonna sonora a dir poco strepitosa.

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