Di cosa stiamo parlando – Autori Vari

Di cosa stiamo parlando – Autori Vari

Prendete dieci scrittori, giornalisti, poeti, linguisti… e a ciascuno affibbiate un tic verbale, una di quelle frasi che ormai sono entrate nell’uso comune della lingua, nell’italiano che insomma adoperiamo tutti i giorni. Come “anche no. Allora ditelo. Accaventiquattro. Alla grandissima…”

Frasi fatte, espressioni di moda, cliché espressivi, interiezioni ricorrenti sono inevitabili e in un certo senso universali: la lingua è un organismo mobile, impuro, ibrido proprio in quanto vitale.

Non si tratta ovviamente di diventare giudici e vagliare cosa sia o no linguisticamente deprecabile, né di bacchettare gli stereotipi della lingua (che è cosa da polverosi snob, peraltro). Ma cercare di capire. Perché le parole, oltre a essere importanti come diceva Nanni Moretti, sono indizi preziosi del cambiamento dei tempi. Sono spie che mostrano il passare del tempo, la trasformazione del costume e della mentalità.

I tic linguistici formano dunque un codice trasversale e diffuso, “parole stampella” che perlopiù ci servono per riprendere fiato.

È una specie di viaggio antropologico questo libro. Solo che stavolta non guardiamo al nostro modo di abbigliarci o di truccarci, oppure a come condividiamo il divertimento a quali strumenti facciamo ricorso… ma badiamo al nostro modo di comunicare. Teresa Ciabatti, per esempio, ci racconta che quello che sembra un piccolo passaggio dall’uso di “alla grande” a “alla grandissima”, in realtà ci restituisce la storia d’Italia degli ultimi quarant’anni. Nadia Terranova invece – che ha una insofferenza verso chi se la prende con i tic verbali e la considera una “latitanza di fantasia” – e ci sfida a trovare “nelle espressioni orrende” un senso nuovo, come fa il poeta con le parole.

Io però quando leggo “ciaone” non penso “che schifo, che oscenità”, penso a Gianni Rodari, penso a indire una gara rodariana dentro una terza elementare, penso a scatenare bambini a scrivere e poi eleggere il miglior limerick apocrifo.

L’obiettivo? È riflettere e ricordarci che quando utilizzano queste espressioni in realtà stiamo comunicando poco, stiamo rinunciando a fare uno sforzo. Usare le espressioni trite è un po’ come parlare con le parole degli altri e quindi esprimere i pensieri degli altri.

A volte però l’intera comunicazione sembra ridursi a questi cliché linguistici, che somigliano ad una fittissima nebbia verbale, quasi lo schermo di una preoccupante afasia sociale.

Quindi cercare e trovare le proprie parole significa identità espressiva e libertà espressiva. Insomma, l’obiettivo è esprimersi in modo personale e naturale. L’obiettivo è farsi capire per davvero!

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