Figli dell’estate – Monika Eld – Neri Pozza

Figli dell’estate – Monika Eld – Neri Pozza

Quanto si può stare ad ammirare lo spettacolo del cielo? Seduto su una panchina, al sole dell’estate, Kolja quel pomeriggio il senso del tempo lo ha perso. E ha continuato a farlo anche quando è arrivata Rania e l’ha guardata nuotare. Poi lei si è accomodata accanto a lui. Una vicinanza che ti stordisce, se hai 15 anni e ti sei preso una cotta.

Ma quel tempo non era un tempo qualunque. E gliene hanno chiesto conto il padre, la madre, la polizia, i medici… che cosa ha fatto? Per quanto? E poi? Poi cos’è successo?

Quello che accadeva sempre. Sul finire del giorno Kolja e sua sorella Malu si concedevano un ultimo bagno. Malu preferiva la piscina, Kolja il mare. E quella volta non era andata diversamente, a parte il fatto di essersi separati. A parte il fatto che nella piscina Malu era affogata.

Una “figlia dell’estate”, così li chiamano questi ragazzi addormentati, imprigionati in un non tempo, il coma vegetativo. Si sveglieranno, si sveglierà Malu? Nessuno lo sa.

Qual è la punizione per un figlio che non ha salvato, che non ha rimediato? Che non ha. Sono non parole, non carezze. Una non famiglia da cui fugge, trovando riparo proprio nella clinica dove riposa sua sorella, che sembra una principessa delle fiabe.

E poi c’è Rania. Quando la ritroviamo è ormai una donna, ed è diventata una psicologa. Per lei i ricordi, anche i suoi, sono motivo di studio. Adesso, per esempio, si sta occupando dei luoghi dell’infanzia, del peso di questa mappa di ricordi ed emozioni. Perché chi invecchia in un posto diverso da quello in cui è nato, nella maggior parte delle volte, è afflitto da un potente senso di nostalgia.

Che cosa ricorda Rania del luogo in cui è nata? Il mare, il vento, dei vermi, anche le meduse. Ricorda il suo cane ucciso, un’amica che non è più tornata. E poi un giorno ricorda anche una panchina, il sole, un cumulo di vestiti, un ragazzo biondo…

Monika Eld costruisce una storia toccante sul dolore e il senso di colpa. Ricordandoci che la nostra memoria, più di ogni altra cosa, parla di noi. Dei nostri dolori, delle nostre paure e di come abbiamo tentato di renderli più sopportabili. Fallendo.

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