Il dito e la luna: racconti zen, haiku, koan – Alejandro Jodorowsky

Il dito e la luna: racconti zen, haiku, koan – Alejandro Jodorowsky

Il dito e la luna: racconti zen, haiku, koan di Alejandro Jodorowsky è l’Interruzione che ci regala questa settimana Laura Imai Messina; scopriamo che cosa accade dopo aver letto questo piccolo libro ricco di spunti e insegnamenti. 

Il dito e la luna racconti zen, haiku, koan di Alejandro Jodorowsky Mondadori
Autore: Alejandro Jodorowsky
Casa editrice: Mondadori
Traduzione di Claudia Marseguerra
169 pagine
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Questo piccolo libro nasce dall’esperienza di meditazione dell’eclettico artista cileno, naturalizzato francese, Alejandro Jodorowsky, noto soprattutto per la regia de El Topo (1971) e La montagna incantata (1973), ma anche per le sue numerose pubblicazioni che spaziano dallo studio dei tarocchi, alla psicomagia, dal fumetto alla autobiografia. Nel 1961 avvenne l’incontro con il maestro Ejo Takata, che fondò in Messico uno zendōche Jodorowsky frequentò per cinque anni. Premessa necessaria a questa ibridazione della filosofia zen con il pensiero occidentale è la pubblicazione in Giappone nel 1916 del libro Gendai sōjizen hyōron di Hōō Hau 『現代相似禪評論』破有法王, (tradotto in inglese come The sound of the one hand: 281 zen koans with answers con commentario ad opera di Yoel Hoffmann), che fece grande scalpore e provocò accese reazioni per via del fatto che fino ad allora la disciplina zen era appannaggio dei soli discepoli che vi erano introdotti e che di regola l’insegnamento doveva passare da maestro a discepolo, senza filtri ulteriori.

In Il dito e la luna: racconti zen, haiku, koan di Alejandro Jodorowsky è raccolto un numero sostanzioso di “storie zen e giapponesi”, “kōan” e “haiku”.

Gli spunti sono interminabili e la brevità della formula del kōan (come dell’haiku) ha il merito di condensare in poche righe concetti che si espandono e si replicano potenzialmente all’infinito. Come l’insegnamento per cui «non appena l’io smette di esistere, il mondo esiste» o ancora «l’ordine perfetto esiste solo accanto al disordine», «prendi la realtà come un sogno… interpreta!» e poi «tutto ciò che sacrifichiamo ci viene restituito in altro modo e nella giusta maniera», o anche «quando si rispetta la realizzazione dell’altro non si pretende di avere il minimo ascendente su di lui.»

Jodorowsky integra Oriente e Occidente, mescolando il pensiero che, pur avendo origini storiche definite, non è mai definitivo. Così come le buone letture valgono in ogni paese e toccano le corde più intime dell’uomo di qualunque provenienza, così certe riflessioni si attagliano a qualunque esistenza.

«Gurdjieff raccontava che Dio, vedendo che l’uomo era così incline alla distruzione, decise di nascondere la verità nel cuore dell’uomo stesso al fine di proteggerla. E così è rimasta ben protetta, dal momento che l’uomo non si preoccupa mai del suo cuore.»

Lo zen qui è filtrato dalla mente di Jodorowsky che, profondamente allacciato all’occidente eppure ansioso di sperimentarsi, si presta benissimo ai paradossi cui mette di fronte la disciplina meditativa giapponese.

«Risolvere un kōan per davvero significa passare attraverso un cataclisma mentale che fa crollare tutte le nostre certezze […] ci scaraventa nel vuoto. Un vuoto che ci rigenera, consentendoci di rinascere più liberi.»

Cosa accade dopo la lettura di Il dito e la luna: racconti zen, haiku, koan di Alejandro Jodorowsky? Cosa vediamo dopo, che prima non coglievamo? Queste riflessioni hanno il merito di interrompere la logica del sempre, del consueto. Creano uno spazio vuoto nell’affollatissimo presente. Ricalcando Virginia Woolf, paiono ricavare nella casa “una stanza tutta per sé”, qualunque cosa essa significhi nella vita di ognuno.

Insegnano l’importanza di non vivere la cultura a compartimenti stagni, e di farsi di quando in quando una domanda che non abbia immediata soluzione. Nell’interrogare infatti il senso di qualcosa, ci apriamo a una nuova conoscenza.

I koan zeniani rallentano il pensiero, nella logica da sovvertire per trovare una risposta originale alle proprie sfide, mentre gli haiku suggeriscono vere e proprie interruzioni, come immense pozzanghere che spezzano il passo su una strada, ma riflettono anche un cielo luminoso che altrimenti ci sarebbe sfuggito nella fretta di arrivare.

Nota a margine: per approfondire la storia del maestro Ejo Takata, gli aneddoti legati alla sua persona e all’incontro con Jodorowsky bisogna leggere Il maestro e le maghe (Feltrinelli, 2010).

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