Il tizio della tomba a fianco

Il tizio della tomba a fianco

Da me vi conviene stare alla larga!
Una donna sola, affranta, con una vita sentimentale senza dubbio strana. Chi lo sa cosa combinerò alla prossima luna piena?
Avete letto Stephen King, no?
Sono seduta su una vecchia panchina verde scuro davanti alla tomba di mio marito, a guardare quella lapide che mi dà sui nervi.
È una piccola e sobria lastra di pietra grezza con inciso solo il nome, “Örjan Wallin”, a caratteri austeri. Semplice, per non dire perentoria, proprio nel suo stile. Infatti, l’ha scelta lui facendo avere le sue disposizioni all’apposito archivio della Fonus, la principale agenzia di pompe funebri del paese, neanche a dirlo.
Soltanto una cosa del genere. Voglio dire, non era nemmeno malato.
So esattamente cosa intendeva comunicare con la sua lapide: la Morte è una Fase Perfettamente Naturale del Ciclo della Vita. Era biologo.
Grazie tante, Örjan.
Vengo qua a sedermi diverse volte alla settimana, nella pausa pranzo, e sempre almeno una volta durante il weekend. Se comincia a piovere tiro fuori un impermeabile di plastica che si può ripiegare e infilare in una bustina. È orrendo, l’ho trovato nel comò di mia madre.
Siamo in molti ad avere un impermeabile così, qui al cimitero.
Non ci resto mai meno di un’ora.
Con una giusta dose di tenacia, spero alla fine di riuscire a spremermi fuori il giusto tipo di dolore. Mi sentirei molto meglio se potessi stare peggio. Se fossi in grado di rimanere qui seduta a strizzare un fazzoletto dopo l’altro senza guardarmi costantemente dall’esterno per controllare l’autenticità delle lacrime.
L’imbarazzante verità è che per la metà del tempo sono solo incazzata con lui. Maledetto traditore, perché non sei stato attento? Per il resto del tempo quello che provo somiglia più che altro a ciò che sente un bambino quando muore il suo pappagallino. Già.
Mi mancano la sua compagnia e la nostra routine quotidiana. Nessuno che faccia frusciare il giornale accanto a me sul divano, quando torno a casa non c’è mai profumo di caffè, la scarpiera sembra spoglia senza tutti gli scarponi e gli stivali e gli stivali di gomma di Örjan.
Se non mi viene in mente qual è il “dio del sole di due lettere” mi tocca tirare a indovinare, oppure saltarlo.
Una metà del letto a due piazze non è mai disfatta.
Se non tornassi a casa perché mi ha messo sotto una macchina, nessuno si chiederebbe dove sono.
E, se non sono io a farlo, al gabinetto l’acqua non viene tirata da nessuno.
Eccomi qui, dunque, seduta al cimitero, con la nostalgia dello sciacquone del cesso.

Il tizio della tomba a fianco, Katarina Mazetti, traduzione di Laura Cangemi, Elliot, p. 240 (16 euro)

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