Darke – Rick Gekoski

Darke – Rick Gekoski

Si chiama James Darke il protagonista di questo libro. Ruvido, schietto. A tratti sociopatico. Anche se, in realtà, la vera protagonista di questa storia è Suzy, la moglie di James. Una donna concreta, terrena, dotata di un fulminante senso dell’umorismo.

I miei sensi sono fuori controllo, prepotenti, insidiosi. Riesco ad annusare i resti in decomposizione delle mosche sul davanzale, la luce del mattino mi brucia la retina, il residuo del dentifricio mattutino mi copre le gengive, i polpastrelli mi pizzicano quando vengono a contatto con superfici dure. È come avere un’emicrania senza il mal di testa.

E Darke, quando lo incontriamo, è ormai un uomo anziano, è un ex insegnante di letteratura ed è solo. Perché Suzy è morta: è una protagonista che spicca insomma per la sua assenza. E questa a conti fatti è la storia di una separazione e di una assenza in tre atti. È il dramma di un uomo che perde la donna che ama.

Quando invecchiamo le nostre storie si riducono finché non rimangono che i sapori essenziali, potenziati e concentrati. A volte, come nel caso della storia della piccola Lucy, una concentrazione eccessiva non procura piacere ma qualcosa di più simile al dolore, così come un concentrato dell’essenza del piacere sensuale rischia di produrre qualcosa di insopportabile. È per questo che il ricordo della mia bambina mi provoca un sorriso e una smorfia.

Un uomo che quando resta vedovo si chiude in casa, diventa ossessivo, si nega a tutti anche a sua figlia Lucy, spia i vicini, diventa crudele… Darke non è affatto amabile. Non ha alcun freno quando parla e riflette e passa dalla letteratura all’odio verso chi suona alla sua porta, chi gli manda lettere, chi osa telefonargli, chi possiede cani, chi li ama i cani… detesta insomma gli esseri umani in generale. Se fosse un mestiere, James sarebbe un odiatore professionista.

Non sopporto più di trovarmi in presenza di un altro essere umano, neppure per allontanarlo.Non uscirò, anche se ci sono mattine in cui piego la salvietta e mi appoggio alla porta per sbirciare i miei simili nella loro vita quotidiana. La loro vista mi riempie di odio, disgusto e disprezzo, sentimenti che mi assalgono con il martellante terrore di uno tsunami. Ne resto travolto, a stento in grado di respirare, in pericolo d’estinzione. L’idea di avventurarmi per le strade, sbatacchiato e strattonato da queste acide creature, mi nausea. Ho perso l’abilità di distogliere lo sguardo…

Anche se il suo vero lavoro, o meglio, la sua unica attività è il diario che sta scrivendo. Il diario che voi leggerete, se vorrete fare i conti con un cinico politicamente scorretto come lui. Che è in realtà solo un uomo condannato a vivere all’Inferno, cioè in un mondo in cui non c’è più la persona che dava senso alla sua vita.

Sono sopraffatto dal dolore per la perdita, lo spreco, la fatuità. Non siamo anime immortali neppure in questa vita, figuriamoci nella prossima. Non incolpo Dio. Non siamo creati a Sua immagine, né a immagine di nessuno se non di una doppia elica di DNA che prosegue per la sua strada. Non siamo né creati né costruiti, solo eventi spermatici, uova penetrate, larve, prole. Nessuno riesce a capirci niente, mancano le basi necessarie per riuscirci.

Amo i romanzi tardivi perché mi danno l’idea di essere il frutto di un lungo e meditato silenzio e, se c’è la penna, sono delle vere sorprese. E questo romanzo lo è.

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