Dio giocava a pallone

Dio giocava a pallone

Se amate i racconti non perdetevi la raccolta Dio giocava a pallone di Giorgio Ghiotti (Nottetempo). Volete un assaggio? Gustatevi l’incipit.


Silvia accarezza la mano, le guance, senza parlare. Silvia accarezza le labbra. Nel buio sembra l’ultimo sogno buono prima della catastrofe, il segreto dimenticato da anni in un cassetto. Ha le labbra sottili, le muove sulle mie alternando quel movimento che le dà il diritto di continuare, fino a dove, fino a quando. Fino al collo. Dalla cucina arriva odore di minestra e crauti, la cena che non consuma mai nessuno. Consumiamoci, sembra dire, perché non inizi tu, come se tre mesi insieme ci autorizzassero al nudo di notte, a una sigaretta domattina, al respiro sospeso. Dice “ti amo”, non è vero ma nel buio si mente volentieri. Si sfila i pantaloni, allarga l’elastico delle mutandine con i pollici, sorride, “adesso però Cappuccetto Rosso va dritta dritta dal lupo”. Non sa che verrà qualcuno ad aprirmi la pancia per farla riemergere sana e salva, come nella fiaba. Se almeno fosse amore. “Facciamolo”, maschile singolare, dunque è sesso, perché l’amore è sempre femminile plurale e le grammatiche si sbagliano e formano generazioni che scopano presto senza guardarsi negli occhi.
Dio giocava a pallone, Giorgio Ghiotti, NottetempoL’odore di minestra e crauti è forte e sembra di vederli tutti quei dadi vegetali venirci addosso come pioggia nel buio. Il buio che può e nulla è peccato e domattina “forse non ti amo più, non lo so, però è stato bello”, e nessuno impara più la grammatica o l’amore. Silvia sembra ancora bambina e ha già diciotto anni. Crede di essere invincibile sotto la luna e che adesso mi spoglio e accadrà per davvero, perché abbiamo la stessa età e la casa libera e i suoi sono a Venezia per tre giorni e la minestra sembra caderci addosso felice. Penso che le voglio bene, che ha un corpo perfetto. Che pagherebbero per vedere questo film che dura forse venti minuti, forse meno, fino a dove, fino a quando. Fino a quando c’è la nonna di Cappuccetto Rosso che soffre d’insonnia e passa la notte davanti al televisore a vedere quei programmi che nel buio sono o televendite o il nostro film che sta per iniziare ma non partirà mai, ora che la nonna alza il volume e io mi alzo dal letto, mi libero da Cappuccetto Rosso perché “tua nonna è a casa” ma “mia nonna è sorda e non si muove di lì” e “però il volume” e “ma è meglio così”.
E non è meglio e mi scuso e tanto il lupo cattivo ha sempre la compassione e il perdono di tutti, esce di scena squartato e pianto col sangue in pancia. Silvia si riveste in fretta e non riesce ad avercela con me perché forse mi ama davvero.
“Arrivederci signora”. Non sente. Che denti grandi che hai, sappiamo tutti la risposta. “Ciao amore,” “ciao Silvia” e ci baciamo e ci lasciamo così nel buio del pianerottolo con la lampadina bruciata che non sistema mai nessuno. Accendo il motorino e mancano trenta minuti all’una, coprifuoco, sennò il cane si mette ad abbaiare e sveglia tutti e sono cazzi. Ma trenta minuti sono un tempo che basta per nascere e morire e scendersene giù all’inferno e, mentre citofono a Marco che ha la finestra illuminata e mi manca il respiro quasi l’avessi portato io il motorino a spinta fino a lì, penso che genitori ricchi lasciano i figli a casa d’estate per tre giorni e se ne vanno a fare viaggi e spengono i cellulari, e tornano abbronzati e rilassati e non verranno mai a sapere cosa è stato in quei tre giorni. Trenta minuti che si nasce e si muore, tre giorni e fai il mondo e gli altri quattro ci scopi dentro.
Marco apre e anche la sua è una casa deserta e calda per l’estate e silenziosa perché sono tutti al mare, e invece i tre giorni a lui tocca di farseli lí da solo e vedi di studiare un po’ che sennò scordi tutto. Senza avere neanche il tempo di parlare, gli fisso l’ombelico e penso che è una goccia sottile e forma un triangolo perfetto coi pettorali.
Questa storia Silvia non la conosce e crede ancora alle fiabe di sette, otto, dieci estati fa. Ma la verità è un’altra, e stanotte il cacciatore se la fa col lupo cattivo e si va dritti all’inferno come Paolo e Francesca, come Paolo e Virgilio che, alle spalle di Dante e Francesca, staranno scrivendo una fiaba tutta loro con un lupo, un cacciatore e un amore che vai dritto a Dio, e ora fermati a rimirar le stelle. Il lupo cattivo, come nella storia di san Francesco, era solo un lupo assetato d’amore. E tu sei diventato un santo.

Dio giocava a palloneGiorgio Ghiotti, Nottetempo, p. 166 (12,50 euro) anche in ebook

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