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L’ultimo giorno di gloria

West Virginia, Ippodromo di Indian Mound Downs.
Un gruppo di personaggi – simpatici trafficoni o veri e propri delinquenti – cerca il proprio giorno di gloria nel mondo delle corse.
Tommy Hansel con la sua una scuderia sul lastrico, Ed Medicina il vecchio stalliere, Giocodaragazzi il maniscalco, la Zingara Deucey Gifford, Valigetta Smithers addetto ai box, Due Cravatte il finanziere dell’ippica e Joe Dale Bigg allenatore, Maggie Koderer l’assistente e fidanzata di Tommy.
Il piano di Hansel? Piazzare quattro cavalli vincenti, non di primo pelo e apparentemente malmessi, nelle corse di questo ippodromo scalcagnato, scommettere forte e poi filarsela.
Inutile dire che le cose non andranno proprio come dovrebbero… La signora Gordon sfodera una penna affilata (le è valsa il National Book Award) e costruisce una storia che divoreranno anche quelli che di corse non sanno un tubo!

L’incipit
All’interno del cancello sul retro dell’Indian Mound Downs, una giostra per cavalli girava con un cigolio continuo. Secondo il parere di Ed Medicina, che stava facendo camminare un cavallo anche lui nello spiazzo dei box a schiera della scuderia Z, quell’inutile arnese doveva essere l’anima persa dell’ippodromo di bassa lega in cui era finito. Era incastrata là in mezzo al cancello, in modo da impedirti di uscire. Occupava tutta la strada fra una collinetta di letame equino e il recinto sul retro, ispida di stoppie gialline e luride come i capelli di un carcerato, e una lunga pozza ocra aperta nella terra rossa, una pozza che era quasi uno stagno. Insieme ai cavalli fiaccati, legati a ogni punta della stella argentata, sembrava un desolato carosello di carnevale, lo scheletro di una giostra da quattro soldi immaginato da un sognatore troppo stanco anche per iniziare a sognare. Tutto agosto era stato senza pioggia, e ora i cavalli che avevano appena corso erano quasi indistinguibili nella nuvola rosea alzata dai loro stessi passi. La polvere rossiccia delle colline del West Virginia si insinuava nelle larghe froge per attaccarsi ai loro polmoni a fisarmonica. La polvere rossa compie la sua opera maligna, osservò Ed fra sé, ma tenne la bocca chiusa. Dopotutto i cavalli non erano mica i suoi.
Ed Medicina condusse il suo cavallo oltre l’angolo del padiglione. Come si chiamava questo animale? Se pure l’aveva sentito, certo ora non riusciva a ricordarselo. Era un robusto sauro di tre anni, stupido come un pezzo di legno, trasportato qui da Zeno per la quarta corsa, un maiden senza un graffio. Un viaggio in furgone il giorno della corsa bastava a innervosire molti cavalli, ma questo
giovanotto era ruzzolato fuori dal cassone calmo quanto quella pozza laggiù, perché stava bene e non sapeva nulla. A dirla tutta, non aveva classe. Era del genere usa-egetta, un velocista dalla testa pesante, l’aspetto di un quarter horse e una gabbia toracica che sembrava il radiatore di una macchina. Non doveva aver capito cosa lo attendeva: una volta che fosse rimasto piagato poteva durare al massimo, e con un po’ di fortuna, cinque anni.

L’ultimo giorno di gloria, Jaimy Gordon, traduzione di Fabio Pedone, Fazi, p. 380 (17,50)

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1 comment

Vittorio Nani 17/11/2011 at 12:57

Chiara ma dove li peschi? Complimenti perchè, io che sono un appassionato ippico e mi ritengo un buon lettore, non avevo avuto notizia dell’uscita di questo libro della Fazi. Lo comprerò sicuramente, la trama mi intriga di già! Ciao

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